La scienza riscopre la rivolta dell’oggetto (L’Unione Sarda, 19 settembre 2007)
L’Unione Sarda, Inserto Cultura Estate Pagina VI, 19 settembre 2007
Artefatti “sovversivi” e bussole culturali nel libro del sociologo Mongili
Un tentativo di aprire al pubblico il tema della progettazione di dispositivi tecnologici “Gli Europei, la scienza e la tecnologia”, sondaggio commissionato dalla Commissione Europea nel maggio 2001, mise in evidenza una serie di contraddizioni: fiducia, speranza, incertezza, scarso interesse, paura. Nel dicembre dello stesso anno la Commissione approvò il Piano d’azione “Scienza e società”, ovvero la strategia destinata a rendere la scienza più accessibile ai cittadini attraverso 38 azioni concrete. A distanza di sei anni si è aperta una nuova stagione di critica dell’esistente nella quale la diffusione della cultura scientifica e tecnologica è lo strumento centrale. Su queste basi si è aperto il dibattito sulla necessità, in una società come la nostra, definita non sempre a ragione “della conoscenza”, di una sempre maggiore consapevolezza del ruolo della ricerca. Il primo convegno dell’Associazione Italiana di Studi Sociali su Scienza e Tecnologia (STS Italia) svoltosi a Cagliari nel giugno 2006, affrontò proprio il nocciolo di questa discussione: “Le forme dell’innovazione tra società e tecnoscienza”.
Un recentissimo saggio di Alessandro Mongili (docente di Sociologia e Sociologia della tecnica all’Università di Cagliari e presidente STS Italia) - Tecnologia e società (Carocci, 2007, 128 pagine, euro 9,50) - tenta di offrire una bussola e una mappa per orientarsi in questo territorio. Una bussola per individuare quattro punti cardinali: il legame tra macchine, persone e testi; l’analisi dell’evoluzione degli oggetti; lo studio della progettazione degli oggetti (che contiene il progetto dei loro usi e dei loro contesti); l’osservazione dei rapporti tra umani e non umani. Una mappa per orientarsi tra insiemi di classificazioni e di standard condivisi, e per risonoscere il valore del contesto: «Un artefatto - scrive Mongili - si diffonde nello spazio e dura solo grazie all’azione collettiva continua di una rete di attori, e questo produce come esito finale la trasformazione, dell’artefatto, della struttura interpretativa e dell’insieme di relazioni sociali connesso, in una scatola nera che non muta più, la cui apertura è impedita dalla sua naturalizzazione». Mongili sottolinea anche altri aspetti, come il rapporto tra chi crea e chi consuma: «Ogni programma d’azione si trova di fronte utenti da educare all’uso di un nuovo oggetto, cui le macchine sono incapaci di dare risposte. Gli stessi oggetti tecnici, spesso, non rispondono adeguatamente al programma d’azione: ad esempio si guastano, si surriscaldano, si avviano lentamente, i software si installano male, ecc».
Sono questi comportamenti sovversivi (come li definisce il filosofo e antropologo francese Bruno Latour) a restituire importanza al percorso di ripensamenti, interruzioni e fallimenti che si cela dietro ogni risultato tecnologico di rilievo. Un’altra importante sottolineatura è sul concetto di traduzione: «L’esistenza tecnica - scrive Mongili - corrisponde a un lavorio costante di manutenzione, modifica, costruzione di alleanze e disciplinamento del dispositivo tecnico che ne accompagna tutta l’esistenza e che ne mette in pericolo l’assetto originario». Scienza e tecnologia, è l’assunto, agiscono come traduzioni di artefatti.
Ma forse il merito principale del saggio è nel tentativo di aprire a un pubblico vasto la discussione sulla progettazione, la creazione e l’uso dei dispositivi tecnologici, senza correre il rischio di esaltarne i contenuti: «Il carattere spettacolare delle tecnoscienze, così cruciale per la loro divulgazione, non dovrebbe contagiare l’analisi sociologia».
Andrea Mameli
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