Kubrick? Un regista kantiano: mia intervista a Giangiuseppe Pili (24 Febbraio 2020)


Un’incursione tra alcune delle scene più importanti della storia del cinema con un preciso obiettivo: scoprire cosa si muove nella mente del regista. È il viaggio dentro la filosofia di Stanley Kubrick proposto da Giangiuseppe Pili con “Anche Kant amava Arancia meccanica” (Ed. Petite Plaisance 2019).
Pili è dottore di ricerca in filosofia e scienze della mente e ha insegnato “Intelligence Analysis” alla Dublin City University, è autore di pubblicazioni in importanti riviste internazionali e ha scritto numerosi saggi, tra cui “L’eterna battaglia della mente - Scacchi e Filosofia della guerra” (Le Due Torri, 2014).
Pili, com’è nata l’idea di scrivere un libro sulla filosofia di Kubrick, un regista, come scrive Silvano Tagliagambe nella prefazione, che rappresenta con ferocia e denuncia senza sconti le debolezze umane? 
«La rivendicazione della necessità di vivere nella storia, pur con tutti i suoi limiti e intrinseci drammi, è stato il motivo recondito, che mi ha condotto a riflettere sul cinema di Kubrick. Ora come allora il peso della vita è sempre lo stesso. Il secondo motivo è legato all’idea che la filosofia non sia relegata alla parola di un archivio burocratico. Non c’è nulla di strano nel rivendicare l’idea che la filosofia vive anche al di fuori di chi la fa per professione. Quindi Stanley Kubrick può e deve essere considerato seriamente filosofo. La sfida è dimostrarlo. Spero che i lettori cercheranno di scoprirlo e di farsi un’opinione perché un libro che non si traduca in vita attiva nella mente dei lettori non serve a niente».
In che modo la filosofia può studiare Kubrick?
«Questa è una domanda cruciale alla quale ho cercato di dare una risposta all’Accademia d’Arte di Cagliari questo gennaio e ringrazio Giorgio Binnella e Giacomo Carrus per l’organizzazione. Il punto è nodale: come tradurre il cinema nel linguaggio della filosofia. La mia soluzione parte da una domanda: quali sono le premesse per capire il cinema di Kubrick? Un esempio. In 2001 ad un certo punto una scimmia brandisce un osso che viene scagliato verso il cielo e il montaggio lo trasforma in un’astronave. Cosa significa? Tra il passato e il futuro c’è una linea di continuità basata sull’unione dell’immagine dell’osso con quella dell’astronave. L’osso-arma è uno strumento come l’astronave. La mia idea era quella di portare alla luce il sommerso, il pensiero necessario per elaborare quelle precise immagini e il loro senso».
Kubrick è un kantiano cinematografico?
«Per tipologia e statura Kubrick è paragonabile solo a Kant. Kubrick ha trattato temi diversissimi durante tutta la sua produzione, da drammi familiari alla fantascienza visionaria. Si può dire che Kubrick sia stato un “cineasta-filosofo della totalità” perché il suo cinema non lascia fuori niente e, quindi, risulta così totale, così ambivalente, aperto ma anche assoluto eppure così tremendamente concreto. Kubrick e Kant sono implacabili e impietosi rispetto alla dimensione delle inevitabili imperfezioni umane perché partono da aspettative altissime!»
Andrea Mameli
L'Unione Sarda, 24 Febbraio 2020


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