Memoria e dolore salvati dall'arte di Vittore Bocchetta (Raffaella Venturi, L'Unione Sarda, 29 Aprile 2015)

E quando non ci saranno più voci come questa, di Vittore Bocchetta, 96
anni, a dirci, ancora una volta, cosa è accaduto, di quale abominio si è
trattato? A dirlo fino in fondo, con particolari agghiaccianti, la
baracca con le pile di corpi congelati, la zuppa di bucce di un compagno
morto su cui si buttavano tutti, gli zoccoli rubati e scalzo, su neve e
fango, alla fine, preferisci lasciarti morire. Esistono interviste,
video, libri ma ascoltare dal vivo la voce di chi si è sentito più volte
morto, di chi ha vissuto la fame come malattia, sentire una voce
raccontare queste cose, ci mette corpo a corpo con la Storia e la sua
risacca. In altri mari, con altre modalità. Ma sempre orrore che
ritorna. Ecco perché la mostra “Vittore Bocchetta. Vita e arte di un
antifascista”, a cura di Emanuela Falqui, inaugurata venerdì scorso,
vigilia della Liberazione, al Ghetto di via Santa Croce, a Cagliari, è
una mostra importante, che propone riflessioni e chiede raccoglimento,
ascolto.
Ci fossero tutte le scuole, per esempio, il 2 maggio, alle 18, ad
ascoltare proprio lui, questo signore distinto, nel volto le stigmate
della sofferenza, nella voce la rotondità dell'accento veronese, perché,
dopo la nascita, nel 1918, a Sassari, e l'infanzia trascorsa in
Sardegna, è a Bologna poi a Verona che la sua famiglia si trasferisce.
Incontro organizzato da Emanuela Falqui, Andrea Mameli e Alberto
Bocchetta (e promosso da A.N.P.I. Comitato Provinciale di Cagliari,
Comitato 25 aprile, U.P.S. Unione Autonoma Partigiani Sardi, ANPPIA
Cagliari, Asibiri) che farà ancora una volta scendere negli inferi di
quel «quinquennio infame», dal 1940 al '45, uno dei pochi che ce l'ha
fatta a risalire e raccontarci tutto, per restituire verità, in nome di
«una rivendicazione, una ribellione, una resistenza ancora...».
Soprattutto perché a Bocchetta non piacciono affatto i revisionismi.
Non accetta transazioni. Tanto che, deluso, dopo il 25 aprile del '45,
dalla mascheratura e dal riciclo di molti fascisti, fa domanda di
espatrio in Argentina, per poi approdare a Chicago. Difficile tenere il
bandolo di una vita di questa caratura esistenziale e creativa, di
questo indomito anelito alla giustizia sociale, alla libertà, alla
democrazia. Tutto inizia con uno schiaffo, a ventidue anni. Due
squadristi ubriachi lo puniscono perché ha osato parlare durante la
lettura del bollettino. Questo schiaffo, seguito da sei mesi di
sorveglianza vigilata, dà patente di antifascista a Vittore Bocchetta.
Poi c'è il rifugio sotto un grande abete, quello dove riesce a
nascondersi, con un compagno francese, durante la marcia della morte. In
mezzo ci sono i campi di concentramento di Flossenburg e Hersbruck e
quei «racconti per non dimenticare». E dopo, dopo il rifugio dentro
l'abete, con le SS che davano la caccia col cane a quei due prigionieri
in meno all'appello, dopo c'è di nuovo la vita, che si fa riconoscere,
che si fa altra. E alta. Perché questo antifascista era anche un artista
dentro, che aveva dovuto abiurare a studi d'accademia per assecondare
la famiglia: maturità classica a Cagliari e laurea in Lettere e
Filosofia a Firenze. Ecco l'altra metà della mostra in corso: dipinti e
sculture di Vittore Bocchetta, che da quando emigra a Buenos Aires, nel
'49, inizia a lavorare in una fabbrica di ceramiche, scoprendo l'innata
attitudine nel modellare l'argilla, attitudine che sfocerà in una più
ampia ricerca sculturea. Dipinge, progetta monumenti, fonde il bronzo,
leviga marmi, mentre migra in Venezuela, per lasciare la dittatura di
Peròn, poi, dal '58, a Chicago, per lasciare quella di Jìmenez. Torna a
Verona a fine anni '80.
Di questa febbrile ricerca per dare forma alla memoria parlano le opere
in mostra: le figure in bronzo sono incubi e deflagrazione del corpo,
quelle dipinte sono spesso volti senza sembiante, figure di fantasmi.
È con l'arte che questo straordinario testimone della Storia ha salvato
la sua memoria per consegnarcela intatta, fra opere e racconti. Come
farà sabato 2 maggio alle 18 e come fa questa imperdibile mostra.
Raffaella Venturi