La mummia racconta. A 25 anni dalla scoperta di Ötzi (1 settembre 2016)

C’è chi lo indica freddamente come La Mummia. Chi, ancor più gelido, lo chiama Iceman. Per i più è noto come Ötzi, che in Sardegna suonerebbe Ziu o Tziu. Lui non si scompone, forse perché un quarto di secolo non è niente dopo 5 mila anni trascorsi nel ghiaccio.
Sono già passati 25 anni da quel 19 Settembre 1991 quando due turisti tedeschi scoprirono Ötzi durante un’escursione sulle Alpi Venoste, ai piedi del ghiacciaio del Similaun, e il valore di questo reperto è sempre più grande. Lo testimoniano quei 4 milioni e mezzo di persone che hanno visitato il Museo Archeologico dell’Alto Adige dal giorno dell’inaugurazione, avvenuta il 28 Marzo 1998. 
Questo 25-esimo compleanno della mummia umida più antica del mondo, è importante anche dal punto di vista scientifico. Basti pensare al numero di ricercatori che si hanno studiato Ötzi, più di 700, e al numero di pubblicazioni scientifiche che lo riguardano: oltre 800. Inoltre giova ricordare che a Bolzano nel 2007 è nato un centro di ricerca intorno all’uomo venuto dal ghiaccio, l’Istituto per le Mummie e l'Iceman (EURAC), che dal 19 al 21 Settembre organizza il terzo congresso internazionale sulle mummie: “Ötzi: 25 anni di ricerca”.
Ne abbiamo parlato con Albert Zink, paleopatologo, direttore dell’EURAC e autore di un libro che spiega l’importanza che le mummie rivestono per la scienza e per la cultura: “Ötzi, Tutankhamon, Evita Perón. Cosa ci rivelano le mummie” (Il Mulino, 2016). Questi corpi che sfidano la morte, per volontà di altri umani o per cause naturali, “ci permettono – scrive Zink – di affondare lo sguardo nel passato e in particolare nelle condizioni di vita dei popoli antichi”.
Il vostro centro di ricerca, costruito intorno a Ötzi, ha prodotto numerose ricerche, ma cosa resta ancora da fare?
«Stiamo per pubblicare un nuovo studio sul contenuto dello stomaco di Iceman, ma c'è ancora tanto da scoprire, per esempio sull’alimentazione al tempo di Ötzi, sui batteri che lo abitavano. Questa mummia è unica per età e tipologia, ma alcune tecniche si possono applicare anche alle altre, che si trovano prevalentemente in Egitto e in Sud America, anche in collaborazione con altri centri di ricerca. Il genoma che abbiamo presentato nel 2012 fu il primo pubblicato di una mummia e ora è necessario sequenziarlo di nuovo, per studiare meglio la predisposizione ad alcune malattie e per specificare con maggiore precisione la sua posizione all’interno delle popolazioni europee. Resta anche molto lavoro da fare sul fronte della conservazione di questo genere di reperti.»
Lo studio più recente?
«Quello sul vestiario: il valore di questa mummia è dovuto anche a quello che aveva intorno. Normalmente le mummie provengono da sepolture e sono circondate da oggetti e indumenti scelti appositamente. In questo caso invece siamo di fronte a una persona morta, e sepolta dal ghiaccio, in una giornata della sua vita. Abbiamo studiato che animali avevano usato per i vestiti, per la faretra e per altri oggetti.»
E la storia della parentela con i sardi?
«Mentre l’analisi del DNA mitocondriale indica che la linea materna si è estinta, lo studio del cromosoma Y, quello che si eredita dal padre, ha mostrato che la linea genetica paterna è ancora presente in Europa, ma in una frequenza molto bassa, tranne in Sardegna e Corsica. Ciò significa che in queste due isole si è mischiata meno, ma non consente di identificare una parentela diretta con Ötzi.»
Quanto conta per voi la diffusione della conoscenza?
«Per noi è importante far capire i risultati delle nostre ricerche e in questo abbiamo ottimi rapporti con il Museo di Bolzano che aggiorna progressivamente le informazioni esposte in base ai nostri risultati.»
Andrea Mameli
(articolo pubblicato nella pagina della cultura del quotidiano L'Unione Sarda, 1/9/2016)

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