L'astrofisica Marica Branchesi: «La Sardegna nel progetto ET» (7 novembre 2018)


Lo scorso anno per il mensile Nature era tra le dieci personalità scientifiche più significative. Nell'aprile 2018 la rivista Time l'ha inserita tra le cento persone più influenti del mondo. Marica Branchesi, 41 anni di Urbino, astrofisica del Gran Sasso Science Institute, associata all'Infn e Inaf, sarà domani al Rettorato dell'Università di Cagliari per l'inaugurazione dell'undicesima edizione del FestivalScienza. Le abbiamo chiesto le origini della sua passione per la scienza.
Di cosa parlerà nell’Aula Magna dell'Università?
«Delle scoperte degli ultimi due anni. Scoperte emozionanti, che hanno fatto capire come funzionano molte cose che non riuscivamo ancora a spiegare. Ci sarà con me un collega, Ettore Majorana, nipote del famoso fisico siciliano. Parleremo delle nostre ricerche e cercheremo di trasmettere il nostro entusiasmo per il lavoro che facciamo. E parleremo di queste grandi scoperte, che riguardano i buchi neri e le stelle di neutroni. Sui primi ora sappiamo cose che fino a 5 anni fa non sapevamo spiegare: come si formano, come evolvono, come si trasformano. Mentre sulla fusione di stelle di neutroni abbiamo risolto enigmi che duravano da più di vent’anni, tra i quali la maniera in cui si formano i metalli pesanti nell’universo, compreso l’oro. Inoltre, ora abbiamo nuovi indizi sulla velocità di espansione dell’universo. Parleremo anche delle prospettive future, in particolare le nuove osservazioni che, a partire dal 2019, le antenne americane Ligo e il nostro interferometro Virgo compiranno nel cielo, il che porterà sicuramente tante nuove scoperte nei prossimi anni. Infine parleremo dei rivelatori che arriveranno dopo Virgo e Ligo e riguardano la Sardegna, dato che la vostra splendida isola è stata selezionata come possibile sede dei nuovi rivelatori, nel progetto ET: Einstein Telescope. Si tratterà di strumenti più sensibili, in grado di vedere un universo più grande che può arrivare più vicino al big bang. La Sardegna ha le carte in regola, anche perché dispone di uno strumento di eccellenza: il radiotelescopio SRT.»
Lei di che cosa si occupa?
«Io mi occupo di astronomia multi-messaggera, cioè quella branca dell’astronomia che osserva i fenomeni servendosi di più segnali “messaggeri”: le onde elettromagnetiche, le onde gravitazionali e, speriamo, anche i neutrini.»
Quale, tra i numerosi confini della scienza ancora inesplorati, la affascina di più? 
«Io penso che ora siamo come Galileo quando puntò per la prima volta il cannocchiale: iniziamo a vedere vediamo quello che prima era invisibile. Stiamo vivendo l’inizio di una nuova astronomia, è questo che mi affascina di più. Ma questi ultimi due anni sono stati due tanto eccitanti con talmente tante scoperte che non so bene cosa aspettarmi.»
Dal 1901 a oggi il Nobel per la Fisica è stato tributato a 201 uomini e solo a 3 donne. In che modo si potrebbe cambiare qualcosa?
«Sicuramente alle donne va riconosciuto il merito che hanno. E bisogna dare alle donne gli strumenti per emergere. Non voglio banalizzare ma gli asili vicino al lavoro sono uno strumento importante, che però può valere anche anche per i maschi. Di sicuro dobbiamo ridurre le barriere che legano la scienza, teorica e sperimentale, in particolare la fisica e l’astrofisica, a degli stereotipi difficili da abbattere. La scienza viene associata più ai bambini che alle bambine. Le donne devono sapere che la ricerca scientifica è un mestiere non solo da uomini. Inoltre non è solo una questione di Nobel: a livello dirigenziale le donne sono sempre meno degli uomini. E questo ha riflessi anche sulla media dei compensi, che risultano per noi più bassi.» 
È vero che quando è uscita la classifica del Time lei, che ritornava nel nostro Paese dopo una lunga esperienza professionale all’estero, ha detto che l'Italia dimentica la scienza?
«No, in realtà avevo detto che spesso i ricercatori italiani hanno riconoscimenti all’estero ma quasi mai in Italia. Come del resto è successo a me. Invece l’Italia è piena di ricercatori bravissimi.» 
Perché?
«All’estero gli stipendi sono mediamente più alti ed è più facile accedere ai finanziamenti. Inoltre Italia si fa più difficoltà a dare responsabilità scientifiche ai giovani. E poi l’Italia attira poche menti straniere.»
Cosa si può fare?
«Si potrebbe cercare di far venire in Italia più ricercatori, professori e studenti dall’estero, perché dove l’ambiente è più “internazionale” è più facile attirare finanziamenti e fare nuove scoperte. Dove lavoro, Al Gran Sasso Institute, ci sono molti professori e studenti stranieri e per certi aspetti è affascinante, perché è come essere all’estero.»
Pregi e difetti del suo lavoro?
«È molto bello lavorare nella ricerca anche perché si viaggia molto e si possono conoscere tante persone. E spesso si provano forti emozioni. Di negativo c’è la competizione, che a volte è difficile da gestire.»

ANDREA MAMELI

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