02 settembre 2008

Quando non servono troppe parole (L'Unione Sarda, 2 settembre 2008)

comunicazione alternativa
















Quando non servono troppe parole

Un manuale illustra metodi e tecniche per un sostegno agli autistici
La comunicazione alternativa: ecco gli strumenti accessibili a tutti  

La comunicazione è un diritto fondamentale dell'individuo. Se oggi questo è un valore comune lo dobbiamo anche all'impegno degli estensori della Carta dei diritti della comunicazione, presentata nel 2003, frutto di un elaborato dibattito iniziato nel 1996 in ambito accademico intorno ai diritti dei popoli e dei singoli, dalla democrazia alla tecnologia. Questa sensibilità si è poi aperta ai diritti delle persone con disabilità a poter chiedere e ottenere attenzione, esprimere preferenze e sentimenti, scegliere tra alternative diverse, chiedere o rifiutare oggetti, azioni, persone, situazioni, inviare messaggi indipendentemente dal grado di disabilità, vedersi riconoscere il proprio atto comunicativo, partecipare come interlocutore, con gli stessi diritti di ogni altra persona, a interazioni e opportunità della vita di ogni giorno. 
Come garantire questi diritti quando il livello verbale è fortemente compromesso? Come intervenire nelle situazioni di limitazione motoria o cognitiva? La risposta è la “comunicazione aumentativa alternativa”. Questo strumento mette insieme conoscenze, tecniche, strategie e tecnologie per fornire soluzioni insieme “aumentative”, perché potenziano le preesistenti modalità di interazione, e “alternative”, in quanto fa uso di codici sostitutivi del sistema verbale. L'uso di simboli, fotografie e dispositivi elettronici garantisce modalità comunicative accessibili a tutti, quindi non impone la presenza costante di familiari e operatori per la traduzione dei desideri o delle intenzioni della persona interessata. La stessa Carta inserisce «il diritto di avere accesso a ogni necessario ausilio di comunicazione aumentativi alternativa, che faciliti e migliori la comunicazione e il diritto di averlo sempre aggiornato e in buone condizioni di funzionamento». Nel caso dei disturbi pervasivi dello sviluppo (autismo) la comunicazione alternativa trova impiego (spesso con enorme successo) per fornire un efficace mezzo di espressione e di apprendimento. Un recente manuale chiarisce le metodologie e gli strumenti in gioco: è il recente Immagini per parlare. Percorsi di comunicazione aumentativa alternativa per persone con disturbi autistici (Vannini Editrice, 180 pagine, 25 euro). L'opera di Paola Visconti (neuropsichiatria infantile, responsabile dell'ambulatorio autismo dell'Ospedale Maggiore di Bologna), Marcella Peroni (psicologa dei disturbi dello sviluppo) e Francesca Ciceri (psicologa e esperta di integrazione scolastica) parte da una constatazione: «Il linguaggio verbale è solo una piccola percentuale della comunicazione. Parliamo molto di più con il corpo che con la bocca, e anche se questo non ci appare completamente evidente, saremo sorpresi nel leggere i dati che mostrano che usualmente solo un 7 per cento del nostro messaggio passa attraverso il canale delle parole, mentre un 38 per cento passa tramite la comunicazione paraverbale, un 55 per cento attraverso il movimento del corpo». Il volume fornisce un'ampia panoramica delle possibilità offerte dalla comunicazione alternativa indicando metodologie, esempi, tecniche e numerosi spunti per la pratica operativa, con ricca documentazione visiva, e illustrando il percorso di apprendimento del sistema PECS: Picture Exchange Communication System. Il valore del manuale è assoluto, specie considerando la sua unicità, se si eccettua il libro di Giuseppe Doneddu e Roberta Fadda “I disturbi pervasivi dello sviluppo” (Armando, 2007). 
ANDREA MAMELI
L’Unione Sarda, Cultura – Pagina 9, 2 settembre 2008

01 settembre 2008

Sono razzista, ma sto cercando di smettere

barbujani cheli Il 2 settembre alle 18:00 (Cittadella della Salute, Villa Clara, padiglione E, a Cagliari in via Romagna 16) Andrea Mameli e Carla Calò presentano il libro di Guido Barbujani e Pietro Cheli "Sono razzista, ma sto cercando di smettere" (Laterza, 2008).
Niente razze, ma molte differenze, scritte nel nostro DNA e nella nostra cultura. E tanti, troppi pregiudizi, preconcetti e luoghi comuni, su cui inciampiamo continuamente.
L'appuntamento è promosso dai Laboratori di Cittadinanza del Dipartimento di Salute Mentale e organizzato in collaborazione con il circolo dei lettori Miele Amaro.

Manifesto degli Scienziati Antirazzisti 2008

Il 5 settembre 1938 il Re d’Italia Vittorio Emanuele III promulgava le Leggi Razziali frutto del Manifesto degli scienziati razzisti (pubblicato sul "Giornale d’Italia" il 14 luglio 1938 e sul periodico "La difesa della razza" il 5 agosto 1938).
Nel 2008 nasce il Manifesto degli Scienziati Antirazzisti.
Ecco il testo:
I. Le razze umane non esistono. L’esistenza delle razze umane è un’astrazione derivante da una cattiva interpretazione di piccole differenze fisiche fra persone, percepite dai nostri sensi, erroneamente associate a differenze “psicologiche” e interpretate sulla base di pregiudizi secolari. Queste astratte suddivisioni, basate sull’idea che gli umani formino gruppi biologicamente ed ereditariamente ben distinti, sono pure invenzioni da sempre utilizzate per classificare arbitrariamente uomini e donne in “migliori” e “peggiori” e quindi discriminare questi ultimi (sempre i più deboli), dopo averli additati come la chiave di tutti i mali nei momenti di crisi.
II. L’umanità, non è fatta di grandi e piccole razze. È invece, prima di tutto, una rete di persone collegate. È vero che gli esseri umani si aggregano in gruppi d’individui, comunità locali, etnie, nazioni, civiltà; ma questo non avviene in quanto hanno gli stessi geni ma perché condividono storie di vita, ideali e religioni, costumi e comportamenti, arti e stili di vita, ovvero culture. Le aggregazioni non sono mai rese stabili da DNA identici; al contrario, sono soggette a profondi mutamenti storici: si formano, si trasformano, si mescolano, si frammentano e dissolvono con una rapidità incompatibile con i tempi richiesti da processi di selezione genetica.
III. Nella specie umana il concetto di razza non ha significato biologico. L’analisi dei DNA umani ha dimostrato che la variabilità genetica nelle nostra specie, oltre che minore di quella dei nostri “cugini” scimpanzé, gorilla e orangutan, è rappresentata soprattutto da differenze fra persone della stessa popolazione, mentre le differenze fra popolazioni e fra continenti diversi sono piccole. I geni di due individui della stessa popolazione sono in media solo leggermente più simili fra loro di quelli di persone che vivono in continenti diversi. Proprio a causa di queste differenze ridotte fra popolazioni, neanche gli scienziati razzisti sono mai riusciti a definire di quante razze sia costituita la nostra specie, e hanno prodotto stime oscillanti fra le due e le duecento razze.
IV. È ormai più che assodato il carattere falso, costruito e pernicioso del mito nazista della identificazione con la “razza ariana”, coincidente con l’immagine di un popolo bellicoso, vincitore, “puro” e “nobile”, con buona parte dell’Europa, dell’India e dell’Asia centrale come patria, e una lingua in teoria alla base delle lingue indo-europee. Sotto il profilo storico risulta estremamente difficile identificare gli Arii o Ariani come un popolo, e la nozione di famiglia linguistica indo-europea deriva da una classificazione convenzionale. I dati archeologici moderni indicano, al contrario, che l’Europa è stata popolata nel Paleolitico da una popolazione di origine africana da cui tutti discendiamo, a cui nel Neolitico si sono sovrapposti altri immigranti provenienti dal Vicino Oriente. L’origine degli Italiani attuali risale agli stessi immigrati africani e mediorientali che costituiscono tuttora il tessuto perennemente vivo dell’Europa. Nonostante la drammatica originalità del razzismo fascista, si deve all’alleato nazista l’identificazione anche degli italiani con gli “ariani”.
V. È una leggenda che i sessanta milioni di italiani di oggi discendano da famiglie che abitano l’Italia da almeno un millennio. Gli stessi Romani hanno costruito il loro impero inglobando persone di diverse provenienze e dando loro lo status di cives romani. I fenomeni di meticciamento culturale e sociale, che hanno caratterizzato l’intera storia della penisola, e a cui hanno partecipato non solo le popolazioni locali, ma anche greci, fenici, ebrei, africani, ispanici, oltre ai cosiddetti ”barbari”, hanno prodotto l’ibrido che chiamiamo cultura italiana. Per secoli gli italiani, anche se dispersi nel mondo e divisi in Italia in piccoli Stati, hanno continuato a identificarsi e ad essere identificati con questa cultura complessa e variegata, umanistica e scientifica.
VI. Non esiste una razza italiana ma esiste un popolo italiano. L’Italia come Nazione si è unificata solo nel 1860 e ancora adesso diversi milioni di italiani, in passato emigrati e spesso concentrati in città e quartieri stranieri, si dicono e sono tali. Una delle nostre maggiori ricchezze, è quella di avere mescolato tanti popoli e avere scambiato con loro culture proprio “incrociandoci” fisicamente e culturalmente. Attribuire ad una inesistente “purezza del sangue” la “nobiltà” della “Nazione” significa ridurre alla omogeneità di una supposta componente biologica e agli abitanti dell’attuale territorio italiano, un patrimonio millenario ed esteso di culture.
VII. Il razzismo è contemporaneamente omicida e suicida. Gli Imperi sono diventati tali grazie alla convivenza di popoli e culture diverse, ma sono improvvisamente collassati quando si sono frammentati. Così è avvenuto e avviene nelle Nazioni con le guerre civili e quando, per arginare crisi le minoranze sono state prese come capri espiatori. Il razzismo é suicida perché non colpisce solo gli appartenenti a popoli diversi ma gli stessi che lo praticano. La tendenza all’odio indiscriminato che lo alimenta, si estende per contagio ideale ad ogni alterità esterna o estranea rispetto ad una definizione sempre più ristretta della “normalità”. Colpisce quelli che stanno “fuori dalle righe”, i “folli”, i “poveri di spirito”, i gay e le lesbiche, i poeti, gli artisti, gli scrittori alternativi, tutti coloro che non sono omologabili a tipologie umane standard e che in realtà permettono all’umanità di cambiare continuamente e quindi di vivere. Qualsiasi sistema vivente resta tale, infatti, solo se è capace di cambiarsi e noi esseri umani cambiamo sempre meno con i geni e sempre più con le invenzioni dei nostri “benevolmente disordinati” cervelli.
VIII. Il razzismo discrimina, nega i collegamenti, intravede minacce nei pensieri e nei comportamenti diversi. Per i difensori della razza italiana l’Africa appare come una paurosa minaccia e il Mediterraneo è il mare che nello stesso tempo separa e unisce. Per questo i razzisti sostengono che non esiste una “comune razza mediterranea”. Per spingere più indietro l’Africa gli scienziati razzisti erigono una barriera contro “semiti” e “camiti”, con cui più facilmente si può entrare in contatto. La scienza ha chiarito che non esiste una chiara distinzione genetica fra i Mediterranei d’Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall’altra. Sono state assolutamente dimostrate, dal punto di vista paleontologico e da quello genetico, le teorie che sostengono l’origine africana dei popoli della terra e li comprendono tutti in un’unica razza.
IX. Gli ebrei italiani sono contemporaneamente ebrei ed italiani. Gli ebrei, come tutti i popoli migranti ( nessuno é migrante per libera scelta ma molti lo sono per necessità) sono sparsi per il Mondo ed hanno fatto parte di diverse culture pur mantenendo contemporaneamente una loro identità di popolo e di religione. Così è successo ad esempio con gli armeni, con gli stessi italiani emigranti e così sta succedendo con i migranti di ora: africani, filippini, cinesi, arabi dei diversi Paesi , popoli appartenenti all’Est europeo o al Sud America ecc. Tutti questi popoli hanno avuto la dolorosa necessità di dover migrare ma anche la fortuna, nei casi migliori, di arricchirsi unendo la loro cultura a quella degli ospitanti, arricchendo anche loro, senza annullare, quando é stato possibile, né l’una né l’altra.
X. L’ideologia razzista é basata sul timore della “alterazione” della propria razza eppure essere “bastardi” fa bene. È quindi del tutto cieca rispetto al fatto che molte società riconoscono che sposarsi fuori, perfino con i propri nemici, è bene, perché sanno che le alleanze sono molto più preziose delle barriere. Del resto negli umani i caratteri fisici alterano più per effetto delle condizioni di vita che per selezione e i caratteri psicologici degli individui e dei popoli non stanno scritti nei loro geni. Il “meticciamento” culturale è la base fondante della speranza di progresso che deriva dalla costituzione della Unione Europea. Un’Italia razzista che si frammentasse in “etnie” separate come la ex-Jugoslavia sarebbe devastata e devastante ora e per il futuro. Le conseguenze del razzismo sono infatti epocali: significano perdita di cultura e di plasticità, omicidio e suicidio, frammentazione e implosione non controllabili perché originate dalla ripulsa indiscriminata per chiunque consideriamo “altro da noi”.

Manifesto degli scienziati antirazzisti 2008 [file Pdf, Regione Toscana]