Effetto matrioska della materia oscura nelle galassie nane

SISSA materia oscura nelle galassie nane Trieste, 6 dicembre 2011 - Uno studio in corso di pubblicazione su Monhtly Notices della Royal Astronomical Society (Dwarf spheroidal galaxy kinematics and spiral galaxy scaling laws) mette in discussione la validità del Modello Standard nel spiegarne l’esistenza. Il gruppo di ricerca internazionale coordinato dal cosmologo Paolo Salucci (nella foto) della Sissa di Trieste ha misurato la distribuzione della luce di un migliaio di stelle nelle galassie nane più vicine alla nostra. Per la precisione sei nane sferoidali: Draco, Sextans, Carina, Leo I, Leo II e Sculptor,distanti fra 30 e 100 mila anni luce da noi, in orbita intorno alla Via Lattea.
I ricercatori hanno scoperto che l’alone di materia oscura presente intorno a queste galassie non è caratterizzato da un picco di densità al centro. A differenza delle aspettative, in contrasto cioè con quanto suggeriscono numerose simulazioni realizzate nell’ambito del paradigma standard della materia oscura fredda, all’allontanarsi dal centro galattico si continua a riscontrare un andamento costante della densità di materia oscura, anziché una sua diminuzione. Il fenomeno osservato è da attribuire al fatto che in ogni galassia lo sferoide stellare è immerso in un alone di materia ancora ignota di cui subisce gli effetti gravitazionali. Come conseguenza di questa attrazione i corpi celesti manifestano un moto anomalo, riconducibile proprio a un potenziale gravitazionale invisibile.
Il moto anomalo delle stelle è infatti una prova sperimentale a favore dell’esistenza della materia oscura. Se le galassie fossero composte soltanto da stelle e gas, per la terza legge di Keplero, ci aspetteremmo che la velocità di rotazione delle stelle decresca via via che ci spostiamo verso l’estremità della galassia.
«Invece - spiega Salucci - la velocità di rotazione aumenta o rimane costante per gli effetti gravitazionali che proprio questa materia misteriosa determina sulla materia luminosa. Grazie alle nostre osservazioni abbiamo riscontrato un effetto matrioska: la materia invisibile che avvolge le piccole galassie è una sfera a densità costante e omogenea, del tutto simile a quella che circonda le galassie più grandi, ma in dimensioni in scala. Questo fenomeno lo avevamo già osservato nelle galassie a spirali e in quelle ellittiche, ma la questione era ancora aperte per le galassie nane».
Per lo studio i ricercatori hanno utilizzato rivelatori di nuova generazione, il telescopio spaziale Hubble e accurati metodi statistici di analisi dei dati.
«Il risultato è molto interessante - sottolinea Paolo Salucci - perché da un lato dimostra che lo stesso fenomeno agisce su tutte le galassie, indipendentemente dalla loro morfologia. Dall’altro complica il tentativo di spiegare la nascita e l’evoluzione del nostro Universo sulla base degli attuali modelli cosmologici. In particolare, secondo il Modello Standard la più probabile forma di materia oscura è quella cosiddetta fredda, costituita dalle particelle WIMPS (Weakly Interacting Massive ParticleS). Ma la teoria della materia oscura fredda lascia irrisolte alcune questioni. Per esempio, prevede che gli aloni di materia oscura intorno o all'interno delle galassie abbiano distribuzione e densità particolari, che però non risultano verificate dalle osservazioni»
Questo studio rileva sia nelle galassie nane sia in quelle grandi a spirale (come la nostra) un’anomalia nella distribuzione della materia oscura rispetto alle previsioni del Modello Standard.
La materia oscura
Il 90% della materia dell’Universo è di natura sconosciuta: non è composto da atomi di elementi noti o da particelle elementari conosciute. Ha una massa, ma non siamo in grado di misurarla direttamente, perché non emette luce visibile né altre radiazioni elettromagnetiche. Per questo è definita materia oscura: è invisibile all'osservazione e alla misurazione diretta e possiamo rilevarla solo indirettamente, attraverso gli effetti gravitazionali che determina sulla materia luminosa. Anche la materia oscura, infatti, come il resto della materia, è sottoposta alla forza di gravità: attrae altri corpi e q sua volta è attratta da loro. Come conseguenza di questa attrazione i corpi celesti possono manifestare un moto apparentemente anomalo che è appunto riconducibile a un potenziale gravitazionale invisibile. La natura della materia oscura resta tuttavia ancora un enigma, una sfida che impegna astrofisici e cosmologi di tutto il mondo da circa trent'anni.

Dwarf spheroidal galaxy kinematics and spiral galaxy scaling laws. Paolo Salucci, Mark I. Wilkinson, Matthew G. Walker, Gerard F. Gilmore, Eva K. Grebel, Andreas Koch, Christiane Frigerio Martins, Rosemary F.G. Wyse.
(Submitted on 4 Nov 2011)
Abstract
Kinematic surveys of the dwarf spheroidal (dSph) satellites of the Milky Way are revealing tantalising hints about the structure of dark matter (DM) haloes at the low-mass end of the galaxy luminosity function. At the bright end, modelling of spiral galaxies has shown that their rotation curves are consistent with the hypothesis of a Universal Rotation Curve whose shape is supported by a cored dark matter halo. In this paper, we investigate whether the internal kinematics of the Milky Way dSphs are consistent with the particular cored DM distributions which reproduce the properties of spiral galaxies. Although the DM densities in dSphs are typically almost two orders of magnitude higher than those found in (larger) disk systems, we find consistency between dSph kinematics and Burkert DM haloes whose core radii r0 and central densities {\rho}0 lie on the extrapolation of the scaling law seen in spiral galaxies: log {\rho}0 \simeq {\alpha} log r0 + const with 0.9 < {\alpha} < 1.1. We similarly find that the dSph data are consistent with the relation between {\rho}0 and baryon scale length seen in spiral galaxies. While the origin of these scaling relations is unclear, the finding that a single DM halo profile is consistent with kinematic data in galaxies of widely varying size, luminosity and Hubble Type is important for our understanding of observed galaxies and must be accounted for in models of galaxy formation.

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