Occhio pigro. E il cervello cura la vista.

Alessandro Sale, neurofisiologo, ricercatore dell'Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa, propone una nuova strategia per migliorare la vista delle persone colpite da ambliopia, la sindrome dell'occhio pigro. La ricerca, condotta insieme a Lamberto Maffei (Presidente dell'accademia dei Lincei) è stata presentata ieri al Forum Europeo delle Neuroscienze, in corso a Milano.
L'ambliopia comporta la riduzione della capacità visiva di un occhio e colpisce il 4% della popolazione mondiale. Per curarla il metodo più efficace è il "rimedio del pirata": si copre l'occhio sano per permettere all'altro di svilupparsi fino al recupero completo. Ma il tutto deve avvenire entro gli 8 anni dato che negli adulti le cellule nervose non sono più abbastanza plastiche da riuscire a recuperare dai deficit di sviluppo. Alcuni recenti esperimenti condotti all'Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa hanno individuato una strategia non invasiva che potrebbe rivelarsi molto promettente per i soggetti ambliopi in età avanzata. «I primi esperimenti – spiega Alessandro Sale – furono condotti pochi anni fa su animali allevati in ambienti di grandi dimensioni e molto ricchi di stimoli sociali, cognitivi e motori, i quali in tre settimane recuperano l’acuità visiva, ovvero la capacità di distinguere i dettagli spaziali più fini del mondo esterno. Studi successivi hanno dimostrato che gli effetti dell’ambiente arricchito sono riproducibili anche sostituendo gli stimoli ambientali con la somministrazione di fluoxetina, un farmaco molto usato nell’uomo per il trattamento di diversi disturbi psichiatrici. Normalmente si pensa di poter agire sul cervello solo attraverso la somministrazione di farmaci dall’esterno, noi pensiamo che l’ottimizzazione degli stimoli ambientali possa indurre il cervello a produrre endogenamente sostanze capaci di potenziare la plasticità neurale. Questa via di stimolazione del potenziale autoriparativo cerebrale ha il vantaggio di essere non invasiva, e quindi priva di rischi ed effetti collaterali.»
In particolare si rivelano molto efficaci gli stimoli motori e l’esecuzione di compiti di discriminazione visiva che implicano processi di apprendimento percettivo. Il recupero delle capacità visive facilitato dagli stimoli ambientali è messo in moto direttamente dal cervello. In particolare, è dovuto a una riduzione dei livelli di GABA (il più importante neurotrasmettitore inibitorio del sistema nervoso centrale) e a un aumento dei livelli di BDNF (una proteina che gioca un ruolo molto importante nei processi di sviluppo e plasticità dei neuroni) nella corteccia visiva degli animali stimolati, e si accompagna a un potenziamento della plasticità sinaptica dei circuiti corticali.
«La non invasività delle manipolazioni ambientali – sottolinea Sale – le rende particolarmente adatte al trasferimento all’uomo. Studi in corso dimostrano che è possibile arricchire l’ambiente non solo per promuovere il recupero della visione in soggetti ambliopi, ma anche per migliorare le funzioni cognitive in soggetti con sindrome di Down, o con segni iniziali di demenza di tipo Alzheimer.»
Alessandro Sale è nato a Nuoro, ha conseguito il Dottorato in Neurobiologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa. La sua principale attività di ricerca è incentrata sullo studio dei fattori ambientali, cellulari e molecolari che regolano lo sviluppo e la plasticità del sistema nervoso centrale. Ha pubblicato numerosi articoli su riviste internazionali, tra cui Science e Nature Neuroscience.
Andrea Mameli
(articolo pubblicato nella pagina della Salute del quotidiano L'Unione Sarda, 11 Luglio 2014)

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