L'uomo che consuma nell'inquietudine della società liquida (L'Unione Sarda, 24 dicembre 2008)

erickson Si inseguno nei fast food, si cercano con gli sms, si trovano su facebook, si perdono nei centri commerciali, si riconoscono nelle pubblicità. Sono gli umani moderni, la “società liquida”, come la definisce il sociologo polacco Zygmunt Bauman nel volume «Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi» (Erickson, 2007, 101 pagine, 10 euro). Bauman esplora l’agire umano (presumibilmente) libero e quindi terribilmente fragile, scavando impietoso fino al nocciolo del problema: l’insoddisfazione. Un problema che viene affrontato, in questi giorni, con la corsa ai regali, spesso trasformata da genuino scambio d’affetto in fattore di pressione sociale completamente spoglio di ogni spontaneità.
«La società dei consumatori – scrive Bauman nel capitolo “Lo sciame inquieto” – aspira alla gratificazione dei desideri più di qualsiasi altro tipo di società del passato, ma tale gratificazione deve rimanere una promessa. Il desiderio deve rimanere insoddisfatto perché finché il cliente non è soddisfatto sentirà il bisogno di acquistare qualcosa di nuovo e diverso».
Ecco spuntare un mare di frustrazioni: «Impegnati a guadagnare di più. Per potersi permettere le cose di cui sentono di aver bisogno per il proprio benessere, le donne e gli uomini di oggi hanno meno tempo per la reciproca empatia, e per confrontarsi apertamente, sia pure, talvolta, in modo sofferto e faticoso, sui reciproci problemi e fraintendimenti; meno ancora avranno tempo per risolverli». Così, a chiudere la spirale consumistica, uomini e donne cercano di rimediare la carenza di attenzione regalando qualcosa, cioè “materializzando” il proprio amore.
Ma l’insoddisfazione permanente, oltre al consumo compulsivo trova rassicurazione (temporanea), anche con altri metodi. Quali? Ce lo spiega la psicoanalista newyorkese Louise J. Kaplan nel volume «Falsi idoli. Le culture del feticismo» (Erickson, 2008, 184 pagine, euro 21,50).
«Tutti gli oggetti materiali – spiega l’autrice – che sono tenuti in alta considerazione e che sono ricercati come se non si potesse farne a meno sono feticci». L’elenco comprende ovviamente i cellulari e loro accessori, gli iPod, i SUV, i tatuaggi, ma anche gli utensili da cucina e le borse di Prada: tutte cose incaricate di colmare il doppio vuoto: quello dell’identità e quello delle relazioni. Louise J. Kaplan analizza anche la teoria del feticismo delle merci di Marx e alcuni aspetti distruttivi del progresso tecnologico. E, come in una raccolta differenziata del buongusto, cadono nel cassonetto dei feticci anche l’uso del corpo femminile nel cinema e nella televisione, la riduzione del confine fra umani e robot e il travaso di modelli (superficiali) dai reality show alle vite reali. Ma, per fortuna, non tutti i feticci vengono per nuocere: «la strategia feticista – conclude l’autrice – non è né completamente buona né completamente cattiva perché serve anche a proteggerci dalla violenza della distruzione».
La lettura dei due volumi potrà aiutare a decodificare, e quindi a vivere meglio, l’attuale atmosfera da felicità forzata e le continue sollecitazioni mediatiche e pubblicitarie che spingono all’acquisto e al soddisfacimento di bisogni creati apposta per le festività natalizie.
ANDREA MAMELI

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