Dal NIMBY al NIMEY. Se non vedo non contesto.

nimby Il 15 luglio, a Cagliari, esperti di generazione e distribuzione energetica, imprenditori, consiglieri regionali, il presidente dell'associazione degli industriali della Sardegna meridionale e l'assessore regionale all'industria si sono confrontati sul tema "Energia: una necessità e un’opportunità di sviluppo per la Sardegna" in un convegno organizzato dalla Cgil sarda. Un momento di approfondimento e di proposta di alto livello concluso con l'idea di convocare una conferenza regionale sull'energia.
Affronto qui di seguito solo una riflessione di superficie, riservandomi di entrare nel merito delle questioni scientifiche e delle politiche energetiche più avanti.
Ho ascoltato tutti gli interventi e ho notato che la stragrande maggioranza dei relatori ha indicato nell'eolico il nemico da tenere lontano. Il motivo? La visibilità delle pale. Allora inizio a pensare che dovremo coniare un nuovo acronimo: dal Nimby (Not In My Back Yard) al Nimey (Not In My EYes). Ovvero: se il motivo principale di contestazione agli impianti muove dal desiderio di non volere nel proprio territorio impianti di smaltimento dei rifiuti o di generazione energetica, a questo punto penso che il grosso della motivazione provenga dall'aspetto visivo dell'installazione. E questo spiegherebbe il gran rifiuto dell'eolico.
Ma non spiega allora perché nessuno (o quasi) storce il naso per i tralicci dell'alta tensione, di cui la Sardegna (ma il discorso si applica ovunque) pullula. Come se i tralicci e i cavi non si vedessero.
Forse, mi suggerisce Gianluca Carta, ingegnere energetico molto attento alla percezione pubblica del rischio, molto dipende dal livello di novità e dal grado di "utilità percepita": i cavi dell'alta tensione sono indispensabili perché mi portano l'energia elettrica a casa, mentre le pale eoliche non mi sembrano altrettanto utili.
Sarà questo il motivo dell'odio verso l'eolico e dell'indifferenza nei confronti dei tralicci dell'alta tensione? Analogamente dicasi per raffinerie di petrolio o altre grandi strutture a cui ci si è in qualche modo abituati. Anzi, visivamente assuefatti.
cavi sottomarini In questa sede non sto difendento l'eolico e non sto attaccando i tralicci o le raffinerie: sto solo cercando di capire l'origine degli atteggiamenti di rifiuto. Per farlo ho bisogno di analizzare meglio queste (e altre) reazioni e ritengo indispensabile consultare esperti di impatto sociale delle tecnologie. L'ho già scritto: tutto quello che si costruisce (come tutto quello che si estrae dal sottosuolo) ha conseguenze. Quel che mi interessa è capire in base a quali parametri si stilano le classifiche dei buoni e dei cattivi (Energia pulita? Patetico ossimoro. Linguaggio Macchina, 22 marzo 2011).
Ieri, al convegno, sono stati citati spesso anche i cavi sottomarini. Per i quali vale ancora pià di ogni altra cosa l'assunto non vedo, non contesto... Ancora una volta: non ce l'ho con i cavi, vorrei solo capire quali dinamiche scattano (in questo caso non scattano).

P.S.
Di questo passo si potrebbe andare vedere quali e quanti danni arrechiamo in luoghi lontani per esempio ove si estrae materia prima per l'elettronica (il tema stava a cuore al compianto Enrico Pili, autore di un "Reportage dalla Repubblica Democratica del Congo", in cui spunta il mercato dei minerali indispensabili per la telefonia cellulare) oppure i guai che si combiniano dove si va a prelevare carbone, gas, petrolio, uranio...
Viceversa, suggerisce Gianluca Carta, possiamo anche studiare gli effetti di un approccio ragionato e condiviso, come le Consensus Conference (nate 30 anni fa in Danimarca): DANISH-STYLE, CITIZEN-BASED DELIBERATIVE CONSENSUS CONFERENCES ON SCIENCE & TECHNOLOGY POLICY WORLDWIDE.

L’Osservatorio Nimby (Nimby Forum) in un’indagine promossa dall’istituto di ricerca Aris (Agenzia di Ricerche Informazione e Società) tre mesi fa ha pubblicato uno studio sulla sindrome NIMBY in Italia; tra le contestazioni a impianti per la produzione di energia elettrica oltre il 70% sono rivlti contro impianti eolici e centrali a biomasse, seguono idroelettrico e fotovoltaico.

Public Attitudes Towards Wind Power [Pdf] (By Steffen Damborg Danish Wind Industry Association, 2002)

L'atteggiamento del pubblico verso l'energia eolica (Eddyburg.it)

Public perceptions of electric power transmission lines Journal of Environmental Psychology
Volume 8, Issue 1, March 1988, Pages 19-43 (Lita Furby, Paul Slovic, Baruch Fischhoff, Robin Gregory, Eugene Research Institute, Oregon, USA).
Abstract
Electric power transmission lines have recently met a very significant amount of public opposition. The source of such opposition varies from case to case, and is often hard to identify. Stated objections have included land use conflicts, noise created by the lines, aesthetic concerns, and fears of health and safety threats. Despite the sometimes enormous costs and long delays caused by strong opposition to transmission line siting and construction, both utilities and governmental regulators seem baffled at why the public objects so vehemently. At the same time, opponents are often equally baffled at why their objections seem to go unheeded. As a step toward developing satisfactory solutions to the conflict, this article reviews and critiques the literature dealing with attitudes toward electric power transmission lines, and outlines a conceptual framework for understanding the determinants of those attitudes.

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