Claudia Casu, così spiego i culurgiones ai giapponesi (8 settembre 2014)

Claudia Casu
Potete chiamarla maestra di pasta e dolci sardi. O artista della cucina tradizionale. O missionaria del sardolicesimo. Ma lei, Claudia Casu, sassarese trapiantata a Tokyo, si definisce semplicemente insegnante di food design. E basta guardare le sue creazioni, su Instagram #sardegnacookingstudio o su Facebook “Sardegna Cooking Studio”, per capire quanto conti per Claudia lavorare nel campo del design e della comunicazione da circa vent'anni. I suoi sono autentici gioielli gastronomici, fedeli alla tradizione o reinterpretati con grande rispetto, che stanno facendo innamorare i giapponesi (e non solo loro). Alla base di tutto c'è il desiderio di mantenere viva la cultura culinaria sarda rispettando la stagionalità e tradizione dei piatti. E il rigore nel ricercare la freschezza e la località di quasi tutti gli ingredienti.  
Che cosa insegna?
«Cucina sarda tradizionale, in particolare pasta fresca, pane e dolci. Inoltre propongo spesso, e con grande successo, le mie creazioni originali. Le mie sono vere e proprie lezioni di food design.»
E i suoi allievi apprezzano?
«Sono tutti molto appassionati di cucina italiana in generale: ci sono insegnanti di cucina italiana, casalinghe, chef di ristoranti italiani, semplici appassionati e ricercatori di grosse industrie alimentari. La cucina sarda, che in alcuni lati si differenzia notevolmente dalla cucina italiana, è per loro una sorpresa continua, soprattutto nel design e nei sapori.»
Su cosa si basa per riscoprire le tradizioni?
«Fondamentalmente chiedo a mia madre, alle mie zie, alle donne sarde appartenenti alle ultime generazioni. Tutte loro custodiscono forse le ultime importanti notizie su certe tradizioni quasi scomparse.»
E quali novità introduce?
«Piatti innovativi come le lorighittas bicolore, i ravioli tatami, i culurgiones a sa corbula, sono sicuramente il lato che mi diverte di più. Le introduco però solo dopo aver accuratamente studiato e presentato agli allievi il prodotto nella sua forma originale.»
Quale pasta preferisce?

«Amo molto la pasta ripiena, è quella che mi dà più soddisfazione nelle forme e nei sapori. Il ripieno poi richiede particolare cura, è importante sia la sua consistenza che la quantità che si inserisce in ogni pezzo.»
Come ha iniziato?
«Per puro caso. Una carissima amica giapponese un giorno mi ha chiesto di insegnarle a cucinare: si è presentata a casa mia con le amiche e dopo la prima lezione hanno chiesto di continuare per mesi e mesi.»
Difficoltà principali?
«Le difficoltà non sono molte, ci sono però periodi in cui è più difficile raccogliere adesioni, altri in cui non riesco a far fronte a tutte le richieste. Ma la difficoltà più grande è essere soddisfatta del risultato. Dopo ogni lezione prendo sempre nota di ciò che, secondo me, non sono riuscita a raccontare o a realizzare come avrei dovuto.»
E le soddisfazioni?
«La soddisfazione più grande è quella di vedere le foto dei piatti che i miei allievi realizzano dopo aver studiato con me. Culurgionis chiusi perfettamente, piatti decorati con grande cura e, soprattutto, il loro entusiasmo nel far assaggiare questi piatti ai loro famigliari. Ci sono signore che, dopo cinque ore di lezione con me, appena tornate a casa riproducono esattamente il menu presentato per farlo assaggiare al marito.»
Riesce a procurarsi ingredienti sardi in Giappone?
«In Giappone si trovano molti prodotti sardi: pasta, pane carasau, pomodori pelati, pecorino, olio, sale. Io però realizzo praticamente quasi tutto da zero, perciò se escludiamo la semola, l'olio e alcuni formaggi, che mi faccio inviare appositamente dalla Sardegna, per il resto utilizzo solo prodotti a km zero.»
Quanto conta il fatto che sua madre sia nata e cresciuta a Montresta, luogo che vanta interessanti tradizioni culinarie?
«Certamente la cucina di mia madre, delle mie zie e di mia nonna ha influito moltissimo sui miei gusti. Ognuna di loro poi ha sviluppato un proprio stile, e ci sono piatti di ciascuna di loro ormai indelebili nella mia memoria.»
Le sue competenze in comunicazione visiva contano?
«Il mio lavoro principale è quello di Designer e consulente di comunicazione. Senza queste basi professionali avrei sicuramente difficoltà a promuovere il mio lavoro. Amo la fotografia e cerco di usare in modo intelligente i social media, cercando di parlare un linguaggio semplice e chiaro per raggiungere gli utenti. È però vero che la stragrande maggioranza dei miei allievi arriva a me con il metodo forse più antico di propaganda: il passaparola.»
ANDREA MAMELI,
articolo pubblicato nell'inserto Estate del quotidiano L'Unione Sarda, 8 Settembre 2014
 

 

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