Delogu e l'H5N1 team «Così abbiamo snidato il virus dell'aviaria» (L'Unione Sarda, 20 luglio 2010)

 
Il virus dell'influenza aviaria si annida tra le piume degli uccelli acquatici. La scoperta, pubblicata sulla rivista scientifica Plos (Public Library of Science) il 25 giugno, porta la firma di Mauro Delogu e di altri 9 ricercatori italiani e stranieri. Il segreto del virus H5N1 è dunque svelato: aspetta gli uccelli migratori nell'acqua, aderisce al loro piumaggio quando si immergono e nei momenti in cui si fermano a lisciarsi le piume con il becco ingeriscono il virus. In questo modo si infettano e diventano veicoli di nuova diffusione.
Virologo dell'università di Bologna, originario di Bitti, Delogu è noto per aver isolato nel 2005 il virus a bassa aggressività dell'aviaria in Italia.
È vero che l'intuizione sul virus imprigionato dal grasso che riveste le piume nasce osservando le anatre selvatiche nella laguna di Orbetello?
«Sì, seguire gli animali in natura è stato determinante per intuire che l'incontro tra il virus e il suo ospite non poteva essere frutto del caso. Conveniva al virus infettare la specie che fa da serbatoio e non certamente all'anatra essere infettata: era difficile immaginare un predatore di cellule qual'è un virus attendere passivamente che prima o poi qualcuno lo ingerisse. Doveva esistere un modo che poteva facilitare questo incontro. L'idea è nata osservando l'andirivieni degli uccelli migratori sulla palude. Si posavano sulla superficie dell'acqua e poi ripartivano. E se il virus avesse approfittato di quel momento? Così iniziammo a studiarlo sviluppando poi l'ipotesi che gli esperimenti hanno confermato essere una delle principali vie di movimento dei virus influenzali aviari».
Avete spiegato così l'unico caso documentato di esseri umani uccisi dall'aviaria: i 6 contadini contagiati nel 2006 in Azerbajan?
«Certo, questa scoperta ci chiarisce una moltitudine di punti irrisolti legati sopratutto al temibile H5N1. Come poteva spostarsi se uccideva gli ospiti? Ora è ovvio: non lo faceva subito ma viaggiava con a loro e li infettava durante le soste di migrazione, dopo che avevano percorso centinaia di chilometri a ogni tappa e si mettevano in ordine il piumaggio. Analogamente non tutti gli umani esposti ad ambienti contaminati del sud est asiatico si infettavano, anche se vivevano in ambienti carichi di virus. Adesso è chiaro che non era necessario mangiare gli animali, ma bastava manipolarli e spiumarli senza rispettare norme igieniche minime, proprio come accadde in Azerbajan con quelle persone che morirono dopo aver spiumato cigni selvatici. Il meccanismo di movimento di questo virus quando è fuori dal corpo dell'ospite lo protegge da eventuali anticorpi già presenti negli uccelli acquatici e gli permette quindi di essere aggressivo per tempi maggiori di quelli conosciuti finora.»
Ora quali nuovi studi saranno possibili?
«Dopo questa scoperta l'approccio sanitario al mondo della sorveglianza sugli uccelli selvatici non sarà più lo stesso e avremo così una visione totale di quanto questi virus circolino. Un peso altrettanto grande lo avrà la gestione degli allevamenti di anatre domestiche in Asia e di oche in est Europa. Molti di questi animali potrebbero risultare positivi ad analisi che tengano conto di questa scoperta, mentre sarebbero ancora negative ai test impiegati fino a ora. Un passo avanti per bloccare la circolazione virale tra gli animali e il rischio di infezione nell'uomo».
ANDREA MAMELI
L'Unione Sarda. Martedì 20 luglio 2010

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