01 settembre 2018

Cose viste a Londra (3): l'Ape Piaggio sotto il palazzo di J.P. Morgan (per "Change Please")

Londra, Canary Wharf, proprio davanti al palazzo di J.P. Morgan, a pochi passi dal centro commerciale di Canada Square (in cui ho visto la differenziata per le tazze da caffé), ecco l'Ape Piaggio.
Ape sotto J.P. Morgan. Londra, agosto 2018 (foto: Andrea Mameli)

Da un lato l'enorme edificio, simbolo della ricchezza e di un potere economico planetario, dall'altro il piccolo veicolo, simbolo del trasporto in economia (e della ricostruzione italiana del secondo dopoguerra, essendo nato nel 1948, grazie all'ingegno di Corradino D'Ascanio).

Molto più pragmaticamente l'Ape appartiene all'impresa sociale (e alla campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi) Change Please.

Ecco come ne parla "Shaker - Pensieri senza dimora", giornale di strada di Roma (Change Please, quando gli homeless diventano baristi):

«Change Please è un’impresa sociale che aiuta gli homeless formandoli come baristi: i senza tetto vendono caffè biologico in furgoncini situati in location strategiche nel centro di Londra, come Covent Garden e Waterloo.
Il progetto si è diffuso in altre città dello UK, come Bristol. Manchester, Nottingham, Glasgow ed Edinburgo.
È un progetto dell’imprenditore Cemal Ezel, a cui si è unito il giornale di strada con la più grande diffusione al mondo venduto dagli homeless, The Big Issue.
Change Please è un’impresa sociale, fondata nel 2015, in cui ogni profitto viene reinvestito nel programma per formare altri baristi.
Più caffè viene venduto, più furgoncini vengono comprati e così aumenta il numero di homeless che l’impresa sociale aiuta.
L’impresa sociale fornisce un lavoro stabile agli homeless, e un salario che equivale al reddito minimo di Londra di 9,15 sterline all’ora.
Nelle altre città dello UK gli homeless sono pagati il reddito minimo all’ora di 8.25 sterline all’ora. Viene dato loro anche un alloggio.»



Andrea Mameli
blog Linguaggio Macchina
1 settembre 2018

31 agosto 2018

Cose viste a Londra (2): Imperial War Museum, per imparare a odiare la guerra

L'ingresso princioale del War Museum (Foto: Andrea Mameli)
Se da un viaggio a Londra vuoi portar via un ricordo importante allora The Imperial War Museum è un obiettivo da non mancare. Io ho visitato la sede di Lambeth Road (dove sorgeva il tristemente famoso Bethlem Royal Hospital, noto con il nomignolo di bedlam), ma ne esistono altre tre.
Il museo della guerra ti accoglie con una coppia di enormi cannoni. Da lontano il loro scopo potrebbe sembrare celebrativo. Ma quando ti avvicini e noti le reali dimensioni della micidiale arma, lo spessore del metallo, la cura con cui fu costruita, ti fermi a pensare a quali effetti avrà avuto e a quante risorse sono servite per costruirla, per caricarla e per mantenerla efficiente.
Poi entri e capisci meglio. Leggi il primo invito: guarda la guerra attraverso gli occhi delle persone che l'hanno vissuta, ma non restare fermo a contemplare i reperti, in modo da ricavare ispirazione e uscire dal museo realmente trasformato. Non è solo la conservazione della memoria lo scopo del museo, quanto generare cambiamenti nel modo di pensare la guerra. Non più una serie di date, numeri e nomi di località da ricordare in maniera acritica, ma eventi da considerare mostruosi errori da non commettere.
Lo spiega molto bene Federica Pezzoli (Prima Guerra Mondiale, le ragioni per ricordare): «i musei, in ragione della loro funzione pedagogica, richiedono una riflessione attenta ai contenuti: gli oggetti che raccolgono ed espongono sono sì dei segni, ma anche entità concrete con una propria storia e una propria capacità di comunicare significati. Intrecciando diverse forme di apprendimento, i musei devono quindi assolvere al compito di costruire la solida intelaiatura di un racconto storico il più completo possibile, affiancando la scuola, perché se è vero che i ragazzi sono i destinatari principali dell’appello a ricordare, è alle loro coscienze critiche che bisogna fare appello, non solo alle loro emozioni.»
La V2 esposta al IWM di Londra (Foto: Andrea Mameli)
Se lo scopo della visita è trasformare e non solo (o forse grazie a) emozionare, allora questo percorso vale due ore o l'eventuale offerta (perché l'ingresso è gratuito ma si può donare un contributo). D'altronde, come scrive Luca Basso Peressut (Rappresentare le guerre al museo), raccontare le due guerre mondiali assume significati nuovi rispetto alla narrazione dei conflitti armati dei secoli precedenti: «Mentre l’onore, la gloria, il patriottismo, l’eroismo erano alla base delle narrazioni dei musei degli eserciti e della storia militare, la rappresentazione nei musei dedicati alle guerre del ventesimo secolo si è inevitabilmente intrisa di una terminologia molto diversa. Crudeltà, orrore, genocidio, atrocità, degrado, umiliazione, dolore, angoscia, rabbia, sono diventate parole ricorrenti nel resoconto degli eventi bellici e dei loro effetti sulle popolazioni e sulle persone, siano esse state soldati combattenti o civili inermi.»
Gli effetti sui civili sono resi espliciti dagli oggetti esposti (il missile V2 (Vergeltungs-Waffe 2) incute ancora un certo effetto), dai numeri (60 mila morti nella sola Londra a causa delle bombe naziste) e da un percorso attraverso la vita di una famiglia inglese.
Sempre Luca Basso Peressut: «Nelle società contemporanee i processi di selezione e riorganizzazione dei dati storici sono la posta in gioco tra le esigenze spesso contrastanti dei diversi gruppi che le compongono. La rappresentazione museale di temi sensibili, quali sono quelli legati alle guerre, deve rispondere a questa esigenza di rispetto delle diverse posizioni con spirito critico e interrogativo, mirato a scopi che altro non siano che la ricerca del dialogo o del confronto.»
Un altro pezzo importante del museo è il caccia Supermarine Spitfire. Soprattutto se pensi che proprio questo piccolo aereo ha contribuito in maniera determinante a salvare l'isola britannica dall'invasione. Inizialmente la Luftwaffe riusciva a colpire quasi indisturbata su tutta l’Inghilterra meridionale, dato che il pur imponente sistema di difesa antiaerea abbatteva al massimo il 10% degli aerei tedeschi. Ma dopo l'ingresso dello Spitfire la situazione fu presto ribaldata. Scrive Vito Francesco Polcaro (La Battaglia d’Inghilterra e il fattore R): «Dopo mesi di scontri aerei, la Luftwaffe cominciò a subire perdite intollerabili sia di mezzi sia, soprattutto, di piloti esperti e difficilmente sostituibili. La campagna aerea contro l’Inghilterra fu quindi sospesa, anche perché Hitler decise di rimandare l’invasione dell’Inghilterra per cominciare invece quella della Russia. Tuttavia, l’elemento fondamentale che assicurò la vittoria inglese fu la reazione della popolazione nel suo complesso: a dispetto dei continui bombardamenti, il desiderio di non sottomettersi alla dittatura nazista si rafforzò, moltissimi volontari e volontarie si arruolarono nella difesa civile contribuendo a organizzare il riparo della popolazione nei rifugi, ad aiutare il personale medico nel soccorso ai feriti ed i pompieri nello spegnere gli incendi. Le fabbriche e gli uffici continuarono a funzionare. L’obiettivo di “abbattere” il morale della popolazione era quindi miseramente fallito.»
 

Un intero piano è dedicato alla ShoahThe Holocaust exhibition raccoglie un notevole insieme di storie personali e collettive con immagini dei campi di concentramento, documenti, oggetti e ricostruzioni in scala. La visita è ricca e consente di seguire un filo logico e cronologico molto efficate. «Il pregio del percorso - scrive Annalisa La Porta (Dalla persecuzione all’Olocausto: l’esposizione all’IWM di Londra) - è che l’esposizione non comincia con la distruzione e lo sterminio, ma con ciò che c’era prima: l’ossessione della razza pura e le conseguenze scientifiche, il potere della propaganda, ma anchetipi simboli religiosi, il benessere economico e la modernità della vita degli ebrei in Europa prima della guerra, la felicità dei bambini e delle famiglie riunite. Lo stacco tra il fermento della vita e la degenerazione è graduale e guidato dagli oggetti e dai simboli, dalle fotografie e dalle lettere.»

Consiglio vivamente questo museo a chi crede che la guerra rappresenti un motore per lo sviluppo o la «sola igiene del mondo» o una situazione inevitabile per la nostra specie.

Andrea Mameli
Blog Linguaggio Macchina
31 agosto 2018



30 agosto 2018

Cose viste a Londra (1) La differenziata per le tazze del caffé

Chi segue questo blog sa che il livello della mia curiosità è sempre notevole. In viaggio, poi, raggiunge livelli altissimi.
"A Londra il ritiro dei rifiuti è a domicilio e i cassonetti non esistono", avevo letto prima di partire. Quindi sono andato a constatare di persona. E ho preso nota dei due aspetti che più mi hanno colpito.
Primo: il processo di separazione è automatizzato. Ecco perché in alcuni casi possono essere solo due: uno per l'indifferenziato (organico/umido compreso) e uno per i materiali riciclabili (carta, vetro, plastica).
Secondo: tra tutti i cestini dedicati mi ha incuriosito di più quello per i coffee cups, dato che il numero di barattoli per il caffé eliminati ogni anno è mostruoso. Si parla di 5 milioni nella sola City of London. Io li ho visti e fotografati nel centro commerciale di Canada Square (una piazza di Canary Wharf), siamo sull'Isle of Dogs (o se preferire i Docklands di Londra), un'area che costeggia il Tamigi dove in passato attraccavano le navi mercantili e ora svettano grattacieli, sedi di multinazionali e uffici.
Il cestino per le coffee cups è diviso in due sezioni: tazze (cups) e coperchi (lids).
Dato che quella zona è frequentata da persone che presumibilmente consumano molti cibi preconfezionati e bevande in lattina, nella foto vedete che ci sono anche un raccoglitore per gli involucri degli uni (food wrappers) e degli altri.
L’iniziativa è stata lanciata dal collettivo di volontariato ambientale Hubbub in collaborazione con: City of London Corporation, Simply Cups, Network Rail e con alcune catene di bar/caffè.
I cestini dedicati a questi rifiuti si trovano nei marciapiedi e all'interno di negozi e uffici.

Andrea Mameli
Blog Linguaggio Macchina
30 agosto 2018