16 aprile 2016

Boundaries, Ecologies, Multiplicity. Un saggio di Alessandro Mongili dedicato alle infrastrutture informative e agli oggetti liminari

Un contributo significativo al dibattito sul ruolo delle infrastrutture dell'informazione nel mondo contemporaneo. Lo fornisce il nuovo libro del sociologo cagliaritano Alessandro Mongili, docente di sociologia alla Facoltà di Psicologia dell'Università di Padova, scritto insieme a Giuseppina Pellegrino (ricercatrice di sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università della Calabria). Il titolo del volume è “Information Infrastructure(s): Boundaries, Ecologies, Multiplicity” e lo pubblica la Cambridge Scholars Publishing. Ecco la splendida copertina, realizzata da Antonio Martire.
Antonio Martire
Alessandro Mongili, cosa sono le infrastrutture informative?
«Le infrastrutture informative sono artefatti informativi: una serie enorme di strumenti, sistemi, interfacce, dispositivi utili a raccogliere, tracciare, mostrare e ricercare informazioni. Alcuni artefatti diventano infrastrutture quando incontrano attività umane e costituiscono un insieme inestricabile con esse: per questo interessano noi sociologi. Alcune attività sono impensabili senza di esse, come uno scambio di e-mail, per esempio, altre ne fanno un uso più marginale. Insomma alcuni artefatti informativi servono per scambiare informazioni, ma altri costituiscono una parte importante di ogni attività di lavoro, di mobilità e di svago. Tuttavia, da un punto di vista tecnico inteso in modo stretto, le infrastrutture informative non si differenziano da ogni altro artefatto informativo, e sono composte da insiemi di numeri, specifiche tecniche, meccanismi che non appaiono a occhio nudo, soprattutto all'utente normale, e in particolare da standard, da fili, da settaggi. Tutto questo costituisce un ordito ubiquo che intesse la società contemporanea in ogni ambito. Senza capire questo sistema gigantesco di collegamenti, è impossibile capire la vita contemporanea».
Nel libro si parla anche di oggetti liminari. Che cosa sono?
«Con questo termine (boundary object) si vuole spiegare la funzione svolta dalle tecnologie contemporanee nel collegare mondi sociali molto diversi fra di loro, anche se all'interno di ognuno di essi non è detto che abbiano la stessa funzione. Sono quindi oggetti flessibili nell'uso che se ne fa, pur rimanendo rigidi nel nucleo informativo che contengono, fatto di misure, in genere standardizzate, di dati, e di altre caratteristiche che non sono piegabili agli usi locali e che, in genere, sfuggono agli utilizzatori. Un telefonino, lo stesso telefonino, è usato diversamente dagli anziani e dai giovani, ma rimane lo stesso. In pratica, si ritrova a esistere alla frontiera di ciascuno di questi mondi, collegandoli attraverso un uso comune di una tecnologia, che spesso diventa un'abitudine e un aspetto del proprio comportamento che può apparire persino “naturale”».
Cosa significa considerare la tecnologia come oggetto liminare?
«Il concetto di oggetto liminare si applica solo alla tecnologia e in particolar modo alla tecnologia che al proprio interno si caratterizza per avere dati standardizzati. Una tecnologia usata da qualcuno, non una tecnologia esposta nei musei. Quest'ultima non ha vita perché non ha usi. Si tratta dunque di un concetto che tenta di spiegare gli aspetti insieme sociali e materiali della vita contemporanea, che è satura di tecnologia, come in tutte le epoche storiche, ma di tecnologie che hanno caratteri standardizzati e sempre più ricchi di dati e di informazioni. Ci possono essere oggetti che svolgono funzioni di mediazione nelle relazioni sociali, come ad esempio il cibo, e che non sono oggetti liminari nel senso duplice, flessibile negli usi e rigido nel nucleo di dati che contengono, che ho inteso. Senza capire questo contenuto di dati, standard e classificazioni, che ne costituisce il cuore, è impossibile capire cosa sia una tecnologia e cosa sia un oggetto liminare».
Il libro sarà tradotto in italiano?
«In Europa è stato presentato in alcune università nei mesi successivi alla sua uscita, fra cui qualche università italiana. Il libro è stato richiesto per essere recensito da molte riviste specializzate. È diretto soprattutto a studiosi e rappresenta uno sviluppo europeo-continentale di temi che avevano avuto rilevanza soprattutto nel mondo anglosassone e in Scandinavia. Non credo che sarà tradotto. Ormai non si traduce quasi più niente, in italiano».
Sono previste presentazioni in Sardegna?
«Due capitoli parlano di progettazione e uso di infrastrutture informative in Sardegna, fra cui il mio. Sarebbe molto bello per noi confrontarci con informatici e operatori sardi interessati a riflettere su quello che fanno».

Andrea Mameli, blog Linguaggio Macchina, 16 Aprile 2016

10 aprile 2016

Ada Lovelace Byron e le studentesse del Liceo artistico al TIMgirlsHackathon di Cagliari

“Dobbiamo far bene le cose e farlo sapere”
 (Adriano Olivetti)


Chiamato a giudicare le app realizzate da una cinquantina di studentesse di licei e istituti tecnici di Cagliari, in tema "Cyberbullismo e uso consapevole del web", non ho potuto resistere al fascino immortale di Ada Lovelace Byron. Ma non è solo per questo che ho apprezzato il lavoro della squadra che ha vinto la TIMgirlsHackathon 2016 a Cagliari, composta da: Francesca Cannalire, Marta Deias, Noemi Maini, Virginia Matta e Federica Mura (classe 4I Design, Liceo Artistico e Musicale Foiso Fois di Cagliari). Per trionfare in una competizione come TIMgirlsHackathon non basta ispirarsi a una grande donna: servono idee, capacità di lavorare in gruppo e facilità nel progettare e grande voglia di imparare. Proprio gli ingredienti di cui queste ragazze si sono alimentate, il 6 Aprile 2016 (nella sede TIM di Via Calamattia a Cagliari).
Introdotte nell'ambiente di sviluppo Android App Inventor dai mentor di CodeMotion e dopo aver scelto quale idea sviluppare, le studentesse si sono messe all'opera per iniziare a realizzare la app ("Let's stop").
Per la giuria del TIMgirlsHackathon, composta da Alessandra Spada, Serena Orizi e me, non è stato facile scegliere tra i 10 gruppi che hanno preso parte alla competizione: tutte le ragazze hanno dimostrato notevole impegno e grande entusiasmo.
Io sono rimasto favorevolmente impressionato da due aspetti, nella squadra intitolata alla prima programmatrice della storia: la serenità con la quale hanno illustrato il loro progetto e il fatto che si trattava, chiaramente, di un progetto. Non hanno assemblato due immagini pescate dal web con un paio di testi scritti in fretta e tre bottoni più o meno cliccabili. Hanno progettato, in gruppo, analizzando le varie scelte possibili, fino a elaborare la serie di tavole. Un modello di lavoro professionale, non c'è che dire. E un incoraggiante esempio di capacità progettuale, dote assai rara (e non solo nei giovani).

E di fronte alla giuria le ragazze hanno descritto dettagliatamente ogni fase del loro lavoro.
Ascoltando la loro spiegazione e osservando (anzi, ammirando) le tavole, ho colto in queste ragazze il senso del credere in quello che si fa e di volerlo fare serenamente. E non mi sembra poco.

Mi auguro che possano mantenersi sempre così appassionate, felicemente, al fare, come le ho viste quel giorno.

Ecco la schermata iniziale della loro app:

Ho chiesto alla Professoressa Bix Beatrice Artizzu, che accompagnava le ragazze del Liceo Artistico Musicale Foiso Fois di Cagliari, se sono abituate a laorare in gruppo: «Lavorano sia individualmente che in gruppo, come è nella natura di uno studio professionale di architettura o design; hanno maturato una certa consapevolezza nelle loro capacità e una buona conoscenza delle tecnologie. Ma anche uno spirito critico».

E le studentesse cosa pensano della loro impresa? Mi rispondono in chat, quindi non so chi di loro esattamente: «Siamo sicuramente abituate a progettare, per questo siamo riuscite in breve tempo a realizzare un progetto per la nostra app. E per "deformazione professionale" siamo state portate a ragionare prima per mezzo delle bozze... ormai abbiamo imparato che è da quello che parte tutto, è dalle bozze che inizia un progetto e si costruisce un'idea».

Andrea Mameli, blog Linguaggio Macchina, Domenica 10 Aprile 2016
Per le fotografie che compaiono sopra ringrazio la professoressa Beatrice Artizzu e le sue gentili allieve. 

http://ischool.startupitalia.eu/coding/53186-20160404-tim-girls-hackathon-coding

Approfondimenti: