25 agosto 2007

I geni della lunga vita (L'Unione Sarda, 26 agosto 2007)

Orosei, presentati gli studi di progenia Unione Sarda agosto 2007I geni della lunga vita
Orosei, presentati gli studi di progenia

Tutto fa male se si eccede. Tranne poche cose. Una di queste è la cultura. Se in Sardegna fioriscono i festival letterari, le rassegne teatrali, le rassegne musicali, i premi di poesia, ebbene tutti i sardi (e non solo i sardi) dovrebbero ringraziare. E ora che stanno spuntando anche i festival scientifici (Orgosolo da due anni e Pula da questa estate) nessuno osi protestare: a meno che non si preferisca il deserto culturale di qualche anno fa, quando eventi di questo genere, nella nostra isola, erano merce rara. Le serate di archeologia organizzate a Orosei dal mensile di divulgazione scientifica Darwin e dall'associazione culturale "Casa Cabras", in collaborazione con il Comune di Orosei, vanno in questa direzione. Gli ingredienti? Un luogo straordinario (la splendida casa che Gianni Cabras, medico di Orosei residente a Torino, ha restaurato e messo a disposizione), una passione per la scienza (quella che il giornalista Gianfranco Bangone, anche lui di Orosei, ha riversato in questo progetto) e un sindaco (Gino Derosas) pronto a fornire il sostegno istituzionale all’iniziativa. Le Serate di Archeologia di Orosei hanno così saputo offrire occasioni di altissimo livello su studi legati a storia, biologia e antropologia dei sardi.
L’ultimo incontro, in programma lunedì 27 agosto alle 21, con tre temi appetitosi: la ricostruzione degli scambi di Ossidiana (relatore Carlo Luglié, del laboratorio di paletnologia e antichità sarde dell’università di Cagliari), le tecniche di vinificazione dei nuragici (relatore Mario Sanges, della sovrintendenza ai beni archeologici di Nuoro e Sassari) e gli ultimi studi sulle origini del Cannonau (a cura di Gianni Lovicu del Centro regionale agrario sperimentale). Come ha spiegato Bangone, direttore di Darwin, e ideatore dell’iniziativa il ciclo di incontri puntava apertamente a presentare, a un pubblico eterogeneo com’è quello della Sardegna estiva, risultati scientifici che non sempre varcano la soglia dei congressi accademici. Una ricognizione sulle origini dei sardi condita con importanti rivelazioni, resa insolitamente digeribile in quei gradevoli dopo cena d’agosto.
Ma le serate di Casa Cabras hanno toccato anche temi di assoluta attualità, come le ricerche sulla salute (e sulle malattie) dei sardi di oggi. Nella relazione del 21 agosto (“Il segreto della longevità”) Silvia Naitza, ricercatrice del CNR di Cagliari, ha illustrato i progressi compiuti nel campo della genetica medica attraverso le attività del gruppo ProgeNIA. Queste ricerche, finanziate dal 2001 al 2011 dall’istituto nazionale per la salute degli Usa (con 22 milioni e 521 mila dollari in totale) stanno fornendo alcune indicazioni importanti verso l’origine delle malattie da un lato e della longevità dall’altro. Grazie alla partecipazione spontanea di 6162 volontari di Arzana, Elini, Ilbono, Lanusei, di età compresa fra 14 e 102 anni (pari al 62% della popolazione del territorio) sono state raccolte informazioni sanitarie allo scopo di mettere in relazione i tratti studiati con le varianti geniche che ne determinano le alterazioni. Tra i geni individuati, in particolare fra quelli che controllano i tratti ematici, ne è stato trovato uno che regola i valori dell'emoglobina fetale consentendone la persistenza nell'adulto. Questa scoperta racchiude la speranza per migliorare le condizioni di vita dei pazienti affetti da talassemia.
"Abbiamo individuato due geni correlati con l’obesità – ha spiegato Silvia Naitza al folto pubblico di Orosei, composto da turisti, residenti e persone venute apposta da altre parti della Saredegna per le serate di Archeologia – e stiamo lavorando verso più direzioni in relazione a fattori di rischio per le malattie cardiovascolari".
Altri studi futuri riguardano il diabete, la sclerosi multipla, le tiroiditi autoimmuni, tutte patologie che, come la talassemia, rivestono per la loro incidenza una particolare importanza in Sardegna, ma anche l’asma e il carcinoma alla mammella.
Silvia Naitza (che dopo la laurea in Scienze Biologiche a Roma ha lavorato all'Imperial College di Londra, al CNRS di Strasburgo e all’Università di Perugia) è ritornata in Sardegna grazie all’interesse manifestato dal compianto Giuseppe Pilia (fondatore delle ricerche genetiche in Ogliastra), dove oggi lavora come ricercatrice del CNR.
"La proposta di Giuseppe Pilia – spiega Silvia Naitza –inizialmente riguardava le ricerche sull’asma: il gene da lui scoperto, denominato IRAK-M è implicato nella risposta immunitaria innata, meccanismi che ho studiato per 3 anni a Strasburgo. Poi sono stata coinvolta da Antonio Cao nel progetto Progenia. Credo molto in questo progetto perché promette di aprire nuovi campi d'indagine di enorme impatto per la salute umana".
I vantaggi che deriveranno per ciascuno di noi dai risultati di queste ricerche permetteranno di comprendere i meccanismi molecolari che sono alla base dei complessi processi legati all’invecchiamento. I risultati, di estrema importanza per la comunità scientifica, contribuiranno anche a migliorare la qualità della vita non solo della popolazione dell’Ogliastra o della Sardegna ma per gli anziani di tutto il mondo, attraverso suggerimenti sul regime di vita e con l’eventuale supporto di nuovi farmaci. Il tutto, come ama ripetere Antonio Cao, coordinatore del progetto Progenia, grazie ai geni di seimila abitanti di quella fetta di Sardegna che più delle altre è rimasta isolata per millenni: l’Ogliastra.

Andrea Mameli 
L'Unione Sarda, inserto Estate Cultura, pag. VI, 26 agosto 2007

24 agosto 2007

Il cyberfilm eterno: Blade Runner compie 25 anni

Il cyberfilm eterno: Blade Runner compie 25 anni
Andrea Mameli (L'Unione Sarda, inserto Estate Cultura, 24 agosto 2007, pagina VII)

Occupa da un quarto di secolo un posto d’onore nella storia del cinema, accanto a "Metropolis" di Fritz Lang e "2001 odissea nello spazio" di Stanley Kubrick, e il primo settembre sarà proiettata a Venezia in versione restaurata: "Blade Runner" è infatti la sorpresa della 64ª Mostra internazionale d'arte cinematografica. Il capolavoro di Ridley Scott dopo 25 anni mantiene intatto il suo fascino, con quella Los Angeles del 2019 in disfacimento e quel cacciatore di replicanti angosciato dal dubbio.
Ma perché queste scene sono entrate stabilmente nell’immaginario collettivo? Solo per la curiosità suscitata in noi da quella strana umanità che si nasconde in ambienti cupi e decadenti? O è il nostro stupore di scoprirci incapaci di distinguere l’uomo dall’androide? Sicuramente dietro questa pellicola c’è una profondità che va oltre la dimensione filmica: c’è una storia che solleva questioni puramente filosofiche (chi sono io? chi è l’altro? cosa mi rende diverso dall'androide? percepiamo il medesimo universo?), opera di un grande scrittore. Quel Philip Kindred Dick, oggi rivalutato in tutto il mondo, che per ironia della sorte muore pochi mesi prima dell’uscita del film.
Blade Runner si basa su un romanzo di Dick del 1968 ("Gli androidi sognano pecore elettriche?") che già dal titolo rivela lo spostamento di prospettiva, rispetto alla fantascienza tradizionale: fuori gli omini verdi e gli invasori spaziali, dentro l’uomo, con tutta la sua forza e la sua debolezza.
Philip K. Dick ha saputo creare presenti e futuri, nei quali i protagonisti scoprono di essere circondati da non umani o scoprono di essere qualcuno (o qualcosa) che non pensavano di essere. Pochi come lui sono stati in grado di tramutare le proprie nevrosi in un mondo di storie affascinanti che stupiscono e catturano. I romanzi di Philip K. Dick, popolati di persone comuni o presunte tali, esplorano questioni tuttora aperte, come l'impatto dei media sulla società, svelano inquietanti e geniali universi alternativi, la scienza analizzata più per i suoi effetti che per la sua forma, sotto una costante cappa di sospetto e diffidenza verso tutti e verso tutto. Nell’opera di Dick troviamo anche i poteri extrasensoriali (come la telepatia), i viaggi nel tempo (irripetibili quelli di "Ubik", romanzo del 1969, da alcuni ritenuto il suo vero capolavoro), la dimensione mistica e le droghe. Ma tutto ciò è solo il brodo di coltura per una spietata analisi politica che si manifesta (esemplare il racconto "Minority Report", da cui è tratto il film di Spielberg del 2002) nell’ossessione per la privazione della libertà e per il controllo dell'individuo (siamo negli anni di Nixon e del Watergate).
Oggi la sterminata opera di Dick (più di 40 romanzi e oltre cento racconti) può essere rivisitata anche sotto altre chiavi di lettura. In "Valis" (Vast Active Living Intelligence System, 1981) rintracciamo la previsione di quel nuovo spazio antropologico, quell’intelligenza collettiva poi definita da Pierre Lévy nel 1996, che coincide con la connessione e l’interazione tra le conoscenze umane: "La sfera della comunicazione – scriveva Philip K. Dick – ha acquistato vita propria, un Logos vivente, una mente collettiva indipendente dai nostri cervelli, un sistema titanico di intelligenza artificiale". In questo modo Dick si fa anticipatore del cyberpunk: dobbiamo a lui se il mondo dell’artificiale non è più soltanto la macchina neutra e priva di empatia.
Negli Stati Uniti stanno tornando nelle librerie anche i romanzi meno celebrati. In Italia l’editore Fanucci ha acquistato l'esclusiva dell’intera opera dickiana: la più recente ristampa è il romanzo del 1962 "La svastica sul sole" ("The man in High Castle") Premio Hugo 1963, nel quale i nazisti e i giapponesi hanno occupato gli Stati Uniti.
E pensare che l'incontro con la fantascienza avviene casualmente, nel 1949, quando Dick acquista una rivista di science fantasy per sbaglio (al posto di un giornale di divulgazione scientifica). Vita e opere da decifrare con l’aiuto della più riuscita biografia di Dick, "Io sono vivo e voi siete morti, un viaggio nella mente di Philip K. Dick" (Hobby & Work Publishing, 2006, 335 pagine, 17 euro) di Emmanuel Carrère. L’opera dello scrittore francese, che ha condotto un lungo lavoro di analisi di lettere e testimonianze su Dick, ci offre una serie di fotogrammi che colpiscono e sorprendono. "Una conversazione con lui – scrive Carrière – non rassomigliava a uno scambio di argomenti, ma a un giro sulle montagne russe in cui l’interlocutore gioca il ruolo del passeggero e lui quello del vagone, delle rotaie, delle leggi della fisica". Scopriamo così che è proprio grazie all’opera dickiana, sovversiva nei confronti della letteratura di genere, che la fantascienza esce definitivamente dal ghetto per riconquistare lo spazio che le compete: quello dello strumento di analisi del reale e del possibile. E Dick – che rivive nel sito allestito dai figli www.philipkdick.com – sembra gridare, come il suo Blade Runner: "Io ne ho viste cose... Che voi umani non potreste neanche immaginare...".

Foto in alto: Philip K. Dick e Ridley Scott dietro le quinte del film Blade Runner (Photo: Kim Gottlieb. Courtesy of Isa Dick-Hackett).
Foto in basso: Philip K. Dick intento a leggere un articolo sul film Blade Runner (Photo courtesy of the Philip K. Dick Trust).

23 agosto 2007

Progenia e la genetica dei sardi

PROGENIA Progetto Progenia, in quattro comuni dell'Ogliastra il segreto della longevità
L’UNIONE SARDA 14 LUGLIO 2007

L’interesse per l'invecchiamento, condizione umana ambita ma altrettanto temuta, cresce con l'innalzarsi dell'aspettativa di vita media. L'obiettivo delle ricerche in questo campo è esplicito: prolungare la vita mantenendola in salute. Attratti dalle caratteristiche di longevità dal 2001 i ricercatori del CNR di Cagliari dell'Istituto di neurogenetica e neurofarmacologia studiano i pregi della popolazione sarda, attingendo dal patrimonio genetico degli abitanti di quattro comuni ogliastrini: 6162 volontari di Arzana, Elini, Ilbono, La nusei, di età compresa fra 14 e 102 anni, pari al62% della popolazione del territorio (9995). Il progetto, denominato "Progenia", è nato nel 2001 in collaborazione con l'Istituto sull'invecchiamento del National institute of health degli Stati Uniti, dal quale è stato totalmente finanziato per dieci anni (fino al 2011).
Sono alcune condizioni particolari, come la propensione alla longevità, la stabilità ambientale e lo stesso isolamento geografico, a fare del territorio sardo un laboratorio naturale per lo studio della longevità. Le differenze tra individui derivano dal fatto che ciascuno di noi possiede diverse varietà dello stesso gene, ma in Sardegna tali variazioni sono minori: questo permette di associare più facilmente la variante genetica a uno o più tratti particolari. Per esempio l’ elasticità delle arterie o la capacità di affrontare con ottimismo le difficoltà della vita.
I risultati raggiunti dal progetto "Progenia" sono stati presentati a Lanusei in un affollato incontro pubblico ("I: unicità del tuo patrimonio genetico: una ricchezza che puoi condividere"). I sindaci dei quattro centri coinvolti nella sperimentazione, impegnati in prima persona come volontari, hanno rinnovato il pieno sostegno alle attività di ricerca. Il coordinatore del progetto, Antonio Cao, dopo aver ricordato la figura del ricercatore che per primo diede impulso e corpo all'iniziativa, il compianto Giuseppe Pilia, ha sottolineato gli elementi di forza del progetto a partire dalle caratteristiche di invariabilità del corredo genetico dei sardi. La particolarità delle ricerche condotte da "Progenia" sono anche di carattere metodologico: «In Ogliastra - ha sottolineato Manuela Uda, responsabile della sezione di ricerca del CNR a Lanusei - conduciamo uno studio longitudinale: la salute di ogni volontario viene seguita nel tempo, per questo è fondamentale mantenere il campione il più possibile invariato. Alla prima visita del 2001 tre anni dono la seconda, con analisi epidemiologica e analisi genetica, e nel 2008 abbiamo in programma la visita con analisi funzionale dei geni che avremo identificato».
Tra i brillanti risultati del progetto, l'identificazione di geni per acido urico, asma e variazioni emoglobina fetale (lo studio dei meccanismi che regolano l'attivazione dei geni gamma dell'emoglobina fetale può portare a sopperire all'assenza di catene beta dell'emoglobina adulta nei pazienti talassemici), numerosi articoli scientifici accettati da riviste e congressi internazionali, e lavoro per decine di ricercatori. Ma Antonio Cao ha sottolineato un dato negativo: «I finanziamenti del progetto, cioè due milioni di dollari all'anno, per 10 anni, giungono solo dagli Usa. Ora confidiamo nella legge di riordino della ricerca scientifica in Sardegna, che presto sarà discussa in Consiglio regionale».
Il coordinatore del progetto "Progenia" ha chiuso i lavori ringraziando calorosamente i seimila volontari coinvolti. Ma ha fatto appello ai circa 1500 che non si sono ancora sottoposti al secondo ciclo di visite: «Per uno studio longitudinale, in cui è cruciale ripetere gli esami sugli stessi soggetti a distanza di tempo, è indispensabile raggiungere la stessa cifra della prima volta».
ANDREA MAMELI

20 agosto 2007

I modelli di malattia creati apposta per te

Un biologo contro i colossi del farmaco
Andrea Mameli (L'Unione Sarda, 20 agosto 2007, inserto Estate Cultura, pag. VI)

“La medicina ha fatto così tanti progressi che ormai nessuno è sano” scriveva Aldous Huxley nel suo celebre romanzo del 1932 “Il mondo nuovo” (Oscar Mondadori, 2004) dove compare la “soma”, droga di stato che rende tutti felici ma al prezzo di perdere ogni senso critico.
"Non assumere farmaci è un crimine" era l’imperativo del mondo descritto nel 1971 in "THX-1138", il primo film prodotto da George Lucas: anche in questo caso la trama fantastica dipinge inquietanti regimi totalitari che trovano nella salute il loro nocciolo fondamentale.
Le attività svolte dalle case farmaceutiche fanno invece da sfondo al libro di Jörg Blech (biologo e giornalista scientifico) “Gli inventori delle malattie. Come ci hanno convinti di essere malati” (Lindau, Torino, 2006, 282 pagine, 18,00 €). Questo saggio, divenuto un best seller in Germania (dove è stato pubblicato nel 2003) analizza spietatamente il fenomeno del Disease mongering, ovvero: fare affari con le malattie. “Per ogni malattia – scrive Blech – c’è una pillola, e sempre più spesso per ogni nuova pillola c’è anche una nuova malattia.”
Invenzioni di un giornalista? Fantasie di un biologo? A quanto pare no, se è vero quanto scriveva il “British Medical Journal” nel 2002 (Too Much Medicine?): “Molti normali processi della vita come la nascita, l’invecchiamento, la sessualità, il sentirsi infelici e la morte possono essere medicalizzati.”
In Italia fece discutere l’editoriale del Bollettino d’Informazione sui Farmaci (organo ufficiale del Ministero della Salute) del marzo 2005 intitolato “Nasce prima il farmaco o la malattia?” che parlava apertamente di vendita delle malattie “per creare un mercato potenziale sufficientemente ampio ai prodotti che verranno in seguito lanciati.”
La circostanziata analisi di Jörg Blech porta a concludere che “per poter mantenere inalterata l’enorme crescita avuta negli anni passati, l’industria della salute deve prescrivere sempre più spesso farmaci a persone sane.”
Ma l’autore tedesco non si è limitato a scoperchiare la pentola: ha provato a rimestare. Il risultato è un nuovo volume “La Medicina che non Guarisce. Come difendersi da terapie inutili o nocive” (Lindau, 2007, 251 pagine, 18,00 €) nel quale attacca aziende, cliniche e specialisti, senza dimenticare l’ignoranza dei pazienti.
Tuttavia i problemi originati dal Disease mongering non si limitano alle conseguenze (economiche, sociali e sanitarie) dell’abuso di farmaci. L’enorme interesse per medicine di largo consumo (un esempio per tutte è il Viagra, diventato in pochi anni il farmaco più venduto al mondo) riduce la già scarsa attenzione verso i rimedi a malattie rare, spesso molto più gravi di nuove (presunte) patologie. Poi c’è un aspetto, denunciato nel romanzo di John Le Carré (da cui Fernando Meirelles due anni fa ha tratto il film The Constant Gardener) “Il giardiniere tenace” (Mondadori, 2001): il fattore sperimentazione umana. Nei paesi in via di sviluppo i farmaci vengono generalmente testati, in assenza di precauzioni e procedure di sicurezza, in luoghi ove i controlli sono ridotti (e i pazienti numerosi) e i costi più bassi. Lo spiega Sonia Shah, facendo ricorso a una casistica accuratamente documentata, in “Cacciatori di Corpi. Il mercato della sperimentazione di nuovi farmaci” prefazione di John Le Carrè (Nuovi Mondi Media, 2007, 280 pagine, 17,50 €). Una cruda analisi del fenomeno è contenuta anche nel libro dell’economista Alberto Castagnola, illustrato da Maurizio Rossi: “Il mercato della salute. Diritto alla vita tra interessi, speculazioni, piraterie” (Emi, Bologna, 2005, 128 pagine, 18,00 €). Le multinazionali del farmaco, è la tesi centrale del volume, accumulano profitti stellari tutelando i prodotti con brevetti che li rendono di fatto inaccessibili a miliardi di persone.

Dall’hockey alle ricerche sull’energia a basso costo

Dall’hockey alle ricerche sull’energia a basso costo
Michele Saba giocatore della grande Amsicora e punta di diamante degli studi avanzati sui nuovi materiali
Di Giacomo Mameli
La Nuova Sardegna, 20 agosto 2007, Pagina 6

michele saba Da campione nello sport (ha giocato come difensore nell’Amsicora del mito, la squadra italiana più titolata nell’hockey su prato) ad attaccante di punta della ricerca scientifica, quella che lo ha portato alla ribalta nelle pagine di riviste come “Nature”, “Science” e “Physical Review”.
Perché lui, Michele Saba, cagliaritano di 32 anni, con dna fra il Logudoro di Ozieri e i graniti di Santa Teresa di Gallura, oggi lavora tra laser e glove boxes in una stanzetta a pochi metri dal pendolo di Foucault, biglietto da visita del dipartimento di Fisica della cittadella universitaria di Monserrato. È qui anche nella settimana di ferragosto in compagnia di un ricercatore livornese, Francesco Quochi, di un laureando oristanese in Scienza dei materiali (Andrea Cadeddu) e una dottoranda polacca, Agnieszka Gocalinska. Per capire che cosa avviene fra questi laboratori occorrerebbe una cassetta di attrezzi scientifici difficile da reperire al supermarket. Ma basta far parlare questo giovane studioso finito tra gli “Scienziati di ventura” (editore Cuec) di Andrea Mameli e Mauro Scanu, nelle pagine di Nova del Sole 24 Ore che già se ne era occupato due anni fa (25 marzo 2005) con un’apertura a sette colonne e un titolo che suonava così: «Al Mit creo i laser del futuro».
Il soggetto era lui, Michele Saba. E il Mit - si sa - è il Massachusetts institute of technology di Boston dove Saba ha avuto come insegnanti il premio nobel per la Fisica Wolfgang Ketterle e Dave Pripchard, guru della fisica professore di altre cinque stelle insignite ugualmente del nobel. Saba si è formato fra quelle pareti ma - alla fin fine - riporta tutto al campo di hockey dell’Amsicora quando era più giovane. «Nello sport devi vincere, devi puntare a conquistare le vette della classifica. Dobbiamo avere la stessa carica nella ricerca scientifica, puntare all’eccellenza che dipende dal lavoro senza soste, dalla passione, dalla continuità negli allenamenti da una parte, negli esperimenti dall’altra. Per lo studio devi seguire lo stesso metodo». Ed ecco un esempio che calza: «I giocatori dell’Amsicora -i Raggio, i fratelli Giuliani, i centrocampisti Medda - sono nati attorno al rione dove c’è lo stadio, fra il Quartiere del Sole e Sant’Elia. Nella ricerca scientifica è troppo comodo importare i cervelli dal di là delle Alpi. No, il vivaio dev’essere domestico, devi lavorare con chi è nato qui, farlo crescere, massacrarlo di allenamenti per gareggiare con le eccellenze del mondo».
Dopo i laser sulle sponde dell’Oceano Atlantico è arrivata - davanti al Golfo degli Angeli del Mediterraneo - l’optoelettronica con materiali innovativi. «Studiamo coma assorbire la luce in maniera sempre più rapida ed efficiente con nuovi materiali». Siamo sostanzialmente nel campo dei pannelli solari. «Oggi costano troppo, è necessaria troppa energia per fabbricarli. Ci arrivano dalla California, dal Giappone, dalla Germania. Il nostro obiettivo di studio è come creare i pannelli solari con un costo monetario ed energetico molto ma molto più basso di quello attuale. Perché l’energia prodotta serve appena per ripagare l’energia che è stata necessaria per la loro fabbricazione. È il cane che si morde la coda. Ecco, noi qui a Cagliari studiamo per trovare materiali che abbiano un ritorno energetico immediato, è la sfida del futuro. In questo progetto abbiamo il sostegno delle autorità regionali che stanno comprendendo - finalmente - che investimenti di questi tipo non possono avere una ricaduta domani mattina all’alba. La ricerca scientifica è problema a lungo termine».
E in una Sardegna, dal Limbara al Gennargentu, fino ai monti del Sulcis - invasa da pietre di basalto, di porfido, di calcare, di granito - si può utilizzare l’energia che assorbono?
«Certamente, l’energia termica del sole sicuramente si può sfruttare, è una delle frontiere della ricerca fisica e ingegneristica dei nostri giorni. Tanto a Cagliari quanto a Boston».
Non è da tutti approdare al Mit a 28 anni. Occorre l’allenamento della mente. Per Michele Saba - nato nella clinica sant’Anna di Cagliari - scatta nelle aule delle scuole elementari della Madonna del Carmine con maestra Maria Puddu (“affettuosa e severa, ne avevo una grande devozione”). Il padre, Franco, ozierese, è un ispettore forestale. La mamma, Francesca Becciu, è originaria di Pattada ma nasce a Santa Teresa. Finanziere anche il nonno materno, Gavino. Quello paterno, Andrea, allevatore di mucche al pascolo nelle tanche verso Buddusò. La famiglia mette radici a Cagliari e Michele prosegue le scuole medie al collegio della Missione di piazza Garibaldi. Ginnasio e liceo classico al Dettori, quello di Antonio Gramsci. Maturità con sessanta sessantesimi. Si iscrive in Fisica e dopo quattro anni (110 summa cum laude) è laureato. Tesi incomprensibile per i comuni mortali (cronisti in primo luogo) perché si occupa delle “oscillazioni eccitone-fotone in microcavità a semiconduttore”. Testo a fronte, tra virgolette, rigorosamente dettate da Saba: «La tesi tendeva a dimostrare come l’energia della luce può essere immagazzinata da un dispositivo in maniera reversibile». È necessario approfondire e si comincia a capire meglio: «Prendiamo il calore della carrozzeria di un’auto sotto il sole. Quel calore oggi va del tutto disperso. Noi studiamo il modo col quale può essere utilizzata». I suoi maestri sono due fra i docenti più apprezzati delle facoltà scientifiche dell’ateneo cagliaritano, Giovanni Bongiovanni e Andrea Mura. «Loro, oltre alle competenze fisiche, mi hanno fatto capire che il mondo non finisce sulla porta di casa». Ed ecco Michele Saba al Politecnico di Losanna già prima della laurea. Ci torna a studi ultimati «perché stavo cercando un dottorato e lo trovo al Politecnico di Losanna. Ma non sono scappato: no, avevo necessità di fare altre esperienze. Mi seguono i professori Jean Louis Staehli e Benolt Deveaud Plédran. Ho avuto subito grande autonomia, potevo coordinare un gruppo di studio».
Immediati i confronti con Cagliari. «Anche da noi ci sono laboratori buoni ma difficilmente un dottorando agisce per conto suo, poi lì c’erano a disposizione più soldi. E qui capisco che la ricerca sarebbe stata il mio futuro». Rientra in Sardegna, sposa Valeria Axiana, di Sinnai con origini di San Vito nel Sarrabus, studentessa in Giurisprudenza. Mette casa a Sinnai, in periferia, verso Maracalagonis, nasce Leonardo (oggi ha quattro anni). A febbraio del 2003 il grande salto per il Mit, («Losanna mi aveva preparato nel modo giusto»), ed eccolo al Research Laboratory of Electronics, più esattamente al Center for ultracold atoms a «studiare le interazioni tra luce e materia, ad approfondire le affinità di comportamento fra l’una e l’altra». Seguono tre anni di attività intensa. Ottimi collaboratori, autonomia finanziaria, ottimo il rapporto con i docenti. Ad Andrea Mameli e Mauro Scanu (gli autori di «Scienziati di ventura, storie di cervelli erranti tra la Sardegna e il mondo») dice: «Tutti i giovani venivano incoraggiati a prendere iniziative e responsabilità, ogni contributo originale era salutato con entusiasmo. La leadership viene stabilita col merito e la capacità, non con la gerarchia o con l’anagrafe. Vivo insomma nel paradiso terrestre dei ricercatori». Non solo ricerca. Sport, gite, cinema e tanta lettura: i quotidiani italiani on line, il New York Times e Newsweek, divora i testi di Michael Crichton (Andromeda, Jurassic Park, Timeline) e del premio Pulitzer Jared Diamond, non si perde mai Stefano Benni. Ma, soprattutto, tanti atomi, tanta luce, fotonica come era in principio. Entusiasta del suo lavoro. «Parliamo di fibre ottiche. Quando invio una mail non faccio altro che spedire luce attraverso una fibra ottica. Il vantaggio della luce consiste nel fatto che può trasportare una sequenza binaria di 1 e zero incomparabilmente più grande rispetto alla capacità di un normale filo metallico». Spiega, per far capire: «Anziché utilizzare la materia per assorbire la luce usiamo la luce per muovere la materia sotto forma di atomi. L’obiettivo è quello di fermare il moto termico degli atomi utilizzando la forza esercitata dalla luce degli atomi stessi». C’è da chiedersi, certo con umiltà e consapevolezza di ignoranza scientifica, se tutto ciò sarà utile all’uomo, a zia Teresa e Francesca. Risposta cattedratica ma decisamente chiara: «Con queste nuove forme di materia a temperature prossime allo zero assoluto si possono costruire sensori inerziali estremamente precisi che possono essere utilizzati in esplorazioni spaziali, sottomarine, geologiche. Il Gps, il navigatore installato in molte auto, è collegato a un satellite. Anche gli aerei, le navi funzionano grazie a sistemi satellitari. Pensiano poi ai grandi progressi nella diagnostica medica. Tutto è fisica, tutto è studio degli atomi. Quindi una ecografia, una risonanza magnetica, il volo in aereo o la gita in nave sono utili anche a zia Teresa e Francesca. Tutta la ricerca è indirizzata a favore dell’uomo».
Qual è lo stato dell’arte, di questa arte-fisica, in Sardegna? Michele Saba è abbastanza chiaro e netto: «Ci sono tanti buoni ricercatori e tanti bravi studenti con qualche struttura di vera eccellenza. È un bel salto in avanti. Si tratta solo di sapere se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto. Io preferisco quest’ultima immagine perché mi stimola a lavorare, a riempirlo, a far di più. E in Sardegna non solo si può ma si deve fare di più». Ma gli ostacoli non mancano: «Io li individuo nella piaga autentica dell’inefficienza di qualsiasi istituzione pubblica e ciò fa sì che i pochi denari a disposizione siano amministrati male e in forma arbitraria. Ciò mette insieme alla sbarra gruppi dirigenti politici e burocratici. Non ci sono ancora - anche all’interno dell’università - criteri comuni e concordati per la redistribuzione delle risorse. Soprattutto - e ciò ci differenzia molto dal mondo scientifico più avanzato - manca una valutazione del risultato conquistato o del fallimento ottenuto. Ciò è semplicemente assurdo perché non si individua il responsabile. A nessuno puoi contestare colpe o meriti perché manca un responsabile vero e unico». Pessimista allora? «No. Sono rientrato perché qui voglio lavorare, perché sono tante le potenzialità della Sardegna: La nostra ricerca sui pannelli solari può dare risultati utili, certi non domani all’alba. In questo noto un miglioramento: perché la classe politica più avveduta ha capito che la ricerca non può avere ricaduta a breve ma a medio e lungo termine. Da altre parti i successi sono giunti. Perché lo stesso non può avvenire da noi?». Non potreste ricavare energia dalla pietre che in Sardegna abbondano, dal Limbara al Gennargentu fino ai monti del Sulcis? «Certamente. L’energia termica del sole sicuramente si può sfruttare. È una delle frontiere della ricerca fisica e ingegneristica dei nostri giorni. Dovremmo avere una classe dirigente più motivata, in Consiglio regionale un solo ricercatore di eccellenza non basta, ce ne vorrebbero, dieci, venti e le cose cambierebbero in un battibaleno».
Uscendo da questi laboratori di Fisica si può anche concludere con note positive: «I cervelli sardi possono rientrare ma prima devono aver fatto all’estero esperienze importanti e non di un week-end. Perché parlare di un ricercatore che torna dev’essere la norma non l’eccezione. I giovani sono oggi di buona qualità, vedo un trend positivo. La ricerca deve essere davvero di eccellenza. Ma occorrono i valutatori: sarebbe disastroso non mettere tutti sotto esame, incentivare i capaci, eliminare gli incapaci, i burocrati della ricerca che non fa muovere un passo in avanti alla Sardegna, all’Italia». Parola di Michele Saba, cagliaritano-logudorese rientrato dal Mit di Boston alla cittadella della Fisica di Monserrato. La sua ricetta è netta: «Premiare i capaci, accumulare conoscenze e competenze».