28 marzo 2015

Yawunik kootenayi: l'antico predatore riemerso dalle rocce

Yawunik kootenayi [Credit: Robert Gaines]
Yawunik kootenayi è il nome di un nuovo abitante delle acque.
Nuovo si fa per dire, dato che visse 250 milioni di anni prima della comparsa dei dinosauri: è nuovo solo perché è stato scoperto nel 2012 e poi identificato da gruppo di paleontologi dell'Università di Toronto, del Royal Ontario Museum e del Pomona College (California).
Yawunik kootenayi aveva 4 occhi e catturava le prede con le appendici anteriori dotate di estremità sensibili al tatto.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Palaeontology e le agenzie giornalistiche stanno facendo girare la notiza "Scoperto uno dei primi predatori, aveva tenaglie e 4 occhi. Vissuto 500 milioni di anni fa, 'padre' di ragni e aragoste" (ANSA, 27 marzo, 18:50). 
E dal punto di vista della comunicazione della scienza si tratta di un caso interessante: l'articolo scienfico perfora la barriera che circonda la comunicazione tra scienziati e raggiunge il pubblico generico, per mezzo degli organi di stampa, del web e dei social. Ogni settimana di articoli scientifici come questo ne vengono pubblicati centinaia, su riviste peer review di tutto il mondo. La decisione delle agenzie di stampa di scegliere quali sono le notizie "importanti" non per niente è banale.
Yawunik kootenayi gen. et sp. nov. ROM 63088. A, photographed in dry, cross polarized light. B, coated in ammonium chloride sublimate. Scale bars represent 5 mm

Yawunik kootenayi è la prima creatura identificata tra quelle rinvenute nel Marble Canyon, un sito paleontologico nella provincia canadese British Columbia all'interno del parco Kootenay. La particolarità è che si trova a soli 40 chilometri dal rinomato sito paleontologico di Burgess Shale (situato nel parco Yohodi) all'interno del quale sono stati trovati i fossili dell'Esplosione Cambriana: 505 milioni di anni fa.

Il nome Yawunik kootenayi è stato scelto in onore dei Ktunaxa, gli originari abitanti del territorio della scoperta: l'attuale parco di Kootenay.
Mentre Yawu'nik è il nome della figura principale della mitologia della creazione dei Ktunaxa.


Andrea Mameli, blog Linguaggio Macchina, 28 Marzo 2015



A large new leanchoiliid from the Burgess Shale and the influence of inapplicable states on stem arthropod phylogeny
Cédric Aria, Jean-Bernard Caron, Robert Gaines



Notizie e riflessioni correlate

Scoperto occhio del Cambriano (mezzo milione di anni fa): era in un museo (Linguaggio Macchina, 1/7/2011)

Occhi di Anomalocaris: chiave evolutiva per l'Esplosione Cambriana? (Linguaggio Macchina, 23/12/2011)

Hallucigenia, creatura delle meraviglie (Linguaggio Macchina, 29/3/2009)

Perché ador Stephen Jay Gould? (Linguaggio Macchina, 23/7/2012)

C'è un essere, vissuto tra il Cambriano inferiore e il Cambriano medio (tra 520 e 505 milioni di anni fa) che mi ha particolarmente colpito, sia per il nome allucinante (Hallucigenia), sia grazie ai disegni di Stephen Jay Gould (La vita meravigliosa. I fossili di Burgess e la natura della storia). Era un abitante di Burgess Shale e ha lasciato ai paleontologi un dilemma non da poco: camminava sulle punte o aveva le punte sulla schiena? Io sei anni fa mi sono divertito a proporre una ricostruzione in cartapesta e pezzi di corrugato, più che altro per gioco. E da allora sono particolarmente attratto da tutto ciò che gravita intorno a Burgess Shale, nel tempo (Esplosione Cambriana) e nello spazio (quindi ora c'è anche Yawunik kootenayi!).
Così, due anni fa, visitando il Natural History Museum di Londra, ho scoperto che il dilemma delle spine non attanaglia solo me:

Ma la mia curiosità trova ancora più soddisfazione cercando in rete: The Seattle Times, Newspaper In Education, "LESSON #4: What am I? Trying to interpret the fossil evidence of an enigmatic species" propone la seguente attività didattica: Correct orientation of drawings for “What am I?” activity.



27 marzo 2015

Le medagliette appese e altri oggetti. Museo del Carbone: fra emozioni e tecnologia


Una visita al Museo del Carbone la consiglierei a chi, come me, ama l'archeologia industriale e l'evoluzione della tecnologia, così come la Storia e le storie (senza andar lontano: le storie dei minatori).
Armadietto dei minatori. Museo del Carbone.
Ma la suggerirei ancor di più a chi non sa neppure cosa vuol dire archeologia industriale o che sbuffa quando sente parlare di evoluzione della tecnologia.
E soprattutto la consiglierei a chi non sa cosa era lavoro del minatore anche solo 40 o 50 anni fa. Perché una delle caratteristiche più importanti di questo Museo, secondo me, risiede proprio nella tentativo che è stato fatto di far immedesimare il visitatore nella figura del minatore. Tentativo, chiaramente, perché riuscire davvero a immedesimarsi oggi in un mestiere come quello non è facile. Lo sforzo fatto è comunuque notevole e permette di apprezzare i reperti esposti con tutto il loro potere evocativo: rispetto al lavoro in miniera, alla tecnologia, ai risvolti sociali di questa gigantesca miniera e di tutto quello che le si è costruito intorno, nell'intervello di tempo che va dal 1937 al 1964.
Le biciclette dei minatori. Museo del Carbone.
Oggi ho avuto la fortuna di essere invitato a parlare al convegno SulkiMake HumanitiesLab, evento estremamente interessante e stimolante, collocato proprio dentro il Museo del carbone, così ho potuto  La mia attenzione è stata subito catturata dai tre oggetti simbolici posti all'ingresso del museo (il casco e la lampada accanto al carbone), la vetrina tattile (con gli stessi tre oggetti) benedetta sia la vetrina tattile (così chi non vede può giovarsi di una esplorazione manuale degli oggetti), l'armadietto dei minatore, le collezioni di lampade di tutto il mondo e tante altre cose.
La guida illustra le lampade elettriche. Museo del Carbone.

Poi l'ottima guida (sento il dovere di sottolineare la chiarezza espositiva e la preparazione della persona che ha accompagnato il gruppo di cui facevo parte) ha raccontato al gruppo di visitatori di cui facevo parte un aspetto per nulla secondario nella vita della miniera. Ciascun minatore, prima di affrontare la discesa alle gallerie, doveva farsi dare la lampada, fornendo in cambio la propria medaglietta identificativa. Le medagliette venivano raccolte in un pannello dotato di h999 gancetti. Quindi l'eventuale assenza di medaglietta veniva immediatamente notata e si inviava una squadra di soccorso appena possibile.
Le esposizioni tattili sono segni tangibili di civiltà. Museo del Carbone.
Queste medagliette appese, alle quali poteva essere a loro volta appesa la vita di un uomo, oggi fanno pensare all'evoluzione nella normativa e nei diritti dei lavoratori in materia di sicurezza.
Le medagliette numerate. Museo del Carbone.

La visita prosegue sotto terra. Dopo aver indossato il caschetto antinfortunistico si scende circa 4 metri sotto terra e si percorrono diverse centinaia di metri all'interno di alcune gallerie. Nell'itinerario sotterraneo si scoprono varie modalità di perforazione e di estrazione e con l'aiuto della guida si può riflettere su molti aspetti della miniera e sull'ambiente di lavoro.
Nel complesso la visita è stata piacevole, illustrata molto bene, estremamente interessante e stimolante.

Andrea Mameli, blog Linguaggio Macchina, 27 Marzo 2015


P.S. 29/3/2015 ho aggiunto due riflessioni a mente fredda

1) La visita al Museo del Carbone la considero una maniera eccellente per farsi un'idea del lavoro in miniera ma non solo: si può ragionare sulle politiche energetiche, sui materiali estratti, sulle tecnologie di scavo, sugli aspetti sociopolitici dell'epoca in cui la miniera fu progettata e realizzata, giusto per fare qualche esempio. Quasi quasi sarebbe da rendere obbligatoria per tutti.

2) Mi sento in dovere di muovere una critica, costruttiva, a chi gestisce il museo: dotare tutte le sezioni esposizioni di schede descrittive in più lingue (e possibilmente con un font più leggibile). Grazie.




Strutture complesse sulla superficie polimeri contenenti azobenzene provano una teoria di Turing

Il 14 Agosto 1952 Alan Turing pubblicava "The Chemical Basis of Morphogenesis": il suo lavoro dedicato al modello intuitivo che spiega la formazione di strutture complesse natuali, come le striature della tigre.
Recentemente la rivista online PNAS (Proceeding of the National Academy of Science) ha pubblicato uno studio firmato tra gli altri da Antonio Ambrosio e Pasqualino Maddalena dell'Istituto superconduttori, materiali innovativi e dispositivi del CNR (Consiglio nazionale delle ricerche: Cnr-Spin), Federico Capasso della Harvard University e Henning Galinski, Iwan Schenker e Ralph Spolenak dell’Eth di Zurigo, nel quale si dimostra che le strutture complesse che si formano sulla superficie di una pellicola polimerica possono essere interpretate secondo il ragionamento di Turing.
Instability-induced pattern formation of photoactivated functional polymers (Henning Galinski, Antonio Ambrosio, Pasqualino Maddalena, Iwan Schenker, Ralph Spolenak, Federico Capasso).
Da sinistra a destra: Federico Capasso, Antonio Ambrosio e Henning Galinski. Harvard University

Turing sviluppò la sua idea principalmente per interpretare la formazione di strutture biologiche in cui un sistema, inizialmente omogeneo, a causa di "una perturbazione casuale" (che in realtà è spiegabile scientificamente) «può successivamente sviluppare una struttura complessa - spiega Antonio Ambrosio - dovuta ad instabilità nel suo equilibrio. I polimeri contenenti azobenzene sono speciali. Sono infatti polimeri smart che alterano la loro forma quando vengono illuminati da una luce di una opportuna lunghezza d’onda. In altre parole la morfologia della loro superficie cambia spontaneamente, in accordo con l’intensità e la polarizzazione della luce utilizzata. Questa particolare risposta può avere importanti applicazioni nell’area della nano-litografia ottica, nella quale sono stati utilizzati finora altri materiali fotosensibili».

Riorganizzazione della morfologia di un azo-polimero (sinistra) e distribuzione simulata (destra) a seguito dell’esposizione alla luce. Foto: Atomic Force Microscopy
La comprensione sulla risposta di quest’importante classe di polimeri agli stimoli della luce esterna, quindi, non rappresenta solo la prova sperimentale di una teoria di grande interesse, ma presenta alcune notevoli frontiere su lato applicativo.
«Il ruolo della luce nella strutturazione della superficie di questi azo-polimeri è quello di innescare un’instabilità in due fasi, dette cis- e trans- e nonostante siano due configurazioni della stessa molecola, queste forme sono differenti tra di loro in termini di proprietà chimico-fisiche. Pertanto, analogamente a quanto avviene con l’olio nell’acqua, queste due fasi non si mescolano tra loro e tendono a separarsi».

24 marzo 2015

Registrare i segnali elettrici provenienti dalle cellule. Uno studio pubblicato su Scientific Reports il 6 Marzo 2015

Ricordo uno studio di Annalisa Bonfiglio dedicato all'elettronica indossabile (2011) e uno ai transistor a effetto di campo organici: Organic Field Effect Transistors for Textile Application (2005). Per questo non mi ha sorpreso leggere la notizia di oggi: DEALAB, nuovi dispositivi elettronici con semiconduttori organici. Oggetto dello studio (pubblicato su Scientific Reports il 6 Marzo 2015) è lo sviluppo di una tecnologia adatta alla registrazione dell’attività elettrica delle cellule per mezzo di dispositivi basati su semiconduttori organici.
L'obiettivo perseguito dai gruppi di ricerca dell'Università di Cagliari (Dipartimento di Ingegneria Elettrica e Elettronica e DeaLab), dell'Università di Genova (Dipartimento di Informatica, Bioingegneria e Robotica), è realizzare colture cellulari su substrati plastici. Lo scopo ultimo è costruire dispositivi in grado di registrare i segnali elettrici provenienti dalle cellule.
La caratterizzazione del sistema con cellule cardiache e neuroni è stato sviluppato al Dipartimento di Bioingegneria, Robotica, Informatica e Sistemistica dell’Università di Genova da Andrea Spanu, dottorando di ricerca della Scuola di Dottorato in Scienze e Tecnologie dell’Informazione e della Conoscenza (indirizzo di Bioingegneria, dell’Università di Genova). A lui si deve anche il sistema di misurazioni elettrofisiologiche. Stefano Lai ha partecipato alla progettazione e alla realizzazione del dispositivo. Piero Cosseddu ha contribuito alla definizione della procedura e all'interpretazione dei risultati. Mariateresa Tedesco ha curato la preparazione delle colture cellulari e ha contribuito all'esperimento con le cellule viventi. Sergio Martinoia ha coordinato il lavoro partecipando alla progettazione della piattaforma e del sistema di misurazioni elettrofisiologiche. Annalisa Bonfiglio ha coordinato il lavoro, concentrandosi in particolare sul design e la realizzazione del dispositivo e della piattaforma di lavoro.


Andrea Spanu, Stefano Lai, Piero Cosseddu, Mariateresa Tedesco, Sergio Martinoia, Annalisa Bonfiglio
An organic transistor-based system for reference-less electrophysiological monitoring of excitable cells
ABSTRACT In the last four decades, substantial advances have been done in the understanding of the electrical behavior of excitable cells. From the introduction in the early 70's of the Ion Sensitive Field Effect Transistor (ISFET), a lot of effort has been put in the development of more and more performing transistor-based devices to reliably interface electrogenic cells such as, for example, cardiac myocytes and neurons. However, depending on the type of application, the electronic devices used to this aim face several problems like the intrinsic rigidity of the materials (associated with foreign body rejection reactions), lack of transparency and the presence of a reference electrode. Here, an innovative system based on a novel kind of organic thin film transistor (OTFT), called organic charge modulated FET (OCMFET), is proposed as a flexible, transparent, reference-less transducer of the electrical activity of electrogenic cells. The exploitation of organic electronics in interfacing the living matters will open up new perspectives in the electrophysiological field allowing us to head toward a modern era of flexible, reference-less, and low cost probes with high-spatial and high-temporal resolution for a new generation of in-vitro and in-vivo monitoring platforms.