Parlare di emozioni? Aiuta a migliorare le abilità cognitive. Studio dell’Università di Milano-Bicocca

I. Grazzani, V. Ornaghi.
Se i bambini parlano delle emozioni, in piccoli gruppi e sotto la guida di un adulto, possono migliorare le loro capacità cognitive. Sono i risultati di uno studio condotto dai ricercatori del Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione dell’Università di Milano-Bicocca pubblicato sul Journal of Experimental Child Psychology ("Enhancing social cognition by training children in emotion understanding: A primary school study"). La ricerca, condotta in collaborazione con l’Università di Manitoba (Canada), è stata finanziata nell'ambito del progetto PRIN del 2008 "Star bene a scuola: il ruolo della teoria della mente nel favorire lo sviluppo socio-motivo e cognitivo nella scuola primaria".

Partendo dai risultati conseguiti in due precedenti studi, condotti dallo stesso gruppo di ricercatori con bambini tra i 3 e i 5 anni, la sperimentazione ha coinvolto 110 bambini di età compresa tra 7 e 8 anni delle scuole elementari dell’hinterland milanese.
I bambini, distribuiti in un gruppo sperimentale e in uno di controllo, hanno partecipato a 4 fasi di studio: pre-test, training, post-test e follow-up.
Nella fase di pre-test sono state proposte delle prove individuali di “comprensione delle emozioni”, di “empatia” e di ”teoria della mente” (prova cognitiva), per valutare il livello di partenza.
Poi si è passati alla fase di training che è durata circa due mesi. Durante questo periodo, i bambini del gruppo sperimentale, dopo aver ascoltato delle storie a contenuto emotivo, venivano coinvolti nelle conversazioni dedicate alla comprensione della natura, delle cause e della regolazione delle emozioni. Per promuovere la partecipazione attiva di tutti i bambini, il gruppo è stato a sua volta suddiviso in piccole classi di 6 bambini. Le attività si sono concentrate su cinque emozioni: quattro di base (felicità, rabbia, paura e tristezza) e una complessa (senso di colpa).
Ciascuna di queste emozioni è stata oggetto di conversazione per tre incontri: il primo focalizzato sulla comprensione dell’espressione, il secondo sulla comprensione delle cause e il terzo sulla comprensione delle strategie di regolazione dell’emozione target.
Ogni incontro è stato strutturato in quattro momenti: introduzione al tema da parte dell’adulto, un racconto di vita quotidiana, avvio della conversazione, e riflessione finale da parte dell’adulto (leggi la scheda col dettaglio dell’esperimento).
I bambini del gruppo di controllo, invece, ascoltavano le storie e in seguito facevano un disegno, non partecipando dunque alla conversazione.
Nella fase post-test, ai bambini sono state nuovamente proposte le prove; infine, dopo due mesi, a tutti i partecipanti è stata riproposta la prova di comprensione delle emozioni per verificare la persistenza degli effetti prodotti dall’intervento.
Osservando il gruppo dei bambini sottoposti all’intervento si è notato un significativo miglioramento, rispetto al gruppo di controllo, in vari aspetti della comprensione delle emozioni, nella dimensione cognitiva dell’empatia, e nella prova cognitiva di teoria della mente.
La spiegazione dei risultati risiede nell’uso della conversazione in un gruppo piccolo, il quale ha favorito il decentramento cognitivo, l’assunzione del punto di vista dell’altro, la consapevolezza delle differenze individuali e la capacità dei bambini di collegare il mondo interno non visibile con le azioni manifeste.
 «La novità dello studio – spiega Ilaria Grazzani, coordinatrice della ricerca e docente di Psicologia dello sviluppo e psicologia dell'educazione – consiste proprio nell’avere scoperto che l’intervento sulle emozioni produce miglioramenti anche nella capacità cognitiva di “teoria della mente”, ovvero nella capacità che consente di prevedere i comportamenti degli altri sulla base dell’inferenza dei loro stati mentali: “se ha fatto questo, forse è perché desiderava qualcosa; “se ha agito in un certo modo doveva essere arrabbiato”».
Veronica Ornaghi, assegnista di ricerca, ha sottolineato: «All’interno della scuola primaria tradizionalmente deputata all’insegnamento dei saperi curricular, è possibile realizzare interventi che, oltre a potenziare le abilità socio-emotive, come la comprensione delle cause delle emozioni, l’empatia e l’aiuto nei confronti dell’altro, producono anche miglioramenti su capacità di tipo cognitivo, per esempio, rappresentarsi la mente dell’altro e prevederne i comportamenti, un’abilità indispensabile nella vita sociale».
I risultati mostrano inioltre che la metodologia conversazionale proposta, già sperimentata con bambini più piccoli (Grazzani & Ornaghi, 2011; Ornaghi, Brockmeier, & Grazzani, 2011), si dimostra efficace anche in età scolare per promuovere le competenze socio-emotive dei bambini.
La scuola e la famiglia rappresentano dunque i contesti educativi e di apprendimento adatti a esercitare le competenze socio-emotive, ovvero la capacità di utilizzare e comprendere il significato di termini emotivo-affettivi, anche complessi, riconoscere e comprendere le diverse modalità attraverso le quali gli individui comunicano i propri vissuti emotivi, riflettere sulle diverse cause che possono dare origine alle emozioni e sul fatto che una stessa situazione può suscitare vissuti emotivi differenti nelle diverse persone, saper riconoscere e rispettare il punto di vista delle altre persone.
Obiettivi non di poco conto, che ricerche come questa (e la circolazione degli stessi risultati anche oltre la ristretta cerchia degli addetti ai lavori, compito svolto egregiamente dalla stessa Università di Milano-Bicocca), possono contribuire se non a raggiungere almeno ad avvicinare.

Enhancing social cognition by training children in emotion understanding: A primary school study
Veronica Ornaghi, Jens Brockmeier, Ilaria Grazzani
Abstract
We investigated whether training school-age children in emotion understanding had a significant effect on their social cognition. Participants were 110 children (M = 7 years and 3 months) assigned to training and control conditions. Over a two-month intervention program, after the reading of illustrated scenarios based on emotional scripts, the training group was engaged in conversations on emotion understanding, whereas the control group was simply asked to produce a drawing about the story. The training group outperformed the control group on emotion comprehension, theory of mind and empathy, and the positive training outcomes for emotion understanding remained stable over six months. Implications of the findings are discussed

Andrea Mameli
Blog Linguaggio Macchina
10 Dicembre 2013
 

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