Messaggi perduti

D'intesa con il blog Paesedombre pubblichiamo in contemporanea il racconto Messaggi perduti, in un gemellaggio telematico tra i nostri due siti: un tuffo nel passato con i piedi ben saldi nel presente e uno sguardo rivolto al futuro. Passato e futuro, alle volte, si confondono nel fragile orizzonte dell'istante vissuto. In quel condensarsi di tempo, in quella metamorfosi di spazi e pensieri, tutto diviene possibile. Messaggi Perduti in anteprima nel primo volume di Ombre. I quaderni di Paesedombre.org (periodicità casuale).

Messaggi perduti [Andrea Mameli, 10 dic. 2007]
Da giorni non riuscivo più a staccare gli occhi dallo schermo del portatile. Avevo smesso di guardare i documentari e i film dei canali satellitari, di leggere libri e riviste, di uscire con gli amici. I colleghi tentarono invano di convincermi a partecipare a qualche festa di compleanno. Qualche problema me lo davano anche le utenze da pagare perché non rispettavo mai le scadenze. E alla fine ricevevo i solleciti, così ero costretto a recarmi alla posta con un mazzo di conti correnti.
In mente c'erano solo loro. E pensare che prima era un semplice svago, come quando ascoltavo la radio della polizia con una radio modificata, o quando vedevo i film che i vicini trasmettevano via radio da una stanza all’altra. Poi fui talmente preso dalla voglia di entrare in questo mondo altrui che trovai il modo di registrarli, di classificarli per provenienza, destinazione e parole chiave. Dopo che avevo finito di lavorare facevo la spesa e passavo a ritirare i vestiti in lavanderia. Ma queste attività toglievano tempo al mio “giocattolo”: circa 10 ore su 24. Decisamente troppo. Presi ferie fino a esaurirle tutte, poi mi misi in aspettativa per 6 mesi. Poi arrivai a cercare di ammalarmi per potermi assentare dal lavoro. A quel punto speravo solo che mi licenziassero. Ma non si decidevano. Così non potei far altro che dare le dimissioni. In questo modo non avevo più bisogno di far lavare e stirare la mia roba e di fare la spesa: per mangiare telefonavo e mi facevo portare tutto a casa. Ma dato che per le pizze e le birre avevo sempre bisogno di banconote da 10 euro e di monete, alcuni mesi dopo il licenziamento iniziai a trovarmi senza denaro contante. Così mi decisi e andai al bancomat. La città mi sembrava diversa. Mi accorsi che non sentivo più alcuno stimolo. Eppure ricordo che prima guardavo tutto, leggevo tutto, dai cartelloni pubblicitari alle scritte sui muri. Entrai al supermercato solo per acquistare due casse di birra e una dozzina di bottiglie d’acqua. Andai dritto alla cassa senza guardarmi intorno come facevo prima. Ora l’unica cosa che mi emozionava era guardare una persona con un cellulare in mano. Specie quando lo teneva sul palmo e muoveva il pollice sulla tastiera… Rientrato a casa buttai chiavi e portafogli sul comodino, mi levai scarpe e vestiti e indossai il pigiama. Finalmente ero di nuovo a casa. E ripresi a leggere.
"Stasera rientro tardi lasciami qualcosa in frigo ti amo"
"Mi rincresce dover annunciare il mio ritardo alla riunione odierna causa lavori sulla linea ferroviaria, vi aggiornerò. Dr. Rossetti"
"Ma 6 scemo? come faccio a dirlo a mio marito?"
"Ok a presto. Daniele"
"MA CHI TI CONOSCE? CANCELLA IL MIO NUMERO DALLA RUBRICA IMBECILLE!!!"
"Franco, avrei bisogno di una risposta, magari entro oggi! GRAZIE!"
Il ritmo con cui mi scorrevano davanti agli occhi, tutti quei messaggini, tutti quei nomi e tutte quelle situazioni che si accavallano... Era la cosa più eccitante che avessi mai potuto inventare… E poi immaginare le dita di chi li aveva scritti. Forse pollici grossi e callosi, eppure abili a districarsi tra i tasti di chissà quale modello di cellulare, anche al buio, anche alla guida di un camion, anche a letto, in bagno, al lavoro, in ascensore...
Avevo trovato il modo per captare gli sms dispersi, quelli che non vengono recapitati, quelli che uno scrive e crede che il destinatario lo abbia ricevuto… e invece si è semplicemente perso… Per inceppamenti momentanei di rete o perché il numero del destinatario non era più attivo, o per altri problemi. Poco importava. Io li prendevo, li leggevo, li conservavo, li univo in grandi famiglie e li rileggevo uno dietro l’altro, sempre con accanto la data, l’ora di spedizione, il numero di origine e quello del destinatario. Il caso più emozionante e anche il più raro era quando ne beccavo uno diretto a qualche numero che conoscevo o proveniente da numeri già catalogati. Avevo iniziato a memorizzare cifre senza volerlo, semplicemente le ricordavo, e pian piano molte utenze mi diventavano familiari. Imparavo a conoscere i loro problemi, le loro manie, il modo di perdere la pazienza o usando le maiuscole o i punti esclamativi. Mi spazientivo per gli errori di ortografia. Ero sempre tentato di rispedirglieli corretti, i loro maledetti messaggini. Ma sentivo il dovere di non farmi coinvolgere. Dovevo restarne fuori. E per qualche tempo fui in grado di resistere.
Accadde poi che, dopo circa un anno di questa vita allucinante, avevo speso tutto. I risparmi erano vincolati in buoni postali e per riaverli sarei dovuto uscire troppe volte. Ma il conto sul quale mi facevo accreditare lo stipendio era sceso sotto la linea di galleggiamento, così si espresse al telefono il funzionario della banca, per non calcare la mano, perché mi conosceva da molti anni ed era un pochino imbarazzato, per farmi capire che avrei dovuto versarci dentro qualcosa oppure mi consigliava di chiudere il conto e aprirne uno online. In fondo fu lui a suggerirmelo.
Non mi fu difficile mettere assieme alcune cifre che erano transitate in una serie di messaggi di quello sprovveduto che aveva mandato alla moglie numeri e pin delle carte di credito e dei bancomat. Sinceramente mi dispiaceva approfittarne, perché il tizio era ricoverato in ospedale, e perché poi dal numero della moglie partirono alcune frasi inequivocabili dirette al numero di un altro tizio con il quale evidentemente non vedeva l’ora di incontrarsi. Ma il funzionario di banca era stato molto chiaro: dovevo riversare qualcosa. E riversai. Nessuno si accorse di nulla.
A distanza di qualche mese, però, dovetti servirmi di nuovo: prelevare somme piccole, quelle che si notano meno, quelle che non ti scoprono mai, ha un difetto: presto lo devi rifare. E sei portato a prendere di più per lasciar passare più tempo…
Così dopo qualche mese iniziai a captare qualche segnale. Qualcuno si stava iniziando ad accorgere del furto. Dopotutto era un furto. Stavo commettendo un crimine. Allora pensai “devo fare un salto di qualità: prendo una volta per tutte e non mi scoprono più”. Ma fu una scelta sbagliata. Ero nel bel mezzo di una lettura concitata di una serie di sms una volta tanto gioiosi. Pensavo alla faccia di questa che aveva appena scoperto di aspettare un bambino e avvisava le amiche. Quando sentii bussare alla porta...
Esattamente come adesso… Un attimo!
"Andiamo, è ora. Uscite dalle celle! Andiamo! Ora d'aria! Andiamo!"
Un attimo ho detto, devo poggiare la penna e il quaderno, sono una persona ordinata io!
“Andiamoooo!”

Commenti

Anonimo ha detto…
ehi, ma come mai nessuno ha detto ancora nulla su questo racconto?
vabbuò... a me è piaciuto.
Grazie Andrea per avermi regalato un sorriso. Con i miei attuali chiari di luna, ti assicuro che non è poco!
Linguaggio Macchina ha detto…
Io ho una risposta.
Abbiamo tutti troppa fretta per leggere, figurati per lasciare un commento! :)
Grazie due volte!
Andrea
Anonimo ha detto…
AHhhhhhhhhhhhhh....è la fretta!
ok, vada per la fretta e lo stress della vita moderna. Ma, se al posto del cynar, usiamo la rete, e capitiamo sui blog... il minimo sindacale è leggere! se poi capita che lasciamo un commento (per convenire o dissentire con l'autore, va bene lo stesso), mi pare comunque un gesto di -uso una parola antica, lievemente in disuso- CORTESIA. Oltrechè, ça va sans dire, di rispetto per il lavoro, fatica, creazione ecc. del sunnominato autore. Sbaglio? Forse!

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