Il corpo dell'architetto (L'Unione Sarda, 31 agosto 2009)
Il corpo dell'architetto
Lo storico dell'arte Kenneth Clark nel suo saggio del 1949 Landscape into Art attribuiva alla pittura di paesaggio l'obiettivo di descrivere la natura, la curiosità per il mondo e un profondo desiderio di individuare un ordine e un'armonia. Ma l'influenza sul paesaggio esercitata dall'industria, dai trasporti e dagli stessi luoghi urbani, ha alterato una parte del pianeta, trasformando le città in ambienti che trasmettono un insieme di informazioni. Lo stesso concetto di paesaggio è mutato e la varietà di insediamenti umani è impressionante. Megalopoli, palazzi ipertecnologici, baracche di latta e villaggi popolati solo in alcuni periodi dell'anno convivono sullo stesso pianeta dimostrando le capacità di adattamento dell'Homo Sapiens e la sua capacità di trasformare l'ambiente.Dalle case costruite con mattoni di argilla e pietre recuperate da nuraghi e ville romane, i Furriadroxius, a una delle città più densamente popolate, Hong Kong, il passo sembra lunghissimo, ma c'è chi studia le relazioni tra questi due mondi. Abitare, prestigiosa rivista di design e arti grafiche, pochi giorni fa ha affrontato l'argomento con una lunga intervista a Alessandro Carboni, coreografo cagliaritano e artista multidisciplinare. Docente di Methodology as Performance Practice al Saint Martin's College of Art and Design di Londra, Carboni è coordinatore del LaDU: Laboratorio di densità trasformazione urbana del Dipartimento di Architettura dell'Università di Cagliari.
Come nasce l'idea di analizzare il rapporto tra i luoghi dell'abitare e il corpo?
«Le trasformazioni urbane hanno evidenziato una crescente scollatura tra spazio e corpo. Nel corso degli anni l'urbanistica e l'architettura hanno amplificato questa distanza rendendo sempre più sterili le nostre città. Non è difficile intravedere questo fenomeno sia osservando le mappe dei nostri territori, ormai trasfigurati, ma anche quando passeggiamo nelle periferie delle città italiane. L'urbanistica, l'architettura, il design urbano, hanno dimenticato le specificità dei corpi. Altre pratiche in cui la progettazione spaziale è molto importante, come la coreografia, considerano il corpo fulcro centrale di indagine. La coreografia lavora sulle specificità, ne articola i gesti nello spazio-tempo con una precisione unica. In questa prospettiva, coreografia e architettura condividono in parte lo stesso territorio: la progettazione dello spazio e la relazione con il corpo. Ho pensato che un approccio multidisciplinare potesse estendere le possibilità di analisi delle specificità del rapporto tra corpo e spazio urbano».
E poi?
«Nel luglio 2007, in Cina, ho attraversato le regioni del Guangdong denominate the Pearl Delta River tra cui Hong Kong, Guangzhou, Shenzen, le regioni Guangxi, Sichuan, Henan e la città di Pechino. Con il viaggio ho esplorato il processo di inarrestabile trasformazione del paesaggio. Rientrando in Europa mi sono interrogato sul modo più efficace per descrivere l'impatto delle trasformazioni urbane sull'individuo, attraverso la creazione di piattaforme di lavoro in diverse città, europee ed asiatiche, in cui ricercatori, performer, visual artist, urbanisti e psicogeografi si interrogassero sui temi dei miei viaggi».
Nel territorio sardo cosa si osserva?
«La ricerca è appena iniziata. Nel marzo scorso ho avviato le attività del LaDU all'interno della Facoltà di Architettura dell'Università di Cagliari, riflettendo sull'inarrestabile trasformazione del paesaggio e dello spazio urbano in Sardegna, ormai meta delle più disarticolate forme di turismo globale. Il LaDU propone casi studio per confrontare alcune forme di iper-densità in alcune città asiatiche con quelle di bassa densità come i Furriadroxius e i Medaus, moduli abitativi estremamente piccoli presenti nel Sulcis. Uno degli aspetti più interessati del LaDU sta proprio nella necessità di creare un territorio ibrido e transdisciplinare di sperimentazione con tematiche di ricerca in cui ogni architetto o artista possa attuare indagini specifiche. Spero diventi un'esperienza in grado di creare nuovi avamposti di ricerca».
Cosa colpisce di Hong Kong?
«Da un punto di vista urbano, ha una storia bizzarra e molto complessa basata sulla continua ri-definizione dei territori, degli spazi e delle loro funzioni: le nuove strategie di pianificazione sono alla base delle più accese discussioni tra studiosi, architetti, ecologisti, politici e amministratori locali. Io ho voluto considerare piccole aree urbane e come queste si trasformino in relazione a grosse pianificazioni: un lavoro "molecolare", che analizza vibrazioni, striature, temperature, odori e sapori di piccole porzioni di tessuto urbano. Per ripensare il progetto dello spazio come luogo di esperienza e produzione in cui il corpo diventa asse portante di discussione e di cambiamento».
ANDREA MAMELI
I luoghi dell'abitare
La ricerca di Alessandro Carboni si concentra su un'area urbana delimitata dal Kai Tak River, piccolo fiume urbano, la Kowloon Walled City rasa al suolo nel 1993, il Kaitak Airport chiuso nel 1997 e To Kwa Wan, un'area che si estende nella parte est della penisola del Kowloon district. In mezzo si trova il Nga Tsin Wai village, l'ultimo antico villaggio rimasto in tutta Hong Kong. «Dopo un primo periodo di analisi delle mappe storiche ho tracciato sulle carte odierne linee, punti, contorni di aree urbane importanti che avevano avuto relazioni con il Nga Tsin Wai village. Con queste nuove mappe ho esplorato e documentato con registrazioni audio, video, sistemi gps e interviste: ogni documento raccolto diventava un frammento, una mia memoria urbana. Poi ho collaborato con quattro danzatori di Hong Kong e un musicista e ho presentato in una mostra, tre performance e tre installazioni che hanno concluso il processo di ricerca. Tra il marzo e febbraio 2010, lavorerò tra Tokyo, Seoul, Hanoi, Bangkok, Singapore, Shenzen, Taipei, Manila, Macau, Kuala Lumpur e produrrò un video, un'installazione e una performance per ogni città».
AM
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