Tra i fossili di Zoe (Andrea Mameli intervista Arianna Dagnino, L'Unione Sarda 1/8/2011)
La paleoantropologa sudafricana Du Plessis protagonista del libro di Arianna Dagnino che ora si racconta tra finzione e realtà
Da anni Zoe Du Plessis cerca ossa. E non ossa qualunque: alla paleoantropologa sudafricana interessano i primi reperti del genere Homo, le testimonianze dei nostri più remoti progenitori. Poi arrivano le sorprese, l'accorgersi dell'esistenza di un mondo esterno, prima sconosciuto. E la constatazione che non tutto si esaurisce nella scienza: «Tracce, tracce. Non aveva fatto che cercae tracce. Ma quanti miliardi di essereri umani erano già scomparsi senza lasciare traccia? Avrebbe veramente fatto una qualche differenza? Forse avevano ragione loro, gli umili della terra. I dimenticati». Zoe è la protagonista di Fossili. Una storia d'amore in Sudafrica , romanzo d'esordio della giornalista genovese Arianna Dagnino: una protagonista che incarna la figura della scienziata moderna, attenta alla sua disciplina ma non distaccata dal resto del mondo, alla ricerca dell'origine della vita del genere Homo in Sudafrica, e capace di vergognarsi per aver assistito silenziosamente al dramma dell'apartheid.
Arianna Dagnino, la paleontologia è anche metafora di una verità da ricercare dentro e oltre le divisioni politiche e sociali che animano il Sudafrica...
«Sì, ci insegna ad andare a fondo nelle cose, a non accontentarci di quello che appare in superficie. Allo stesso modo, bisogna scavare nel passato che non si vede per capire da dove nascono certi comportamenti individuali e collettivi. Ma la paleontologia, coadiuvata dalle ultime scoperte della genetica umana, ci insegna anche che siamo tutti discendenti da un'unica Eva, e che forse visse lungo le coste del Sudafrica, lì dove ho ambientato parte del romanzo».
Nel suo libro del 1996 “I Nuovi Nomadi” ha contribuito alla definizione del concetto di neo-nomadismo. Oggi vive in Australia e sta completando un PhD dedicato al romanzo transculturale. Di cosa si tratta?
«Lo considero il romanzo più aderente alla nuova era della mobilità globale, quella appunto del neonomadismo fisico e psicologico. Il romanzo transculturale riflette nelle sue tematiche, nelle attitudini e nelle vite dei suoi personaggi quelle dei suoi stessi autori, che si sono trovati a immergersi e confrontarsi con più culture. Fossili rappresenta per me già un tentativo, all'epoca della sua scrittura del tutto inconscio, di romanzo transculturale, in cui uno scienziato italiano, una paleoantropologa Afrikaner, un imprenditore Xhosa, un ex-soldato Zulu, un cercatore di fossili Shangaan, uno sciamano Boscimane intrecciano le loro vite e le loro culture nel complesso arazzo interrazziale e multiculturale del Sudafrica pre - e post-apartheid. Il dottorato di ricerca che mi è stato offerto all'Università del South Australia insieme a una borsa di studio mi ha permesso di elaborare in maniera più sistematica quelle intuizioni iniziali».
Il romanzo “Fossili” rappresenta forse un modo per avvicinare alla paleoantropologia. Com'è nata l'idea di questo libro?
«Per quattro anni, dal 1997 al 2000, io e mio marito Stefano Gulmanelli abbiamo fatto base a Johannesburg scrivendo corrispondenze e reportage per la stampa italiana. Durante quel periodo abbiamo avuto la possibilità di seguire gli scavi di diversi paleoantropologi sudafricani, inclusi quelli compiuti dal Professor Clarke nelle grotte di Sterkfontein, Patrimonio dell'Umanità dal 2000. Per quarant'anni, per 48 settimane all'anno, cinque giorni alla settimana, dalle cinque alle otto persone hanno scavato e studiato in queste grotte; sono stati raccolti oltre 600 resti fossili di ominide, il che fa di Sterkfontein il più ricco deposito singolo di resti di ominidi del mondo. Noi abbiamo avuto il privilegio di essere i primi giornalisti a vedere i resti dello scheletro di ominide rinvenuti dal team del professor Clarke nel 1998. “Fossili” nasce da quella prima emozione, in quella caverna sotterranea, quando vidi Clarke rannicchiarsi in posizione fetale sulla nuda roccia per dimostrarci in che modo era morto, ed era rimasto sepolto per due milioni di anni, il suo ominide».
Come è stato accolto il libro?
«È troppo presto per tirare le somme. Spero che anche “Fossili” duri nel tempo. Non l'ho scritto con l'intenzione di diventare famosa come scrittrice ma per lasciare una traccia di quello che avevo vissuto e appreso in quegli anni africani, che hanno lasciato un segno indelebile. Una lezione di vita che volevo trasmettere ai miei figli. Per questo sono riuscita a concludere il libro solo dopo la nascita dei nostri bambini, quasi dieci anni dopo averlo iniziato. Quello che è certo è che non è un libro a prova di critico. Quando l'ho scritto ho pensato ai libri che mi sarebbe piaciuto leggere, non a quelli che ero costretta a studiare. Ho scritto il mio libro per i tanti lettori comuni; per aiutarli a vivere, non a scrivere una dotta dissertazione»
Andrea Mameli
L'Unione Sarda, inserto estate, Cultura, pag. X, primo agosto 2011
Da anni Zoe Du Plessis cerca ossa. E non ossa qualunque: alla paleoantropologa sudafricana interessano i primi reperti del genere Homo, le testimonianze dei nostri più remoti progenitori. Poi arrivano le sorprese, l'accorgersi dell'esistenza di un mondo esterno, prima sconosciuto. E la constatazione che non tutto si esaurisce nella scienza: «Tracce, tracce. Non aveva fatto che cercae tracce. Ma quanti miliardi di essereri umani erano già scomparsi senza lasciare traccia? Avrebbe veramente fatto una qualche differenza? Forse avevano ragione loro, gli umili della terra. I dimenticati». Zoe è la protagonista di Fossili. Una storia d'amore in Sudafrica , romanzo d'esordio della giornalista genovese Arianna Dagnino: una protagonista che incarna la figura della scienziata moderna, attenta alla sua disciplina ma non distaccata dal resto del mondo, alla ricerca dell'origine della vita del genere Homo in Sudafrica, e capace di vergognarsi per aver assistito silenziosamente al dramma dell'apartheid.
Arianna Dagnino, la paleontologia è anche metafora di una verità da ricercare dentro e oltre le divisioni politiche e sociali che animano il Sudafrica...
«Sì, ci insegna ad andare a fondo nelle cose, a non accontentarci di quello che appare in superficie. Allo stesso modo, bisogna scavare nel passato che non si vede per capire da dove nascono certi comportamenti individuali e collettivi. Ma la paleontologia, coadiuvata dalle ultime scoperte della genetica umana, ci insegna anche che siamo tutti discendenti da un'unica Eva, e che forse visse lungo le coste del Sudafrica, lì dove ho ambientato parte del romanzo».
Nel suo libro del 1996 “I Nuovi Nomadi” ha contribuito alla definizione del concetto di neo-nomadismo. Oggi vive in Australia e sta completando un PhD dedicato al romanzo transculturale. Di cosa si tratta?
«Lo considero il romanzo più aderente alla nuova era della mobilità globale, quella appunto del neonomadismo fisico e psicologico. Il romanzo transculturale riflette nelle sue tematiche, nelle attitudini e nelle vite dei suoi personaggi quelle dei suoi stessi autori, che si sono trovati a immergersi e confrontarsi con più culture. Fossili rappresenta per me già un tentativo, all'epoca della sua scrittura del tutto inconscio, di romanzo transculturale, in cui uno scienziato italiano, una paleoantropologa Afrikaner, un imprenditore Xhosa, un ex-soldato Zulu, un cercatore di fossili Shangaan, uno sciamano Boscimane intrecciano le loro vite e le loro culture nel complesso arazzo interrazziale e multiculturale del Sudafrica pre - e post-apartheid. Il dottorato di ricerca che mi è stato offerto all'Università del South Australia insieme a una borsa di studio mi ha permesso di elaborare in maniera più sistematica quelle intuizioni iniziali».
Il romanzo “Fossili” rappresenta forse un modo per avvicinare alla paleoantropologia. Com'è nata l'idea di questo libro?
«Per quattro anni, dal 1997 al 2000, io e mio marito Stefano Gulmanelli abbiamo fatto base a Johannesburg scrivendo corrispondenze e reportage per la stampa italiana. Durante quel periodo abbiamo avuto la possibilità di seguire gli scavi di diversi paleoantropologi sudafricani, inclusi quelli compiuti dal Professor Clarke nelle grotte di Sterkfontein, Patrimonio dell'Umanità dal 2000. Per quarant'anni, per 48 settimane all'anno, cinque giorni alla settimana, dalle cinque alle otto persone hanno scavato e studiato in queste grotte; sono stati raccolti oltre 600 resti fossili di ominide, il che fa di Sterkfontein il più ricco deposito singolo di resti di ominidi del mondo. Noi abbiamo avuto il privilegio di essere i primi giornalisti a vedere i resti dello scheletro di ominide rinvenuti dal team del professor Clarke nel 1998. “Fossili” nasce da quella prima emozione, in quella caverna sotterranea, quando vidi Clarke rannicchiarsi in posizione fetale sulla nuda roccia per dimostrarci in che modo era morto, ed era rimasto sepolto per due milioni di anni, il suo ominide».
Come è stato accolto il libro?
«È troppo presto per tirare le somme. Spero che anche “Fossili” duri nel tempo. Non l'ho scritto con l'intenzione di diventare famosa come scrittrice ma per lasciare una traccia di quello che avevo vissuto e appreso in quegli anni africani, che hanno lasciato un segno indelebile. Una lezione di vita che volevo trasmettere ai miei figli. Per questo sono riuscita a concludere il libro solo dopo la nascita dei nostri bambini, quasi dieci anni dopo averlo iniziato. Quello che è certo è che non è un libro a prova di critico. Quando l'ho scritto ho pensato ai libri che mi sarebbe piaciuto leggere, non a quelli che ero costretta a studiare. Ho scritto il mio libro per i tanti lettori comuni; per aiutarli a vivere, non a scrivere una dotta dissertazione»
Andrea Mameli
L'Unione Sarda, inserto estate, Cultura, pag. X, primo agosto 2011
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