In cammino con l’autismo: 113 km, un papà, due figli e tanta determinazione.

Com'è nato questo progetto?

Come vi siete preparati?
«Federico sapeva da mesi della partenza, ha imparato a riconoscere alcune delle immagini tipiche del Cammino quali la Freccia Gialla, la conchiglia e alcuni pittogrammi che poi si trovano lungo il percorso. Questo lo ha aiutato molto. Per quanto riguarda la preparazione fisica, in realtà sarebbe dovuta essere maggiore, anche perché Federico è un ragazzo abbastanza pigro, che tende a non voler camminare e che molto spesso se decide di fermarsi e non proseguire è irremovibile. Durante tutto il cammino in ogni caso sono stati rispettati i tempi e le esigenze dettate principalmente da Federico, con frequenti pause e soprattutto nei primi giorni terminando il cammino dopo pochi chilometri.»
Quali sono state le principali difficoltà?
«La difficoltà principale è stata quella di prendersi cura di Federico 24 ore su 24, per la prima volta nessuno era li a darmi una mano, Federico necessita di assistenza continua e non è in grado di vestirsi o svestirsi, lavarsi etc. Di solito il carico assistenziale è ripartito e comunque durante la giornata ruotano attorno a lui diversi operatori, c’è il tempo scuola e tante attività; durante il cammino Federico non poteva essere lasciato solo nemmeno per andare alla toilette per esempio.»
Quali sono state le principali soddisfazioni?

Cosa resta ora, a mente fredda, di quest'esperienza?
«Il legame padre figli, sia autistici che neurotipici. Come dicevo in precedenza l’assenza totale o quasi di vincoli temporali, almeno nel nostro caso, visto che non avevamo mete prestabilite o un numero di chilometri obbligatori da percorrere al giorno ci ha permesso di rispettarci molto a vicenda e di assecondare le esigenze di ognuno di noi. Ci rimane sicuramente il grande affetto e la premura dimostrata da tutti, ma proprio tutti, i pellegrini incontrati durante il cammino nei confronti di Federico e, cosa che mi ha stupito, il fatto che la stragrande maggioranza di loro avesse capito senza doverlo dire che Federico è un ragazzo autistico e che conoscessero l’autismo oltre i soliti stereotipi. Ci rimane il grande affetto che le tante persone che ci hanno seguito da casa ci hanno espresso durante e dopo il cammino.»
C'è qualcosa che in questi giorni nessuno vi ha mai chiesto e invece vi piacerebbe raccontare?
«Sì, mi piacerebbe che si desse più spazio ai fratelli, che sono spesso coloro che pagano il prezzo più alto dell’avere l’autismo in famiglia. Sarebbe bello chiedere loro più spesso come si sentono, cosa pensano dell’autismo e in che modo vivono la diversabilità del proprio fratello. Karola ha scelto di partecipare al cammino proprio per condividere questa esperienza con il fratello ed è stata, pur con il limite dei suoi quasi 9 anni, una presenza forte e a tratti quasi indispensabile partecipando a pieno titolo alla riuscita dell’iniziativa. Ma sarebbe bello sentire lei e capire cosa l’ha spinta a partecipare e cosa ha provato lungo i 113 km percorsi per arrivare a Santiago. Mi piacerebbe aggiungere poi che questo è stata solo una parentesi, piacevole, nel cammino quotidiano di una famiglia con un componente con autismo; il cammino ha tanti parallelismi con la quotidianità dove molto spesso le difficoltà sono anche maggiori e dove, contrariamente a quanto accaduto durante il cammino, spesso chi dovrebbe essere preposto a darti una mano ti rende più difficile il percorso. Quanto a qualche critica sulla spettacolarizzazione o sul fatto che “disgrazie di proporzioni immani” (parole testuali) come l’autismo dovrebbero essere vissute in silenzio rispondo dicendo che la spettacolarizzazione è negli occhi di chi lo osserva in quel modo e che per tanti altri si chiama invece condivisione, sul fatto poi di viverle in silenzio dico che il tempo dei silenzi e della vergogna è ormai tramontato.»
Andrea Mameli, blog Linguaggio Macchina, 25 Luglio 2014
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