09 maggio 2020

Una nuova vita per tutti i nostri musei (9 maggio 2020)

Una nuova vita per tutti i nostri musei (L'Unione Sarda, 9 maggio 2020)


«I musei cambieranno? Non tanto nella struttura, già adatta a garantire ingressi controllati e distanze tra le persone, quanto nelle modalità di approccio? In tutto questo la funzione delle guide e la loro preparazione manterranno sempre la loro centralità? Abbiamo rivolto queste domande a Marco Peri, casse 1978: cagliaritano, educatore museale, storico dell’arte e ricercatore, autore del libro “*nuovi occhi* Reimmaginare l’educazione al museo”. L'autore descrive l'obiettivo del suo lavoro in modo molto semplice: immaginare nuove possibilità per vivere l'esperienza dell'arte dentro i musei. Ma di fatto non è per niente semplice, anche a causa dei cambiamenti sempre più frequenti a cui il mondo dell'educazione e il mondo dei musei sono soggetti»
Peri, è o sarà in atto una trasformazione?
«I processi di trasformazione sono sempre in atto, non c’è dubbio che gli eventi recenti costituiscano un potente acceleratore. Questa situazione scuote dalle basi il nostro sistema, la nostra “normalità” di vivere insieme, di fare, di sognare. Oggi i presupposti del cambiamento restano incerti e sembra difficile prevedere quale sarà il risultato. Questa situazione ci offre però un nuovo spazio di opportunità. Ogni trasformazione socioculturale comporta la responsabilità delle persone, dunque il risultato dipenderà da noi. Se i musei contemporanei vogliono essere protagonisti del cambiamento, individuale e sociale, dovranno estendere i loro orizzonti di ricerca dall’ambito strettamente conservativo ed espositivo verso l’ambito educativo, per conoscere ed accogliere un pubblico più numeroso ed eterogeneo a cui offrire strumenti di conoscenza per attraversare la complessità».
Nel libro le sale dei musei sono descritte come spazi di libertà che consentono collegamenti fra opere, idee, emozioni. Ma per realizzare tutto questo qual è il ruolo delle guide?
«Predomina l’idea che l’esperienza dell’arte implichi uno sforzo razionale di conoscenza che necessita del supporto esperto di una guida. In realtà considerare il museo uno spazio di libertà, significa l’opposto, cioè che ciascuna persona può rispecchiarsi nell’arte come desidera. L’esperienza dell’arte può essere vissuta in tanti modi diversi, tutti validi: un’occasione per riflettere intorno al pensiero e l’opera degli artisti, oppure un’opportunità per coinvolgere le emozioni e l’immaginazione, o ancora, uno spazio di scoperta introspettiva. Visitare un museo dovrebbe essere l’occasione per trovare risposte a domande come queste: In che modo le storie dell’arte possono intrecciarsi con la vita di ciascuno di noi? Come l’esperienza dell’arte può aiutarmi a comprendere meglio il mio modo di essere, il mio vissuto, i miei desideri? Una guida attenta, sensibile ed empatica, può coinvolgere le persone in questo percorso, sollecitando il senso di meraviglia e invitando ad osservare non solo l’arte, ma il mondo con occhi nuovi e curiosi».
In che senso, come si legge nel libro, lo scopo principale di ogni attività del museo dovrebbe essere la valorizzazione delle possibilità d’incontro con tutti i tipi di pubblico?
«Considero il museo contemporaneo un formidabile spazio di relazione, un luogo in cui possiamo incontrare il passato, ma anche vivere il presente ed immaginare il futuro. Un museo dovrebbe interpretare il ruolo di ‘spazio sociale’, accogliente e inclusivo, in cui ciascuna persona, con la propria sensibilità ed esperienza, può trovare stimoli per comprendere e interpretare al meglio il proprio tempo. Un museo è davvero uno spazio inclusivo quando è capace di eliminare le barriere, fisiche, sociali e culturali, offendo a tutti le migliori condizioni per vivere l’esperienza dell’arte. Tra le istituzioni culturali, il museo contemporaneo è il luogo ideale per consolidare il rapporto tra cultura e società, generando uno scambio significativo tra cultura e persone. Un incontro che talvolta può essere trasformativo».

ANDREA MAMELI



08 maggio 2020

Ho apprezzato Into the night. Ma "the sun moves around the world" proprio non mi piace

Into the night (Belgio, 2020) è una serie tv diretta da Jason George. La storia, ispirata al libro dello scrittore polacco Jacek Dukaj, "The Old Axolotl", è quella di una Terra minacciata dal Sole. Nel senso che la luce solare uccide. Quindi l'unica salvezza è inseguire la notte.
I protagonisti della serie si cimentano in una continua corsa da est verso ovest, ma solo dopo che Terenzio Gallo (interpretato da un ottimo Stefano Cassetti), prende possesso dell’aereo e svela il terribile fenomeno preparando il gruppo all'inattesa avventura.

Il passaggio dalla normalità alla vicenda fantascientifica, quel volare verso ovest fuggendo disperatamente la luce del sole, cela un altro significato più profondo: siamo in grado di condividere un obiettivo superiore (salvarci tutti insieme) rispetto alla tentazione egoistica di dividerci sperando di farcela da soli? E se tutto questo avviene in un gruppo di perfetti sconosciuti allora il dilemma etico è servito su un piatto d'argento.

Gli ingredienti per la riuscita della serie ci sono tutti e in effetti le sei puntate sono ben strutturate, il ritmo è alto, l'insieme regge molto bene. La prima stagione finisce con numerosi interrogativi per creare una forte attesa del seconda.

Nel primo episodio c'è però una frase (che per sicurezza ho letto e ascoltato in tre lingue diverse) che mi ha lasciato perplesso: "the sun moves around the world", "le soleil tourne autour de la Terre", "il sole ruota attorno alla terra".
[La frase intera, nelle tre lingue, è nelle tre foto seguenti]

La mia perplessità nasce dalla definizione stessa di fantascienza: storie fantastiche ancorate su basi narrative credibili. Inoltre quella frase non c'entra niente con la chiave fantascientifica della storia.
Se il riferimento doveva essere a quello che comunemente si chiama il moto apparente del sole, forse si poteva trovare un altro modo per dire la stessa cosa senza cadere in quel un buco nero? Non lo so. So solo che quella frase mi ha lasciato perplesso.

Andrea Mameli, blog Linguaggio Macchina, 8 Maggio 2020




04 maggio 2020

Tito e gli alieni (2017): una favola insolita, tra terra e cielo


Ho visto un film e mi è diventato subito simpatico. S'intitola Tito e gli alieni (2017); la regia è di Paola Randi; la sceneggiatura è stata scritta da Paola Randi, con la collaborazione di Massimo Gaudioso, Laura Lamanda.
Perché mi risulta simpatico? Forse perché gli alieni del titolo sono un pretesto leggero per raccontare uno dei fatti più pesanti che ci possano capitare: la perdita di una persona cara. Tito e gli alieni lo fa con insolita delicatezza: nel film non c'è la ricerca della lacrima facile.
La storia è potente e il film è girato molto bene; la recitazione, la fotografia e le musiche sono di alto livello. In più per me c'è un secondo elemento di simpatia: al centro della storia c'è la ricerca di segnali dallo spazio, con Valerio Mastrandrea nel ruolo di astrofisico. Inoltre una delle prime proiezioni è stata organizzata nella sede dell'ASI, l'Agenzia Spaziale Italiana. Ho trovato un aneddoto carino, legato alla proiezione nella sede dell'ASI. L'ha raccontato la regista a La Repubblica (6 giugno 2018) «Io ero terrorizzata e invece alla fine del film un astrofisico è venuto da me e mi ha detto: 'Lo sa che ha raccontato una mezza verità: il tempo non è lineare per cui esistono delle tracce di chi non c’è più, soltanto non possiamo recuperare questi dati'».


Perché sto raccontando le mie sensazioni su questo film? Perché mercoledì, grazie a Francesco Trento, potrò incontrare Paola Randi e sentire la sua spiegazione di come si passa dalla scrittura di un film alla sua realizzazione.
Come chi segue questo blog sa bene, ci sono poche cose che mi affascinano come il mistero della trasformazione della sceneggiatura in pellicola.
Quindi ancora una volta sono grato a Francesco per questa straordinaria opportunità: la partecipazione al corso gratuito Come si scrive una grande storia.

P.S. Durante l'incontro Paola Randi ha raccontato il suo desiderio di fare un film di fantascienza e la sua felicità nello scriverlo e girarlo davvero. Un film in cui la fantasia (Tito) vivesse in equilibrio con la verità oggettiva (la sorella di Tito). Per questo ha impiegato molto tempo a indagare sul tema scientifico (le onde e i radiotelescopi). Mi ha colpito quando ha raccontato: che avrebbe voluto girare una scena con una vasca piena di liquido non newtoniano (mi è tornata in mente una bella esperienza vissuta al Festival Tuttestorie di Cagliari nel 2008) e quando ha rivelato di essere passata dalla laurea in giurisprudenza alla regia.
Un altro aspetto del film emesso durante l'incontro con Paola Randi è che tra la sceneggiatura e le scene sul set "sono i personaggi che portano l'azione".


Chi desidera seguire le lezioni di Francesco deve contattarlo direttamente: scrivereunagrandestoria@gmail.com (e chi desidera sdebitarsi può fare una donazione a Emergency o Casetta Rossa o Nonna Roma o Non una di meno o Nessuno deve restare indietro. Dona per la raccolta alimentare).
Francesco risponde con le chiavi di accesso a Zoom, la piattaforma attraverso la quale si svolgono le lezioni interattive.
Ecco il programma della prossima settimana (sempre alle 17:00 per circa 2 ore):
Lunedì 11: A metà del secondo atto. Esperienza di morte, smascheramento, slap in the face: la dura vita dei personaggi durante la Prova centrale (PRIMA PARTE);
Mercoledì 13: Lettura e commento di una sceneggiatura (Arrival);
Venerdì 15: A metà del secondo atto. Esperienza di morte, smascheramento, slap in the face: la dura vita dei personaggi durante la Prova Centrale (SECONDA PARTE).

Altre informazioni nella pagina fb del corso: https://www.facebook.com/scriveregrandistorie/