La scienza assolve il cioccolato: «Un piacere, non una droga» (L'Unione Sarda, 21 ottobre 2009)
Il dipartimento di tossicologia dell'Università di Cagliari libera il “cibo degli dei” dall'accusa di creare dipendenza
Nel 1517 l'imperatore azteco Montezuma offrì una bevanda mistica, amara e speziata, al condottiero spagnolo Hernan Cortés. Quella bevanda si chiamava xocolatl e si diffuse nel resto del mondo con il nome di cioccolato. Il segreto del successo di questo particolare alimento si nasconde nella sua composizione: circa 120 sostanze diverse, alcune delle quali in grado di attivare la produzione di endorfine. In particolare il cacao e suoi derivati agiscono su un neutrasmettitore collegato al benessere e all'euforia, chiamato anandamide, che il nostro organismo metabolizza molto rapidamente. Ritardando la metabolizzazione dell'anandamide il cioccolato consente di prolungare lo stato di benessere. Da qui il nome con cui nel 1753 Linneo classificò la pianta: Theobroma Cacao, ovvero cibo degli dei.
Uno studio del dipartimento di tossicologia dell'Università di Cagliari, guidato da Gaetano Di Chiara, ha esaminato gli effetti del consumo di cioccolato e di fonzies su animali sottoposti a osservazione sperimentale. Partendo dal fatto che le gratificazioni naturali costituiscono le sensazioni più remote nella scala evolutiva, e quindi sono comuni a tutti i mammiferi, lo scopo della ricerca consiste nel cercare di riprodurre una situazione in cui l'individuo manifesta un desiderio compulsivo nei confronti del cibo. Come accade nella bulimia nervosa e nella sindrome da alimentazione incontrollata (binge eating disorder).
Quando il cervello riceve uno stimolo i neuroni liberano i neurotrasmettitori, le sostanze che trasmettono le informazioni tra le cellule del sistema nervoso. Tra questi la dopamina riveste una determinante importanza nell'apprendimento associativo, quel processo che permette di collegare il ricordo di un evento piacevole con gli stimoli che inducono a riprovare la medesima sensazione. Un esempio eloquente, nel caso del cioccolato, è l'anticipazione del piacere al solo vederlo. Con la prima assunzione di cioccolato, in una specifica area del cervello, chiamata shell del nucleo accumbens, viene liberata una certa quantità di dopamina. In seguito però il livello di dopamina non cresce ogni volta che si assume cioccolato, ma riprende ad aumentare solo dopo alcuni giorni. Abbiamo chiesto alla curatrice dello studio, Valentina Bassareo, di evidenziare i contenuti della scoperta.
«Questo studio nasce dopo una lunga serie di ricerche durante le quali abbiamo studiato gli effetti di stimoli gratificanti naturali, come il cibo, e di stimoli gratificanti farmacologici, come le sostanze d'abuso, sul sistema dopaminergico mesolimbico. Questo è filogeneticamente antico ed è costituito da una serie di nuclei cerebrali. Di particolare interesse è la shell del nucleo accumbens che è implicata nella risposta al piacere. Semplificando possiamo dire che in seguito a ripetute somministrazioni di un farmaco d'abuso, qualunque sia il suo meccanismo d'azione, la dopamina nella shell viene continuamente stimolata. Nel caso del cibo, invece, la dopamina in quest'area aumenta solo dopo il primo consumo di cibo, ma non dopo i successivi. Questo è un tipo di meccanismo adattativo che si instaura forse per proteggerci e per far sì che non diventiamo dipendenti dal cibo come invece accade con le sostanze d'abuso. Infatti si pensa che questa dopamina che aumenta eccessivamente e ripetutamente nella shell del nucleo accumbens in seguito alla somministrazione di una “droga” possa dar luogo ad un apprendimento associativo abnorme che tiene l'individuo strettamente e patologicamente legato al farmaco.»
Cosa accade?
«L'individuo associa gli effetti particolarmente gratificanti indotti dal farmaco ad una serie di stimoli neutri che accompagnano l'utilizzo del farmaco stesso, come ad esempio i pusher, gli amici, il luogo in cui si consuma la droga o in cui si compra. Quando invece facciamo esperienza di un buon pasto la dopamina aumenta la prima volta per far sì che noi associamo quel cibo alle sue proprietà gratificanti, ma poi una volta appreso non abbiamo più bisogno che questa associazione venga ancora registrata. È un meccanismo del tutto naturale. I farmaci d'abuso mimano i gratificanti naturali, ma si inseriscono direttamente nei circuiti del piacere stimolandoli eccessivamente e non in modo naturale come nell'altro caso.»
Allora non dobbiamo criminalizzare il cioccolato?
«Assolutamente no, possiamo continuare a mangiare il cioccolato con tranquillità. La dipendenza da cibo è una patologia ben complessa che certo non si instaura per aver mangiato qualche pezzetto di cioccolato in più. Piuttosto magari dovremo fare i conti con la bilancia».
Cosa resta da scoprire?
«Diciamo che siamo solo agli inizi. Continueremo la nostra ricerca in questa direzione, dedicandoci allo studio delle risposte del sistema dopaminergico mesocorticolimbico durante le varie fasi dell'apprendimento associativo».
Chi ha partecipato a queste ricerche?
«La ricerca è durata circa due anni e hanno partecipato Paolo Musio, dottorando in Tossicologia, e alcuni studenti che frequentavano il nostro laboratorio per la preparazione della tesi di laurea: Silvia Sanna Semprevivo, Francesca Muntoni, Francesca Arabini, Giovanni Ledda, Marianna Contu, Stefania Orrù, Francesca Concas, Sabrina Marogna».
ANDREA MAMELI
(L'Unione Sarda, Cultura, 21 ottobre 2009)
Nel 1517 l'imperatore azteco Montezuma offrì una bevanda mistica, amara e speziata, al condottiero spagnolo Hernan Cortés. Quella bevanda si chiamava xocolatl e si diffuse nel resto del mondo con il nome di cioccolato. Il segreto del successo di questo particolare alimento si nasconde nella sua composizione: circa 120 sostanze diverse, alcune delle quali in grado di attivare la produzione di endorfine. In particolare il cacao e suoi derivati agiscono su un neutrasmettitore collegato al benessere e all'euforia, chiamato anandamide, che il nostro organismo metabolizza molto rapidamente. Ritardando la metabolizzazione dell'anandamide il cioccolato consente di prolungare lo stato di benessere. Da qui il nome con cui nel 1753 Linneo classificò la pianta: Theobroma Cacao, ovvero cibo degli dei.
Uno studio del dipartimento di tossicologia dell'Università di Cagliari, guidato da Gaetano Di Chiara, ha esaminato gli effetti del consumo di cioccolato e di fonzies su animali sottoposti a osservazione sperimentale. Partendo dal fatto che le gratificazioni naturali costituiscono le sensazioni più remote nella scala evolutiva, e quindi sono comuni a tutti i mammiferi, lo scopo della ricerca consiste nel cercare di riprodurre una situazione in cui l'individuo manifesta un desiderio compulsivo nei confronti del cibo. Come accade nella bulimia nervosa e nella sindrome da alimentazione incontrollata (binge eating disorder).
Quando il cervello riceve uno stimolo i neuroni liberano i neurotrasmettitori, le sostanze che trasmettono le informazioni tra le cellule del sistema nervoso. Tra questi la dopamina riveste una determinante importanza nell'apprendimento associativo, quel processo che permette di collegare il ricordo di un evento piacevole con gli stimoli che inducono a riprovare la medesima sensazione. Un esempio eloquente, nel caso del cioccolato, è l'anticipazione del piacere al solo vederlo. Con la prima assunzione di cioccolato, in una specifica area del cervello, chiamata shell del nucleo accumbens, viene liberata una certa quantità di dopamina. In seguito però il livello di dopamina non cresce ogni volta che si assume cioccolato, ma riprende ad aumentare solo dopo alcuni giorni. Abbiamo chiesto alla curatrice dello studio, Valentina Bassareo, di evidenziare i contenuti della scoperta.
«Questo studio nasce dopo una lunga serie di ricerche durante le quali abbiamo studiato gli effetti di stimoli gratificanti naturali, come il cibo, e di stimoli gratificanti farmacologici, come le sostanze d'abuso, sul sistema dopaminergico mesolimbico. Questo è filogeneticamente antico ed è costituito da una serie di nuclei cerebrali. Di particolare interesse è la shell del nucleo accumbens che è implicata nella risposta al piacere. Semplificando possiamo dire che in seguito a ripetute somministrazioni di un farmaco d'abuso, qualunque sia il suo meccanismo d'azione, la dopamina nella shell viene continuamente stimolata. Nel caso del cibo, invece, la dopamina in quest'area aumenta solo dopo il primo consumo di cibo, ma non dopo i successivi. Questo è un tipo di meccanismo adattativo che si instaura forse per proteggerci e per far sì che non diventiamo dipendenti dal cibo come invece accade con le sostanze d'abuso. Infatti si pensa che questa dopamina che aumenta eccessivamente e ripetutamente nella shell del nucleo accumbens in seguito alla somministrazione di una “droga” possa dar luogo ad un apprendimento associativo abnorme che tiene l'individuo strettamente e patologicamente legato al farmaco.»
Cosa accade?
«L'individuo associa gli effetti particolarmente gratificanti indotti dal farmaco ad una serie di stimoli neutri che accompagnano l'utilizzo del farmaco stesso, come ad esempio i pusher, gli amici, il luogo in cui si consuma la droga o in cui si compra. Quando invece facciamo esperienza di un buon pasto la dopamina aumenta la prima volta per far sì che noi associamo quel cibo alle sue proprietà gratificanti, ma poi una volta appreso non abbiamo più bisogno che questa associazione venga ancora registrata. È un meccanismo del tutto naturale. I farmaci d'abuso mimano i gratificanti naturali, ma si inseriscono direttamente nei circuiti del piacere stimolandoli eccessivamente e non in modo naturale come nell'altro caso.»
Allora non dobbiamo criminalizzare il cioccolato?
«Assolutamente no, possiamo continuare a mangiare il cioccolato con tranquillità. La dipendenza da cibo è una patologia ben complessa che certo non si instaura per aver mangiato qualche pezzetto di cioccolato in più. Piuttosto magari dovremo fare i conti con la bilancia».
Cosa resta da scoprire?
«Diciamo che siamo solo agli inizi. Continueremo la nostra ricerca in questa direzione, dedicandoci allo studio delle risposte del sistema dopaminergico mesocorticolimbico durante le varie fasi dell'apprendimento associativo».
Chi ha partecipato a queste ricerche?
«La ricerca è durata circa due anni e hanno partecipato Paolo Musio, dottorando in Tossicologia, e alcuni studenti che frequentavano il nostro laboratorio per la preparazione della tesi di laurea: Silvia Sanna Semprevivo, Francesca Muntoni, Francesca Arabini, Giovanni Ledda, Marianna Contu, Stefania Orrù, Francesca Concas, Sabrina Marogna».
ANDREA MAMELI
(L'Unione Sarda, Cultura, 21 ottobre 2009)
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