Un arbusto sardo contro la leishmaniosi (L'UNIONE SARDA 13 febbraio 2009 Cultura Pagina 43)
Un tempo in Sardegna era usata per intontire i pesci delle acque interne (“pisci alluau”). Oggi, grazie a una ricerca degli studiosi dell’Università di Cagliari, la pianta dell’euforbia (“Euphorbia characias”) assume un ruolo di assoluto rilievo nella lotta contro una delle peggiori malattie parassitarie: la leishmaniosi.
L’importante scoperta è stata annunciata ieri da Giovanni Floris, ordinario di Biochimica e Biologia molecolare all’Università di Cagliari, coordinatore del gruppo di ricerca composto da due biochimiche (Rosaria Medda e Francesca Pintus) e due biologhe (Delia Spanò e Silvia Massa).
La ricerca, condotta nella sezione di Biochimica e biologia molecolare del Dipartimento di Scienze applicate ai biosistemi con la collaborazione dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale della Sardegna, è stata finanziata dalla Fondazione Banco di Sardegna.
Il cuore di questa ricerca indica che la proteina estratta dal lattice dell’Euphorbia characias permette di ridurre del 95 per cento la crescita e la moltiplicazione di questi protozoi.
Le leishmaniosi, chiamate così in ricordo di William Leishman, il medico inglese che un secolo fa osservò la malattia, sono trasmesse dalla puntura di ditteri ematofagi (flebotomi, noti con il nome di pappataci) di una trentina di specie. Alcune forme di questo morbo sono frequenti anche nell’uomo, in particolare negli individui immunodepressi, e l’infezione - è stato accertato - è assente soltanto in Antartide, in Australia e in Oceania.
La Leishmaniosi è una malattia che si presenta con un ampio ventaglio di sintomi, ed è caratterizzata da una complessa modulazione della risposta immunitaria. Il più colpito è il cane e questo animale rappresenta il principale “incubatore” per i protozoi responsabili della parassitosi.
In alcune aree della Sardegna, ha fatto notare Giovanni Floris, oltre il 90 per cento dei cani risulta colpito da leishmaniosi: anche per questo la scoperta riveste una particolare importanza. Mentre in campo umano le terapie disponibili portano le percentuali di guarigione completa al 96 per cento dei casi, la Leishmaniosi canina è una patologia fino ad oggi di difficile soluzione.
Ma dal momento che la trasmissione all’uomo avviene attraverso la puntura delle femmine di flebotomo infettate dopo essere entrate in contatto con cani malati, appare evidente che la migliore prevenzione si attua aggredendo la malattia sul nostro amico a quattro zampe.
Va però detto che la trasmissione della leishmaniosi dal cane all’uomo si verifica con una incidenza modesta rispetto alla diffusione della malattia nel cane. La leishmaniosi infatti non viene trasmessa direttamente da cane a uomo in quanto il protozoo, per diventare infettante, deve prima compiere nel flebotomo una parte del proprio ciclo biologico. La vicinanza o il possesso di un cane infetto comportano per l’uomo un rischio epidemiologico molto basso.
La scoperta conferma il valore della ricerca di base che viene condotta da tempo in Sardegna e le sue grandissime potenzialità: considerando che si tratta di una pianta diffusa in tutta la Sardegna, l’applicazione dei risultati della ricerca potrebbe ragionevolmente portare in tempi brevi alla produzione di un principio attivo utilizzabile a scopo sanitario.
A. M.
L’importante scoperta è stata annunciata ieri da Giovanni Floris, ordinario di Biochimica e Biologia molecolare all’Università di Cagliari, coordinatore del gruppo di ricerca composto da due biochimiche (Rosaria Medda e Francesca Pintus) e due biologhe (Delia Spanò e Silvia Massa).
La ricerca, condotta nella sezione di Biochimica e biologia molecolare del Dipartimento di Scienze applicate ai biosistemi con la collaborazione dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale della Sardegna, è stata finanziata dalla Fondazione Banco di Sardegna.
Il cuore di questa ricerca indica che la proteina estratta dal lattice dell’Euphorbia characias permette di ridurre del 95 per cento la crescita e la moltiplicazione di questi protozoi.
Le leishmaniosi, chiamate così in ricordo di William Leishman, il medico inglese che un secolo fa osservò la malattia, sono trasmesse dalla puntura di ditteri ematofagi (flebotomi, noti con il nome di pappataci) di una trentina di specie. Alcune forme di questo morbo sono frequenti anche nell’uomo, in particolare negli individui immunodepressi, e l’infezione - è stato accertato - è assente soltanto in Antartide, in Australia e in Oceania.
La Leishmaniosi è una malattia che si presenta con un ampio ventaglio di sintomi, ed è caratterizzata da una complessa modulazione della risposta immunitaria. Il più colpito è il cane e questo animale rappresenta il principale “incubatore” per i protozoi responsabili della parassitosi.
In alcune aree della Sardegna, ha fatto notare Giovanni Floris, oltre il 90 per cento dei cani risulta colpito da leishmaniosi: anche per questo la scoperta riveste una particolare importanza. Mentre in campo umano le terapie disponibili portano le percentuali di guarigione completa al 96 per cento dei casi, la Leishmaniosi canina è una patologia fino ad oggi di difficile soluzione.
Ma dal momento che la trasmissione all’uomo avviene attraverso la puntura delle femmine di flebotomo infettate dopo essere entrate in contatto con cani malati, appare evidente che la migliore prevenzione si attua aggredendo la malattia sul nostro amico a quattro zampe.
Va però detto che la trasmissione della leishmaniosi dal cane all’uomo si verifica con una incidenza modesta rispetto alla diffusione della malattia nel cane. La leishmaniosi infatti non viene trasmessa direttamente da cane a uomo in quanto il protozoo, per diventare infettante, deve prima compiere nel flebotomo una parte del proprio ciclo biologico. La vicinanza o il possesso di un cane infetto comportano per l’uomo un rischio epidemiologico molto basso.
La scoperta conferma il valore della ricerca di base che viene condotta da tempo in Sardegna e le sue grandissime potenzialità: considerando che si tratta di una pianta diffusa in tutta la Sardegna, l’applicazione dei risultati della ricerca potrebbe ragionevolmente portare in tempi brevi alla produzione di un principio attivo utilizzabile a scopo sanitario.
A. M.
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