Michele Parrinello, l'uomo che osserva la danza degli atomi (L'Unione Sarda, 27 giugno 2006)

Per osservare la danza degli atomi servono strumenti sempre più potenti. Per questo i fisici studiano nuove simulazioni. Lo ha spiegato ieri a Cagliari il fisico Michele Parrinello (direttore di un centro di ricerca a Lugano, docente di chimica computazionale alla Normale di Pisa e di scienze computazionali al Politecnico di Zurigo). In città per il conferimento della laurea honoris causa in Scienza dei Materiali, ha discusso una tesi dal titolo: "Vedere la danza degli atomi". 
Professor Parrinello, a che cosa servono gli strumenti di simulazione? 
«Tradizionalmente le discipline scientifiche si sono mosse su due gambe: quella sperimentale e quella teorica. Negli ultimi decenni è entrata in scena una terza maniera di fare scienza, la simulazione numerica. I motivi per cui si scelgono le simulazioni sono di natura pratica, poiché permettono di condurre esperimenti che non possono essere realizzati in laboratorio, e concettuali, in quanto l’esperimento misura alcuni parametri ma poi è necessario capire cosa accade al sistema nel suo complesso. Gli strumenti di simulazione, resi possibili dalla crescente potenza del computer, fanno comprendere i fenomeni fisici in maniera più profonda e dettagliata. Inoltre in questo campo le equazioni non si possono sempre risolvere, per cui le approssimazioni diventano fondamentali». 
Il modello funziona? 
«Con lo strumento ideato da me e Roberto Car ora con le simulazioni numeriche possiamo vedere cosa accade all’interno degli atomi quando ballano, si muovono, reagiscono tra loro. Ovviamente abbiamo bisogno di migliorare le simulazioni, per studiare sistemi più grandi e per predire fenomeni su scale di tempi molto lunghi. In fondo il desiderio è quello di catturare la complessità, ottenere modelli più vicini alla realtà». 
Dunque servono computer sempre più potenti? 
«La potenza di calcolo è molto importante, ma credo che al di sopra si debba porre l’importanza delle idee».
Quali sono le implicazioni dell’avvicinamento tra diverse discipline? 
«Sono fondamentali. Io ho vissuto pericolosamente , sempre al limite tra diverse discipline, traendo grande beneficio. E penso che la scienza moderna sarà sempre più interdisciplinare. Da un lato pensiamo quanto biologia e medicina hanno beneficiato dei progressi di chimica e fisica, a partire dagli strumenti diagnostici. Dall’altro lo studio della complessità con cui funzionano le macchine biologiche è un modello da cui trarre ispirazione per ideare nuove soluzioni». 
Quando si costruiranno modelli in grado di rappresentare strutture naturali estremamente complesse, come il cervello umano? 
«In tanti lavorano in quest’area. Resta ancora molto da scoprire».
Come considera la ricerca italiana? Cosa può fare lo Stato per rallentare la fuga di cervelli?
«Giudicare la ricerca è difficile. Osservo molte eccellenze: gli studenti migliori in campo scientifico, sfornati dalle università italiane, sono di una qualità confrontabile con quella dei laureati in altre parti del mondo. Questo è molto positivo. Il pericolo, a parte la cronica mancanza di soldi, lo vedo invece nella mancanza di prospettive per i giovani. E nella carenza di spazi di autonomia per coloro che intendono intraprendere la carriera scientifica. Spesso un ragazzo deve mettersi al servizio di un docente e non è stimolato a essere indipendente, ma nella scienza, che si basa sull’avere idee e darsi da fare, diventa cruciale. Così le belle intelligenze di molti ragazzi si perdono oppure emigrano».
Ritornerebbe a lavorare in Italia?
«Il mio lavoro più importante l’ho fatto in Italia e spero un giorno di poter ritornare. Tra qualche anno in Svizzera andrò in pensione, poi vedremo».

Andrea Mameli




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