«Più alleati e meno imputati nella lotta al Grande Caldo» (L'Unione Sarda, 20 marzo 2007)
Richard Branson, fondatore dell’impero commerciale Virgin, offre una ricompensa di 25 milioni di dollari a chi riuscirà a ridurre di un miliardo di tonnellate all’anno il carbonio disperso nell’atmosfera terrestre. Il 2 febbraio l’Intergovernmental Panel on Climate Change, l’autorità mondiale costituita nel 1988 dall’Onu per studiare i mutamenti climatici, aveva reso noti i primi risultati del rapporto 2007. Accanto all’inevitabile aumento della temperatura mondiale (da 1,8 a 4 gradi entro il 2100) e altre previsioni catastrofiche, i 600 scienziati (di 40 nazionalità) incaricati di studiare le cause del fenomeno indicano nell’Homo Sapiens il principale responsabile del disastro. Bruciando combustibili organici (legno, carbone, petrolio) nel corso degli ultimi due secoli l’uomo immesso in atmosfera di circa 300 miliardi di tonnellate di carbonio, contribuendo a modificare il clima globale.
Da quando l’Homo Sapiens ha imparato a usare il fuoco l’energia è sempre stata legata al carbonio: legno, carbone, petrolio e gas naturale. Il rapporto “Climate Change 2007” non parla ancora dei rimedi (la seconda parte del documento sarà diffusa tra un mese) ma molti esperti li individuano nell’adozione massiccia di fonti rnnovabili non carboniose. Tuttavia, al contrario di Branson, c’è chi non apprezza il rapporto “Climate Change 2007” come l’American Enterprise Institute, organismo finanziato dalla ExxonMobil, che ha spedito a centinaia di scienziati una lettera in cui offre 10.000 dollari, più rimborso spese, in cambio della stesura di un cirsostanziato contro-rapporto volto a screditare il lavoro dell’organismo sovranazionale.In realtà dallo stesso rapporto l’Intergovernmental Panel on Climate Change, come ha confermato nei giorni scorsi a Cagliari la relazione del professor Brambati, i dati attualmente disponibili non sono sufficienti per definire correttamente qual’è stato l’esatto contributo delle attività umane allo sviluppo di questo fenomeno. Lo sostiene anche Giosuè Loj, docente di rilevamento geoambientale all’Università di Cagliari e componente dell’Osservatorio nazionale del suolo.
La lettura di Brambati è corretta?
«Sì ma non attardiamoci a cercare i colpevoli. Andrebbero Rsubito considerati – sottolinea Loj – anche altri fattori, come le aree agricole e forestali, come indicato chiaramente anche nel documento strategico regionale 2007-2013 recentemente approvato dalla giunta. E come ha sottolineato lo stesso Brambati».
Quale sarà allora il salto di qualità?
«Occorre aumentare la consapevolezza che la lotta alla desertificazione, i cambiamenti climatici, l’erosione costiera e stato presentato il progetto DeSurvey: un sistema integrato per il controllo e la valutazione di desertificazione e vulnerabilità del territorio, che sarà testato anche in Sardegna, costituito da strumenti informatici che elaborano dati climatici e socio-economici unitamente a informazioni su condizioni e uso del suolo. Questo progetto mette in evidenza il ruolo della chiave dell’Unione Europea nel trovare una soluzione ai problemi creati dal cambiamento climatico e delle iniziative di mitigazione. Inoltre, la Sardegna è inserita nella strategia comunitaria per la difesa delle aree costiere con il progetto Eurosion, commissionato nel 2001 dal Parlamento Europeo e realizzato dalla Direzione Generale Ambiente della Commissione Europea. Per la Sardegna ne facciamo parte io e Sandro De Muro, docente di Geologia Marina e Sedimentologia all’Università di Cagliari»
Andrea Mameli
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