Eugenio Campus, anzi, Sergio Casu, è questo il vero nome dell’autore, compie un’operazione ardita: accostare vicende note, come quella della chiesetta di Santa Maria di Villasimius, edificata nel luogo in cui fu rinvenuta una statua romana, a scenari immaginari, ma credibili, e ad altri meno realistici, ma non per questo meno avvincenti. Accostare diversi piani temporali non è facile: servono buoni ingredienti da cucinare bene per ottenere un risultato appetibile e convincente. Compito ancor più impegnativo se a questo si uniscono elementi tali da farne anche una lettura impegnata: i proiettili all’uranio impoverito, i biocarburanti, i flussi migratori.
Ma sarà un oggetto senza valore apparente, un pettine sdentato, la chiave di volta della storia. Lo sforzo dell’autore ha successo e la tensione si mantiene alta fino alla fine del romanzo. Il collegamento tra le fasi temporali si realizza anche con l’adozione di tecniche cinematografiche con dissolvenze incrociate tra la fine di una scena e l’inizio della successiva. Ben riuscita anche la descrizione dello scenario distopico: i cambiamenti climatici hanno innalzato il livello del mare e modificato la geografia del pianeta, mentre l’aumento del prezzo del petrolio ha indotto a coltivare a mais l’intero Campidano. Ma la conseguente crisi per il costo dei cereali porta poi a adottare la Cannabis come combustibile alternativo e risolutivo.
Il libro riesce anche in altro difficile intento: dar vita ai reperti archeologici, cosa che nel 2006 riuscì anche al romanzo d’esordio di Antonello Pellegrino, Bronzo (Condaghes), ambientato in epoca nuragica e contemporanea.
Una statua, una moneta antica, una serie di parole apparentemente indecifrabili, sono pagine di umanità che ci parlano a distanza di secoli. Tutto sta a saperle leggere.
Andrea Mameli