Le scimmie verdi, come entrare nei panni dell'altro (L'Unione Sarda, 21 novembre 2007)

scimmie verdi unione sarda 21 nov 2007 TEATRO - Sul palco contro il razzismo
L'Unione Sarda, pagina 17 (21 novembre 2007)
Un soldato difende la propria trincea. La guerra di posizione lo sta logorando, a 50 mila anni luce da casa, quando scorge un nemico che si avvicina. Lo uccide e poi ne osserva il cadavere. Con disgusto ne descrive le sembianze. Solo ora comprendiamo che il protagonista è quello che noi chiamiamo alieno, con tanto di squame, mentre il suo nemico è un terrestre. È la trama di Sentry (Sentinella), il celebre racconto di fantascienza, con il quale Fredric Brown nel 1954 spezza la retorica dell’orribile nemico e ci propone l’idea che, a volte, i nemici siamo noi. Su questa falsariga Daniele Barbieri e Hamid Barole Abdu hanno ideato Le scimmie verdi: uno spettacolo che prova a svelare come si sente uno straniero nei panni di un italiano e un nativo nei panni di un migrante. Nella realtà l’italiano è un giornalista, autore di antologie di fantascienza per la scuola e formatore, e lo straniero un operatore psichiatrico, scrittore e poeta eritreo (la sua ultima fatica è: "Seppellite la mia pelle in Africa"). Durante la prima scena i due mettono letteralmente uno nei panni dell’altro: si scambiano i vestiti. Daniele si comporta come un immigrato: a volte debole e insicuro, altre fiero della sua identità, non immune da pregiudizi verso gli italiani. Intanto il falso Daniele, cioè Hamid, rivela la sua paura delle diversità. Ma l’incontro tra i due provoca comunque una reazione, rendendo più difficile il dialogo: cercano un linguaggio comune e provano a parlare di loro stessi prima ancora che di razzismo e di sicurezza. Le scimmie verdi (il titolo è ispirato a un racconto di Thedore Sturgeon, altro autore di fantascienza) smonta alcuni meccanismi del razzismo e li mette a nudo ma fa anche sorridere sulle reciproche debolezze. Fino a un colpo di scena finale che ci costringe a qualcosa di inaspettato, anche se presente, da sempre, sotto i nostri occhi. Dopo lo spettacolo restano molti interrogativi: la vera identità è la consapevolezza di appartenere a un insieme di individui con un passato in comune? Le guerre etniche esistono davvero? I poveri e i ricchi, i padroni e gli sfruttati sono il vero problema che il razzismo tende a occultare? E a volte si innescano autentici dibattiti, che coinvolgono Daniele Barbieri, Hamid Barole Abdu e pubblico. Tanto che il testo viene modificato e arricchito dopo ogni esibizione. Ad arricchirsi è anche il linguaggio usato in scena: sono le parole usate ogni giorno, a volte imprecise e inserite in frasi sgrammaticate, di persone che non sanno di parlare come veri razzisti. Ma a volte sono anche termini apparentemente delicati come tolleranza a rivelarsi vuoti: tolleranti verso chi e verso che cosa? Le sorprese e gli equivoci sono dietro ogni angolo. 
Per capirlo è utile mettersi nei panni degli altri, o, per dirla con Martin Buber: "L’unico modo di imparare è attraverso un incontro".
Altri significativi esempi in cui per capire si capovolgono i ruoli sono due mostre "Dialogo nel Buio" (un percorso immerso nel buio più totale, ove il vedente è guidato dal nonvedente, all’Istituo Ciechi di Milano) e "Scènes de silence" (con i sordi che conducono gli udenti in un itinerario silenziso fatto di gesti, alla Cité des Sciences di Parigi).
Andato in scena in 15 città italiane, lo spettacolo approda in Sardegna: domani alle 17 Daniele Barbieri e Hamid Barole Abdu saranno a Mandas (ex convento dei cappuccini) primo appuntamento del ciclo Incontri con la parola organizzato da paesedombre.org e dal Comune di Mandas.
Andrea Mameli

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