Senza il mio nome, romanzo di formazione di Gianfranco Onatzirò Obinu, una storia da liberare
C’è il forte richiamo alla Sardegna: “siamo figli del mare. E figli del vento. Insoddisfatti in modo perenne, per l’eternità, alla ricerca di una forma che dia un senso al nostro continuo vagare”.
Ci sono le solide influenze esercitate dalla lunga esperienza nel teatro: “Vivere cento vite e sentirle tutte scorrere nel sangue come un flusso ininterrotto di emozioni violentissime”.C’è la indelebile impronta del volontariato educativo nella formazione della sua persona, vissuta nel lungo percorso dell’esperienza scout: "Lui ci credeva veramente. Allora come adesso dava alla dignità di ogni singolo individuo un valore così grande che gli era impossibile pensare a programmi educativi tirati via, prefabbricati, standardizzati"-
Ma c’è soprattutto la relazione con il padre. Una relazione ricca di rimorsi: “Babbo, parlami ancora. Raccontami di noi. Io non ho memoria del passato. E ho paura del silenzio che mi sento crescere dentro”. Una relazione autentica, spigolosa, irrequieta. Una relazione raccontata senza fronzoli, a volte nitida, altre volte annebbiata dal sogno, proprio come le memorie che conserviamo o che alteriamo nei cassetti della nostra mente.
I caratteri per liberare questa storia sul palcoscenico di un teatro o dentro una pellicola ci sono tutti. E allora, se un giorno, da Senza il mio nome nascerà una sceneggiatura, non ditemi che non vi avevo avvertiti.
Andrea Mameli, blog Linguaggio Macchina, 9 Gennaio 2021
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