03 agosto 2013

Muse: il museo dove i grandi fanno “Oh” (L'Unione Sarda, 3 Agosto 2013)

A meno di una settimana dall'inaugurazione non è ancora tempo di bilanci per il Muse di Trento, il maestoso museo interattivo della scienza disegnato da Renzo Piano («ma la riuscita la dobbiamo al fitto dialogo che ho avuto con i ricercatori» ha sottolineato l'architetto genovese) e riempito con il frutto della creatività e dell'ingegno di 120 esperti e comunicatori.
Tutte persone che hanno lavorato per 10 anni a questo progetto, grazie al contributo degli enti locali, dell'università, delle fondazioni e di aziende private. Un progetto di rilievo mondiale, in cui coesistono ricerca scientifica, divulgazione, esibizioni interattive, giochi per i bambini, accostamenti tra arte e scienza.
Un luogo luminoso, con un grande spazio centrale riempito da decine di animali e uccelli impagliati, sospesi nel vuoto. Un luogo sostenibile, in cui la maggior parte dell'energia arriva dal sole e dal suolo (con il geotermico a bassa entalpia dedicato al raffreddamento). Un luogo accessibile: tre lingue (italiano, tedesco, inglese), approcci diversificati per età e livelli di conoscenza, totale assenza di barriere architettoniche. Un luogo stimolante: dove non bastano l'esposizione o la guida in carne e ossa ci sono i tablet con gli approfondimenti interattivi e le guide digitali. Un luogo aperto: alcuni dei contenuti saranno in costante evoluzione.
I bilanci si fanno con i numeri e con le sensazioni. I primi è più serio contarli a distanza di mesi e non di giorni. Forniamo solo due dati: all'inaugurazione - durante la quale si è esibito anche il divulgatore cagliaritano Pietro Olla - hanno partecipato almeno 5 mila persone, mentre il primo giorno di apertura a pagamento, il 30 luglio, sono stati staccati 1388 biglietti. Resta sicuramente impresso negli occhi di chi ha partecipato alla giornata inaugurale, quel fiume ininterrotto di gente di ogni età all'entrata del Muse.
Per quanto riguarda le seconde va interpellata la persona che è stata determinante per la creazione di questo centro della scienza: il direttore Michele Lanzinger.
Che impressione ha ricavato in questi primi giorni di apertura?
«Osserviamo le persone che entrano al Muse e notiamo che restano particolarmente colpite. Per il momento ci siamo limitiati a guardare i volti e le reazioni che osserviamo direttamente, anche ascoltando le esclamazioni di stupore e di apprezzamento. Siamo molto soddisfatti del gradimento che rileviamo rispetto alle nostre esposizioni: animali, architetture, esperienze scientifiche. Siamo ancora alla ricerca degli elementi critici, che affronteremo senza indugio».
Dopo l'euforia dell'inaugurazione si entra gradualmente alla normalità?
«L'inaugurazione è un punto di partenza, non un punto di arrivo. Appena passato ferragosto inizieramo un'attività intensa nel mondo scolastico: puntiamo a superare il 70% di entrate scolastiche che avevamo nel vecchio museo con una serie di attività mirate e di programmi per varie fasce d'età».
Accanto alle esposizioni naturalistiche, alle sezioni interattive tipiche degli Science Center ci sono anche gli “artigiani tecnologici” del Fablab. L'esperienza continuerà?
«Il Muse Fablab sta suscitando enorme interesse da parte associazioni di appassionati di informatica, sviluppatori con Arduino e di pre-professionisti, ci saranno programmi con aperture specifiche e corsi».
Il Muse collaborerà con il Mart?
«Certamente. Con il Mart, diretto dalla vostra Cristiana Collu, abbiamo già in programma una serie di attività comuni».

Andrea Mameli (L'Unione Sarda, 3 Agosto 2013, inserto estate, pagina della cultura)

02 agosto 2013

L'analisi del cromosoma Y avvicina Adamo a Eva (e la Sardegna all'Europa)

A giudicare dal contenuto di due articoli appena pubblicati da Science sembra che l'ambum di famiglia dei Sapiens potrebbe aver bisogno di qualche pagina in più.
Gli studi si basano sull'incrocio di due dati: il cromosoma Y (patrimonio esclusivo degli uomini, ereditato di padre in figlio) e il DNA mitocondriale (patrimonio di uomini e donne, tramandato da madre a figlio/a).
Gli ipotetici antenati comuni sono chiamati Cromosoma Y Adamo e Eva mitocondriale.
Queste due parti del DNA umano sono le uniche che i bambini ereditano dai loro genitori con assoluta precisione. Ogni altra parte del DNA viene rimescolata in ogni nuovo nato.
Inoltre, se è vero che i padri trasmettono i loro cromosomi Y con precisione ai loro figli e le madri fanno lo stesso con il DNA mitocondriale a tutti i loro figli, in realtà si verificano delle mutazioni. Con che frequenza insorgono queste mutazioni? Scoprirlo è il lavoro dei genetisti. Quel che sappiamo con certezza che è che il DNA varia da individuo a individuo: il confronto tra i punti in cui le sequenze di DNA differiscono tra individui (o tra popolazioni in aree del mondo diverse: varianti genetiche), fornisce informazioni preziose. Il cromosoma Y è particolarmente adatto allo svolgimento di tali analisi, in quanto viene trasmesso solo dai padri ai figli maschi. Pertanto è presente solo nei maschi in copia singola senza i rimescolamenti tra i contributi paterni e materni tipici degli altri cromosomi.
La frequenza delle mutazioni su questo cromosoma fornisce un orologio molecolare utile nel tentativo di ricostruire il passato. 
Il risultato più rilevante di queste due importanti scoperte di genetica delle popolazioni retrodatano il nostro più recente antenato comune, mentre confermano l'età della nostra mamma comune.
Science ha affidato a Rebecca Cann il compito di commentare i due articoli: Y Weigh In Again on Modern Humans. Questo dimostra l'importanza che per la rivista dell'American Association for the Advancement of Science rivestono questi due studi di genetica delle popolazioni. Rebecca Cann, docente di Genetica all’Università delle Hawaii, è infatti una personalità in questo campo. Celebre per aver scoperto la cosiddetta "Eva africana": 1987, insieme a Mark Stoneking e Allan Wilson stabilì che che tutti gli umani discendono da una madre vissuta in Africa attorno al 200.000 a.C. (Mitochondrial DNA and human evolution).
A pagina 565 di Science Francalacci et al (Low-Pass DNA Sequencing of 1200 Sardinians Reconstructs European Y-Chromosome Phylogeny) hanno portato l'antenato Cromosoma Y Adamo ancora più indietro nel tempo: tra 180.000 e 200.000 anni fa. In altre parole lo studio ricostruisce la filogenesi del sardi.
A pagina 562
di Science Poznik et al. (Sequencing Y Chromosomes Resolves Discrepancy in Time to Common Ancestor of Males Versus Females utilizzando le sequenze di 69 genomi maschili provenienti da nove popolazioni, giungono alla conclusione che il più recente antenato comune maschio risale a un periodo compreso tra 120.000 e 156.000 anni fa. Hanno anche esaminato il DNA mitocondriale del loro campione di popolazione e hanno trovato un antenato comune femminile in un periodo compreso fra 99.000 a 148 mila anni fa.
Tutto ciò non significa che tutti gli uomini e tutte le donne discendono dalla stessa coppia così come Cromosoma Y Adamo ed Eva mitocondriale non sono il primo umano maschio e femmina, ma rappresentano invece gli antenati comuni della moderna cromosoma Y e moderno DNA mitocondriale.
In questo scenario l'antenato del cromosoma Y è molto più vecchio dell'antenato DNA mitocondriale e anticipa i primi fossili di Homo sapiens di oltre 100.000 anni. Questa discrepanza cronologica tra il dato ricavato dagli studi genetici (basati su campioni di sangue prelevati da umani viventi) e quello che emerge dalle prove fossili può significare che i primi Homo sapiens si accoppiarono con una specie di ominidi strettamente connessa.
Questi risultati possono ribaltare le conclusioni di studi precedenti nei quali il Cromosoma Y Adamo era solo metà o un terzo più vecchio del Cromosoma Eva mitocondriale. O altri nei quali l'antenato comune del Cromosoma Y si situava a tra 50.000 e 115.000 anni fa, e l'antenato comune del DNA mitocondriale tra 150.000 e 240.000 anni fa. 

Due mappe tratte dal lavoro di Rebecca Cann pubblicato su Science:
Possibile distribuzione di differenti popolazioni, 100 mila B.P.

71.000 B.P.
Non posso non soffermarmi sullo studio dedicato alla popolazione della Sardegna. La ricerca ha coinvolto tre gruppi locali: Istituto di Ricerca Genetica e Biomedica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IRGB-CNR), CRS4 e (Università di Sassari). E altri: Università di Pisa, Università di Bilbao, University of Michigan e National Institute on Aging (Baltimora).
Laura Morelli
Questo studio è dedicato a Laura Morelli, biologa dell’Università di Sassari prematuramente scomparsa (foto a sinistra).
Il risultato più rilevante della ricerca è che nei cromosomi Y analizzati sono state individuate le varianti genetiche che permettono di risalire ai più antichi abitandi dell’isola per tentare di ricostruire gli scenari di espansione demografica: i ricercatori sono riusciti a risalire a prima dell'arrivo in Sardegna dei Sapiens, fino ai progenitori africani (vissuti circa 180.000-200.000 anni fa).
Più di 50.000 anni prima di quanto riscontrato finora.
Il secondo aspetto significativo di questa ricerca è che nel DNA dei sardi è contenuta la maggior parte della variabilità presente sul DNA del cromosoma Y degli altri popoli europei.
Possiamo sintetizzare possiamo affermare che il sangue raccolto in Sardegna racchiudere le caratteristiche genetiche di tutti gli europei.
Andrea Mameli, blog Linguaggio Macchina, 2 Agosto 2013


31 luglio 2013

Muse: volontario per un giorno, curioso da sempre

Una magnifica esperienza, come volontario di supporto all'ufficio stampa e come visitatore curioso, quella che ho vissuto a Trento il 27 Luglio 2013, in occasione dell'inaugurazione del Muse.
Avevo il compito di twittare e di caricare foto su Instagram con i profili ufficiali dei Muse. Un'esperienza straordinaria che mi ha spinto a perlustrare ogni angolo del Muse, alla ricerca di inquadrature significative.
L'unica cosa che non ho visto sono gli spettacoli e le conferenze dell'inaugurazione, ma va bene così.

30 luglio 2013

Scienza interattiva con eXplora Muse. Marco Lorenzi spiega come funziona

La guida multimediale eXplora, progettata dal polo dell’innovazione Trento RISE, contiene gallerie fotografiche ad altissima risoluzione, video di approfondimento, immagini interattive, percorsi narrati. Il progetto, lanciato da Trento RISE, è sviluppato dall’agenzia di comunicazione Graffiti e da MobFarm, la prima azienda italiana ad aver sviluppato applicazioni per iPhone e iPad. Il progetto si avvale del contributo dello sviluppatore Giorgio Zanoni.
Il nome eXplora richiama il primo science center del mondo: l’Exploratorium di San Francisco (fondato nel 1969 da Frank Oppenheimer).
Per ulteriori informazioni: www.explora-museum.com

All'inaugurazione del Muse, il 27 Luglio 2013, ho potuto osservare eXplora da vicino e ho chiesto a Marco Lorenzi (Trento RISE) di mostrare alcune funzionalità:


Andrea Mameli www.linguaggiomacchina.it 30 Luglio 2013

Muse: conferenza stampa

Muse: conferenza stampa (27 Luglio 2013)

Andrea Mameli blog Linguaggio Macchina 30 Luglio 2013

Muse FabLab: un laboratorio per la creatività del fare. Intervista a David Tombolato.

Marco Mameli, 9 anni, osserva la stampante 3D (Muse, 27 Luglio 2013).
«La sfida più grande - spiega David Tombolato, responsabile del Muse Fab Lab - era quella di entrare in un piano dedicato alla preistoria e all'innovazione nel percorso evolutivo della nostra specie ("Dai primi uomini sulle Alpi al futuro digitale"). L'abbiamo affrontata avendo a cuore la cultura del fare digitale, la cultura della mano che torna a essere importante».

Quando è stato pensato questo progetto? 
«L'idea del Muse Fab Lab è nata circa un anno fa. Ma gli allestimenti sono stati montati in appena quattro giorni e l'installazione dei macchinari è durata 24 ore».

Chi ha lavorato alla progettazione?
«Da Marzo 2013 abbiamo avuto la collaborazione di Massimo Menichinelli, reduce da una significativa esperienza nello sviluppo dell’Aalto FabLab a Helsinki e nella partecipazione al Fab BootCamp nel FabLab Barcelona e alla FabAcademy nel FabLab Amsterdam».

Chi lo gestisce adesso?
«Sabina Barcucci e Matteo Perini, scelti attraverso una selezione europea. Saranno loro a portare avanti i progetti di interazione e formazione con scuole, fondazioni, università, e ovviamente la gestione delle macchine collocate nel Muse».

Chi potrà usare le macchine del Muse Fablab?
«Saranno sono aperte a tutti coloro che hanno idee da sviluppare, per la creazione di modelli 3D e per il taglio laser, ma anche per la progettazione di circuiti con Arduino. Organizzeremo anche attività per bambini, dal disegnare mostri e stamparli, fino alla programmazione».
 
Andrea Mameli blog Linguaggio Macchina 30 Luglio 2013

29 luglio 2013

MUSE, ovvero l'arte di coinvolgere per comunicare scienza e tecnologia

Il Muse mi piace molto (i lettori di Linguaggio Macchina lo sanno bene: Il Muse ispiratore e le muse ispiratrici). Ho avuto la fortuna di visitarlo con calma, prima dell'inaugurazione, e durante Ho apprezzato la struttura dell'edificio e il suo livello di sostenibilità energetica (Leed Gold).
Considero il percorso espositivo, dal piano -1 alla terrazza, un eccellente esempio di progettazione condivisa. Di quella che Renzo Piano all'inaugurazione ha definito "una partita a ping pong a quattro, tra architetti, maestranze, comunicatori e scienziati".
Il percorso espositivo del MUSE dal basso verso l'alto -1: Storia della vita e Serra tropicale; P.T. Piano terra; 1: La scoperta inizia dai sensi; 2: La lunga storia delle Dolomiti; 3: Natura alpina; 4: Alte vette; Ter.: Terrazza.
Trovo eccellente l'idea di sospendere gli animali impagliati e lo scheletro della balena nel vuoto. Renzo Piano ha parlato di effetto Zabriskie Point (la scena finale del film con l'esplosione rallentata) ma io ci vedo anche una prosecuzione del Big Bang in una continua deflagrazione della natura dalle molecole dei primordi alle forme di vita più sofisticate.
Ammiro molto la cura dei particolari, frutto evidente di una continua ricerca (non della perfezione ma del progressivo perfezionamento) e di lavoro di gruppo. Senza dimenticare la disponibilità e la simpatia dimostrata (nonostante la stanchezza) da chi ci lavora.
Mi ha sopreso la presenza di un ghiacciaio artificiale (peraltro mantenuto freddo da una fonte rinnovabile: il geotermico a bassa entalpia) al quarto piano dell'edificio. Una scelta dettata dal bisogno di ricordare che l'acqua in forma solida rappresenta una riserva preziosa e in alcuni contesti è minacciata dagli effetti delle attività umane.
Ma la presenza che mi ha sorpreso maggiormente è quella del Muse Fab Lab. Non tanto e non solo per le prodigiose macchine (laser e stampanti 3D) e per i circuiti (basati su schede Arduino). Mi ha colpito vedere un laboratorio di creatività dentro un museo della scienza (o meglio un Science Center). Mi ha colpito molto positivamente: lo considero un segno dei temi. Segno che, oggi, la consapevolezza che fare è una parola da tenere ben collegata a conoscere è sempre più radicata.
Non lo dico solo per quello che ho visto e per le parole che ho scambiato con i ragazzi che gestivano lo spazio (purtroppo non ho preso nota dei loro nomi perché li vorrei lodare pubblicamente). Lo affermo dopo aver osservato le reazioni di Marco (mio figlio di 9 anni). Raramente ho visto Marco concentrato a guardare una cosa (se si eccettuano i concerti dal vivo, i cartoni animati, i film d'azione e i videogiochi) come quella sera davanti alla stampante 3D del Muse Fab Lab. Le foto che seguono credo che possano testimoniare a sufficienza.
Questo è un modo, ai miei occhi insieme splendido e sorprendente, di coinvolgere per comunicare la tecnologia (e se possibile anche la scienza che c'è dietro).

Andrea Mameli blog Linguaggio Macchina 29 Luglio 2013

Per approfondire sul tema FabLab: Menichinelli: oggi apre il FabLab Trento, all’interno del nuovo MUSE27 luglio (Che futuro! 27 Luglio 2013)

Si chiama eXplora Muse l'aiuto digitale alla comunicazione della scienza

Il MUSE ha scelto un aiuto digitale per la sua azione di comunicazione della scienza. Un aiuto che non si sostituisce alle guide in carne e ossa ma le affianca, fornendo ai visitatori approfondimenti con profondità e livelli di interazione differenziati (per età, conoscenza dei temi affrontati, voglia di approfondire, ecc.) ovviamente multimediale.
Si chiama eXplora Muse ed è stato sviluppato da due aziende italiane (Graffiti e MobFarm) con il contributo dello sviluppatore trentino Giorgio Zanoni.
I bambini possono colorare i dinosauri e giocare le fauci del grande coccodrillo.  
I grandi possono cliccare sulle interviste agli esperti e orientarsi nel MUSE confezionando un proprio percorso (o cercando consigli su come muoversi).
Nei due video sotto Marco Lorenzi illustra come funzionano.


Non manca l'approccio social con la possibilità di pubblicare su Facebook (e presto anche su Twitter) le foto scattate con il tablet (un iPad Mini) e di esprimere il proprio gradimento per le emozioni e le conoscenze raccolte in giro per il MUSE.

A mio avviso è un ottimo strumento di supporto alla comunicazione della scienza, migliorabile come ogni cosa appena fatta, ma sicuramente si parte già da un livello altissimo. E in quanto strumento digitale è chiaro che quel che manca (ad esempio altri giochi per i bambini e qualche altra apertura al mondo social) potrà essere ggiunto presto. Così come quel che si può correggere (solo l'uso massiccio e l'ascolto delle proposte/critiche degli utenti potrà dirlo) sarà possibile modificato in breve tempo.
Andrea Mameli blog Linguaggio Macchina, 29 Luglio 2013
. L'audioguida? Roba vecchia: al MUSE di Trento ecco l’iPad customizzato con video, foto e contenuti extra sull’allestimento. Un prodotto tecnologico nato in loco e pronto per approdare al Mart (Artribune, 29 Lugkio 2013)

28 luglio 2013

Il Muse ispiratore e le muse ispiratrici


Non ci vuole molto a capire che il Muse, inaugurato a Trento poche ore fa, potrà diventare un modello: di politiche del territorio illuminate, di collaborazione tra università e centri di ricerca, di sapiente coinvolgimento di finanziatori pubblici e privati, di dedizione a un progetto di altissimo livello, di paziente attesa (10 anni), di utilizzo di metodi e strumenti innovativi per la comunicazione della scienza, di progettazione condivisa tra architetti, ricercatori e comunicatori.
Muse come ispiratore di un nuovo modo di (ri)pensare la città? Di nuove iniziative di comunicazione della scienza? Di approccio alla cultura accessibile e non elitario? Forse.
Di sicuro il Muse non è un giocattolo per pochi ma ha le carte in regola per incidere, e non poco, a livello educativo e conoscitivo, nonché di ricerca.
Ho apprezzato molto il modo (davvero poco politichese) in cui è stata presentata la narrazione su quello che c'è dietro il progetto del Muse. Chi ha parlato (prima in conferenza stampa e poi pubblicamente) ha sottoloneato la profondità e per molti versi l'originalità del pensiero su cui il Muse è fondato. Un pensiero nutrito e fortificato in 10 anni di faticoso e paziente lavoro: convincere politici, amministratori e investitori privati della bontà del progetto, organizzare un gruppo di lavoro di alto livello, saper lavorare in gruppo valorizzando le competenze presenti in loco e acquistando il prezioso servizio di altre, sapersi porre dei limiti (di spese, di tempi e perché no anche di impatto ambientale), sapersi aprire a nuove idee (il Muse Fablab, che descriverò in un prossimo post, è un esempio lampante).
Ma il successo del Muse (non conosco i numeri esatti ma ai miei occhi il fiume di persone che facevano la fila per entrare e l'affollamento di giornalisti in occasione della conferenza stampa rappresentano un duplice indicatore successo) ha un motivo molto preciso, riconducibile a due bisogni: di sapere e di emozionarci nel corso delle manovre di avvicinamento a quel sapere.
E, com'è stato sottolineato durante l'inaugurazione del Muse, questi due bisogni, anzi per meglio dire la loro unione (in Italia) hanno avuto due muse ispiratrici: Rita Levi Montalcini e Margherita Hack. Non solo loro, certo, ma il loro contributo (talvolta inconscio) a questo processo è stato, a mio parere, notevole.

Andrea Mameli blog Linguaggio Macchina 28 Luglio 2013