
08 marzo 2008
07 marzo 2008
Undici settembre: la verità (forse) ha le gambe lunghe (L'Unione Sarda, 7 marzo 2008)

Il volume – cui è associato il blog http://pino-cabras.blogspot.com – contiene una ricostruzione minuziosa dei fatti sotto molteplici punti di vista. Affiorano fortissimi intrecci tra politica, economia, apparati d’intelligence e industria degli armamenti. Spuntano inquietanti presenze occulte (organizzazioni segrete attive in ogni angolo del mondo a difesa di forti interessi) e attività tanto evidenti da passare in secondo piano rispetto alle immagini degli schianti (le esercitazioni militari in corso nei giorni dei grandi attentati: Usa 2001 e Londra 2005). Un castello d’accuse circostanziato come quello messo in piedi da Cabras non sarà sufficiente a smontare la ricostruzione ufficiale, che istintivamente si riconosce come l’unica possibile, ma aiuterà a leggere la realtà in maniera saggiamente critica. Al terrorismo, questa è la tesi principale, si può pensare come alla punta di un iceberg: sotto l’acqua si celano altri mostri, a loro agio nelle acque insanguinate della guerra totale.
Il libro di Cabras squarcia un altro velo mistificatorio: la presunta minaccia di allestire in volo gli ordigni composti da liquidi. Minaccia che si traduce nelle forti limitazioni al bagaglio a mano di chi vola, ma che in realtà è inconsistente: bisogna saper miscelare opportune dosi di acetone e acido solforico a perossido d’idrogeno purissimo. Le basse temperature necessarie alla reazione e le esalazioni tossiche che si sprigionano fanno della bomba da innescare nella toilette dell’aereo una storia buona solo per un film d’azione.
ANDREA MAMELI (L'Unione Sarda, pag. 19, Cultura)
Etichette:
11 settembre,
9/11,
pino cabras,
Usa
04 marzo 2008
La nuova stagione dell'energia pulita (Darwin, 24, 2008)




Etichette:
bangone,
Darwin,
solare a concentrazione,
solare termodinamico
03 marzo 2008
Scorie nucleari, bugie e cattiva scienza (L'Unione Sarda, 3 marzo 2008)

La stampa dello Utah ne parla da quattro mesi. Ma in Italia sembrano essersene accorti solo i numerosi Blog che osservano il mondo con maggiore attenzione. L’acceso dibattito negli Stati Uniti infuria da quando il Salt Lake Tribune ha rivelato che 20 mila tonnellate (36 mila metri cubi) di scorie nucleari italiane sono destinate allo stato dell’estremo ovest degli Usa. Si tratta di un quantitativo ingente, distribuito in 5 anni, che dovrà percorrere oltre 10 mila km in nave e 500 km in treno fino alla discarica. Pur essendo classificate di prima categoria, ovvero a bassa radioattività (indumenti e oggetti debolmente contaminati) queste scorie suscitano vivaci discussioni a partire da novembre. L’assenso all’operazione proviene dalla massima autorità statale, il Governatore dello Utah, ma un numero crescente di cittadini dello stato critica l’importazione radioattiva.
La sindrome del Non in my backyard (non nel mio giardino) vale in tutto il mondo.
Alcuni quotidiani negli Usa seguono la vicenda dal primo momento.
Sicuramente anche in Italia gli argomenti di discussione non mancherebbero. Magari per approfondire il tema e analizzare, con il serio metodo dell’inchiesta (quello insegnato nei corsi di giornalismo, non si pretende di scomodare il metodo scientifico) i risvolti e l’origine del problema. Intanto non è incoraggiante constatare che a distanza di venti anni dal referendum che ha abolito l’energia nucleare in Italia restano ancora da smaltire 53 mila metri cubi di scorie radioattive: quelli dalle quattro centrali italiane (Caorso, Garigliano, Latina, Trino) che in 23 anni di attività hanno prodotto 81 mila GWh (Gigawattora) di energia elettrica. E dato che i numeri isolati non hanno molto senso è indispensabile confrontare questo dato con il consumo annuo: quello del 2006 è stato di 359.075 GWh. Si capisce allora che nel complesso l’energia energia prodotta dalle 4 centrali nucleari italiane in 23 anni risulta essere appena un quarto del consumo di un solo anno. La sproporzione tra impegno richiesto per la costruzione e il mantenimento di queste centrali e la loro resa effettiva appare enorme. Senza contare il problema scorie: un impianto di media grandezza ne genera circa tre metri cubi all’anno.
Allora, se è vero che l’energia, insieme ai rifiuti e all’acqua, rappresenta uno dei tre temi dominanti del nostro secolo, l’atteggiamento di sostanziale superficialità dimostrato dalla stampa italiana appare inspiegabile: possibile che in quattro mesi nessuno si sia accorto della notizia? Possibile che l’informazione sia tutta e sempre all’affannosa rincorsa del gossip, della politica e dello sport, relegando la scienza e la tecnologia nel cantuccio del sensazionalismo? Forse il tema energia non si tocca perché gli interessi in gioco sono talmente alti da imporre il silenzio come strumento di precauzione preventiva?
Dell’incestuoso rapporto tra comunicazione e scienza, e del perverso intreccio a tre con la politica, si è parlato il 28 febbraio al dipartimento di fisica dell’università di Cagliari (cittadella universitaria di Monserrato) nel corso di un seminario tenuto dal giornalista Gianfranco Bangone sul tema La comunicazione scientifica nell’era del villaggio globale . Il direttore del bimestrale Darwin, sardo di nascita ma romano d’adozione, ha illustrato con alcuni esempi eloquenti cosa accade quando la comunicazione interna alla scienza (le pubblicazioni su Nature, Science e le riviste di settore, attraverso le quali si misura il valore di una ricerca) sfocia nei grandi media. Non succede sempre, certo, ma quando capita i risultati sono il più delle volte devastanti. Allarmi ingiustificati, affermazioni non documentate, titoli sparati, da cui si originano errori e ignoranza di ritorno. Cosa fare? Gianfranco Bangone non ha dubbi: dovrebbe essere il mondo scientifico a far sentire la propria voce, a inserire elementi di razionalità. Per aiutare a capire. E per aiutare la politica a uscire dal perenne stato di deroga, anche ai temi scientifici.
Andrea Mameli. L'Unione Sarda, 3 marzo 2008. Pagina 57 (Cultura)
Etichette:
Italia,
scorie radioattive,
usa. salt lake tribune,
utah
Scorie radioattive italiane? No, Thanks...

Io l'ho saputo da una mia amica che abita a Salt Lake City. Ma finora la notizia dai quotidiani dello Utah (come The Salt Lake Tribune) è rimbalzata in Italia solo nei blog (in particolare Ecoalfabeta da cui ho ricavato l'immagine pubblicata sopra). Una piccola comparsa nella rubrica di Paolo Maccioni su Il Sardegna venerdì scorso e un mio articolo sull'Unione Sarda di oggi. Dalle ricerche via web non ho rintracciato la notizia su altra stampa italiana. Se siete al corrente di altri articoli vi prego di informarmi, come ha fatto Paolo.
Ma allora è vero che il clamore dalle notizie è direttamente proporzionale alla vicinanza geografica del problema?
Le scorie dovrebbero percorrere 10 mila km in nave da un porto italiano alla Lousiana, poi 500 km in treno fino al più vicino punto di raccolta e poi altri 2200 km fino allo Utah. La stampa italiana continuerà a ignorare la notizia?
Not in my backyard...
In Italia sono presenti:
- circa 50.000 metri cubi di rifiuti radioattivi di prima e seconda categoria
- circa 8.000 metri cubi dirifiuti radioattivi di terza categoria
(fonte: Audizione del generale Carlo Jean alla Commissione bicamerale d'inchiesta sui rifiuti, 23 febbraio 2003)
Qualche dato sulle centrali nucleari italiane:
La centrale nucleare ex-ENEL di Trino Vercellese (Vercelli)
La centrale nucleare ex-ENEL di Caorso (Piacenza)
La centrale nucleare ex-ENEL di Latina
La centrale nucleare ex-ENEL di Garigliano (Caserta)
(Fonte: Zonanucleare)
Etichette:
Italia,
scorie radioattive,
usa. salt lake tribune,
utah
Iscriviti a:
Post (Atom)