Un racconto inedito. Il mio regalo per i lettori di Linguaggio Macchina.

Linguaggio Macchina.
Alberto era un ragazzo tranquillo. Aveva iniziato a giocare con il computer del papà a 8 anni, e a dieci sapeva usare tutti gli apparati elettronici della casa. I vicini gli chiedevano di aggiustare il frullatore, la radio, l’aspiravolvere. A dodici anni aveva iniziato a programmare. A quindici era già in grado di eseguire qualche lavoretto serio: un programmino di contabilità per lo studio di papà, un applicativo per catalogare le ricette della zia Paola, il sito internet del negozio di quadri sotto casa. sabaOggi Alberto ha vent’anni e studia all’università: esce per andare a lezione, rientra per pranzo, riesce solo se ha laboratorio, palestra o qualche pizzata con gli amici. Ma il resto del tempo non esiste tv, ragazza o videogiochi. Alberto accende i suoi pc con i quali a allestito una rete senza fili e resta ore in camera. Studiava quel poco che gli serviva per fissare bene i concetti, quando non aveva già letto e capito l’intero paragrafo per conto suo prima della lezione.
I genitori lo chiamano ancora il bambino e pensano sempre che stia giocando come faceva molti anni prima. “Il gioco è la vita stessa del bambino – ripeteva spesso la mamma – l’esperienza che più di ogni altra lo aiuta a costruire la sua intelligenza e la sua personalità.”
Ma Alberto non era più un bambino. E non restava in camera a giocare. “Creo software” rispondeva agli zii quando passavano a trovarlo e gli rivolgevano il solito “Ciao Alberto, come va? Cosa stai facendo di bello?”
Una volta a tavola disse: “Sono un creatore. Leggo, capisco, imparo, e poi creo software.” E di fronte all’espressione interrogativa della mamma continuò: “Il software libera il potenziale presente nell’hardware e agisce come trasformatore e traduttore di informazioni. Dal linguaggio umano al linguaggio macchina. E io oltre a creare software devo anche studiare e dare gli esami.”
Il padre immaginava che dopo aver discusso la tesi e completato il lungo percorso universitario il suo bambino sarebbe stato pronto a entrare nel ciclo produttivo realizzando programmi per qualche grossa multinazionale del settore. Del resto da piccolo aveva dimostrato interesse per molti campi della conoscenza. E i docenti erano fieri di lui. Come amava le scale musicali e le combinazioni di colori, così aveva sviluppato una particolare predilezione per la tavola periodica, giungendo a considerare i componenti ultimi della materia alla stregua di una tavolozza o di uno spartito. Ma poi la passione per il computer aveva prevalso su ogni altro interesse.
Alberto ogni tanto pensava a cosa avrebbe fatto da grande. Non aveva alcuna intenzione di chiudersi in uno studio o peggio in un grande e rumoroso open space per creare software che altri avrebbero inserito in un pacchetto e rivenduto, dopo averlo etichettato con un nome e un marchio, senza mai citare il suo nome. Per lui il software si doveva sviluppare liberamente con la partecipazione di più menti in un percorso creativo senza compartimenti stagni. Ne era convinto per la bellezza e la vivacità del confronto che su questi temi era nato e si era sviluppato in rete e al quale aveva partecipato con entusiasmo e per quello che aveva letto nei pochi libri che si era fatto arrivare da fuori o aveva preso in prestito nella biblioteca della facoltà.
Alberto amava le frasi piene di contenuto, quelle che ricopiava nel suo taccuino di pelle nera ogni volta che le trovata in un libro o in un sito o nella segnature di un messaggio di posta elettronica. Una volta aveva scritto a un amico di tastiera, quello che si faceva chiamare artiglio, che certe frasi gli ricordavano le melanzane alla parmigiana. Squisite e con un effetto immediato sul palato, ma da mangiare con moderazione. E lo stesso valeva per i forum, le chat e i blog, dove spesso lasciava la sua opinione, ma non si fermava mai troppo tempo: a vent’anni era già in grado di amministrare il tempo come pochi alla sua età. “Non voglio sprecare le mie giornate” pensava quando le discussioni si facevano troppo animate e i flame poveri di significato. Lui non aveva mai voluto fissare una frase sotto la sua firma, nelle email, perché preferiva farlo a seconda del destinatario, della circostanza, del contenuto stesso della comunicazione. Agli inizi era solito chiudere con poche righe tratte da Computer Zen, di Philip Toshio Sudo: asaba
Gli esseri umani si differenziano dalle altre specie per il fatto di:
avere delle capacità comunicative;
essere abili a usare strumenti e attrezzi;
essere consapevoli di se stessi.

Alberto raramente riprendeva frasi usate da altri perché teneva molto a essere originale. Cercava nei libri qualcosa che potesse in qualche modo rappresentare i suoi pensieri, scuotere, provocare, emozionare. Poi, negli ultimi tempi amava trascrivere una frase di Nathaniel Borenstein dal libro "Programming as if People Mattered":
La maggior parte degli esperti concorda sul fatto che è più probabile che la distruzione del mondo, qualora ciò si realizzi, avverrà accidentalmente.
A questo punto, siamo noi ad entrare in gioco. Noi siamo professionisti del computer e in quanto tali provochiamo incidenti.

Poi accadde qualcosa. Passavano le settimane e Alberto si isolava sempre più. Non parlava quasi più. Non usciva dalla sua stanza se non per necessità urgenti.
Era successo che Alberto, chissà, forse per dimostrare qualcosa, forse per riuscire a raccontare ai frequentatori delle stanze virtuali che preferiva, intelligenza artificiale e ingegneria del software, qualcosa di nuovo e non banale. O forse solo per la bruciante passione che lo animava Alberto aveva iniziato parlare con i computer. Nel senso che sapeva come comunicare con loro. Si esprimeva facilmente con il linguaggio più lontano dall’uomo, e più vicino al computer. Un linguaggio ai più totalmente inaccessibile. Noto con il nome di Linguaggio Macchina.

Linguaggio Macchina è un racconto di Andrea Mameli.
Le foto sono gentilmente concesse da Antonio Saba.
Cagliari, 24 dicembre 2006

Commenti

Anonimo ha detto…
sembra il sogno della tua vita piuttosto che un semplice racconto.
Anonimo ha detto…
arte e scienza ancora insieme :-)
grazie per questo racconto, Andrea!
Anonimo ha detto…
Salve vivissimi complimenti per il Blog, è molto interessante. Anch'io ne gestisco uno:
http://www.automaticando.com/

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