Cose viste a Londra (2): Imperial War Museum, per imparare a odiare la guerra

L'ingresso princioale del War Museum (Foto: Andrea Mameli)
Se da un viaggio a Londra vuoi portar via un ricordo importante allora The Imperial War Museum è un obiettivo da non mancare. Io ho visitato la sede di Lambeth Road (dove sorgeva il tristemente famoso Bethlem Royal Hospital, noto con il nomignolo di bedlam), ma ne esistono altre tre.
Il museo della guerra ti accoglie con una coppia di enormi cannoni. Da lontano il loro scopo potrebbe sembrare celebrativo. Ma quando ti avvicini e noti le reali dimensioni della micidiale arma, lo spessore del metallo, la cura con cui fu costruita, ti fermi a pensare a quali effetti avrà avuto e a quante risorse sono servite per costruirla, per caricarla e per mantenerla efficiente.
Poi entri e capisci meglio. Leggi il primo invito: guarda la guerra attraverso gli occhi delle persone che l'hanno vissuta, ma non restare fermo a contemplare i reperti, in modo da ricavare ispirazione e uscire dal museo realmente trasformato. Non è solo la conservazione della memoria lo scopo del museo, quanto generare cambiamenti nel modo di pensare la guerra. Non più una serie di date, numeri e nomi di località da ricordare in maniera acritica, ma eventi da considerare mostruosi errori da non commettere.
Lo spiega molto bene Federica Pezzoli (Prima Guerra Mondiale, le ragioni per ricordare): «i musei, in ragione della loro funzione pedagogica, richiedono una riflessione attenta ai contenuti: gli oggetti che raccolgono ed espongono sono sì dei segni, ma anche entità concrete con una propria storia e una propria capacità di comunicare significati. Intrecciando diverse forme di apprendimento, i musei devono quindi assolvere al compito di costruire la solida intelaiatura di un racconto storico il più completo possibile, affiancando la scuola, perché se è vero che i ragazzi sono i destinatari principali dell’appello a ricordare, è alle loro coscienze critiche che bisogna fare appello, non solo alle loro emozioni.»
La V2 esposta al IWM di Londra (Foto: Andrea Mameli)
Se lo scopo della visita è trasformare e non solo (o forse grazie a) emozionare, allora questo percorso vale due ore o l'eventuale offerta (perché l'ingresso è gratuito ma si può donare un contributo). D'altronde, come scrive Luca Basso Peressut (Rappresentare le guerre al museo), raccontare le due guerre mondiali assume significati nuovi rispetto alla narrazione dei conflitti armati dei secoli precedenti: «Mentre l’onore, la gloria, il patriottismo, l’eroismo erano alla base delle narrazioni dei musei degli eserciti e della storia militare, la rappresentazione nei musei dedicati alle guerre del ventesimo secolo si è inevitabilmente intrisa di una terminologia molto diversa. Crudeltà, orrore, genocidio, atrocità, degrado, umiliazione, dolore, angoscia, rabbia, sono diventate parole ricorrenti nel resoconto degli eventi bellici e dei loro effetti sulle popolazioni e sulle persone, siano esse state soldati combattenti o civili inermi.»
Gli effetti sui civili sono resi espliciti dagli oggetti esposti (il missile V2 (Vergeltungs-Waffe 2) incute ancora un certo effetto), dai numeri (60 mila morti nella sola Londra a causa delle bombe naziste) e da un percorso attraverso la vita di una famiglia inglese.
Sempre Luca Basso Peressut: «Nelle società contemporanee i processi di selezione e riorganizzazione dei dati storici sono la posta in gioco tra le esigenze spesso contrastanti dei diversi gruppi che le compongono. La rappresentazione museale di temi sensibili, quali sono quelli legati alle guerre, deve rispondere a questa esigenza di rispetto delle diverse posizioni con spirito critico e interrogativo, mirato a scopi che altro non siano che la ricerca del dialogo o del confronto.»
Un altro pezzo importante del museo è il caccia Supermarine Spitfire. Soprattutto se pensi che proprio questo piccolo aereo ha contribuito in maniera determinante a salvare l'isola britannica dall'invasione. Inizialmente la Luftwaffe riusciva a colpire quasi indisturbata su tutta l’Inghilterra meridionale, dato che il pur imponente sistema di difesa antiaerea abbatteva al massimo il 10% degli aerei tedeschi. Ma dopo l'ingresso dello Spitfire la situazione fu presto ribaldata. Scrive Vito Francesco Polcaro (La Battaglia d’Inghilterra e il fattore R): «Dopo mesi di scontri aerei, la Luftwaffe cominciò a subire perdite intollerabili sia di mezzi sia, soprattutto, di piloti esperti e difficilmente sostituibili. La campagna aerea contro l’Inghilterra fu quindi sospesa, anche perché Hitler decise di rimandare l’invasione dell’Inghilterra per cominciare invece quella della Russia. Tuttavia, l’elemento fondamentale che assicurò la vittoria inglese fu la reazione della popolazione nel suo complesso: a dispetto dei continui bombardamenti, il desiderio di non sottomettersi alla dittatura nazista si rafforzò, moltissimi volontari e volontarie si arruolarono nella difesa civile contribuendo a organizzare il riparo della popolazione nei rifugi, ad aiutare il personale medico nel soccorso ai feriti ed i pompieri nello spegnere gli incendi. Le fabbriche e gli uffici continuarono a funzionare. L’obiettivo di “abbattere” il morale della popolazione era quindi miseramente fallito.»
 

Un intero piano è dedicato alla ShoahThe Holocaust exhibition raccoglie un notevole insieme di storie personali e collettive con immagini dei campi di concentramento, documenti, oggetti e ricostruzioni in scala. La visita è ricca e consente di seguire un filo logico e cronologico molto efficate. «Il pregio del percorso - scrive Annalisa La Porta (Dalla persecuzione all’Olocausto: l’esposizione all’IWM di Londra) - è che l’esposizione non comincia con la distruzione e lo sterminio, ma con ciò che c’era prima: l’ossessione della razza pura e le conseguenze scientifiche, il potere della propaganda, ma anchetipi simboli religiosi, il benessere economico e la modernità della vita degli ebrei in Europa prima della guerra, la felicità dei bambini e delle famiglie riunite. Lo stacco tra il fermento della vita e la degenerazione è graduale e guidato dagli oggetti e dai simboli, dalle fotografie e dalle lettere.»

Consiglio vivamente questo museo a chi crede che la guerra rappresenti un motore per lo sviluppo o la «sola igiene del mondo» o una situazione inevitabile per la nostra specie.

Andrea Mameli
Blog Linguaggio Macchina
31 agosto 2018



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