20 ottobre 2005

Il fisico Giorgio Parisi: «La ricerca non finirà». Confronto all'Università con Giuntini e Tagliagambe (L'Unione Sarda, 20 ottobre 2005)

 

«Anche a patto di riuscire a creare un modello del mondo completo ed esaustivo non si assisterebbe alla fine della fisica: nascerebbero sicuramente nuove domande e si aprirebbero nuovi scenari interpretativi». Ne è convinto Giorgio Parisi, 56 anni, ordinario di Teorie Quantistiche all'Università La Sapienza di Roma, ritenuto uno dei maggiori studiosi della fisica dei sistemi complessi e della meccanica statistica. Il fisico romano, che ha al suo attivo più di 500 pubblicazioni su riviste internazionali, libri e innumerevoli riconoscimenti, l'ultimo dei quali la Laurea Honoris Causa in Filosofia conferitagli dall'Università di Urbino, è intervenuto a Cagliari sul tema La visione del mondo dopo relatività e meccanica quantistica insieme a un logico (Roberto Giuntini, Università di Cagliari) e un filosofo della scienza (Silvano Tagliagambe, Università di Sassari).
L'incontro, organizzato dal Dipartimento di Scienze fisiche dell'Università di Cagliari, si inserisce nel ciclo di eventi dedicati all'anno internazionale della fisica «In un mondo sempre più tecnologico si assiste paradossalmente al disinteresse dei cittadini per la Scienza - spiega il direttore del dipartimento, Francesco Casula - per questo, oltre ad aprire al pubblico i nostri laboratori di ricerca, abbiamo voluto chiamare alcuni tra i più grandi scienziati di oggi con l'obiettivo di spiegare quali sono i problemi della Fisica contemporanea e perché la società dovrebbe essere interessata alle loro soluzioni». Un confronto come quello organizzato ieri a Cagliari fino a qualche anno fa era un evento raro, ma recentemente sono nate manifestazioni di successo come i festival della scienza di Genova e di Perugia, e il dibattito si sta facendo più vivace. 
Dobbiamo parlare ancora di due culture?
«Di fatto ci sono ma noi possiamo tentare di diminuire le distanze», risponde Parisi «La separazione è avvenuta quando i filosofi hanno smesso di occuparsi di scienza e gli scienziati di filosofia. D'altronde il volume del sapere è cresciuto tanto da contribuire esso stesso alla separazione. Inoltre credo che le materie scientifiche, in particolare matematica e fisica, andrebbero studiate meglio alle superiori, dando più spazio alle applicazioni al mondo che abbiamo intorno. Questo per evitare che la cultura scientifica rimanga patrimonio di pochi». 
Quale ricetta per contrastare problemi come la crisi vocazionale delle facoltà scientifiche, i risultati deludenti al test "pisa" dell'OSCE per gli argomenti scientifici e la fuga dei cervelli'
«In Italia si dovrebbero invertire due tendenze: lo stato e i privati che investono troppo poco in ricerca scientifica e l'abitudine di acquistare i brevetti all'estero impegnarsi nel crearne di nuovi. E i ricercatori dovrebbero sentire il dovere di spiegare cosa fanno, per almeno tre motivi: per convincere i governanti e chi li vota, dell'importanza del loro lavoro, per rendere tutti partecipi delle scoperte meravigliose che la scienza consegue e per garantire quell'interscambio fra discipline che spesso aiuta ad applicare modelli teorici in altri campi o a sviluppare nuove tecnologie». 
Negli ultimi anni Giorgio Parisi ha dedicato il suo tempo principalmente allo studio del comportamento della materia complessa. E per farlo si serve di equazioni e risultati sperimentali presi in prestito da altre branche della fisica. Un assaggio lo ha dato l'altra mattina ai fisici della cittadella universitaria di Monserrato che hanno seguito la sua lezione sulla complessità, quando ha illustrato quali equazioni e quali risultati sperimentali si stanno sfruttando per spiegare il comportamento di vetri, plastiche e liquidi soggetti all'invecchiamento. E come questi risultati saranno utili a formalizzare il comportamento collettivo della materia composta da tanti piccoli mattoncini che non è spiegabile attraverso lo studio dei singoli componenti. Come, per fare un esempio semplice, una molecola d'acqua quando è allo stato liquido non mostra che a una certa temperatura ghiaccia. O passando a un caso molto più complesso, il funzionamento del cervello di un mammifero, che può avere centinaia di miliardi di neuroni, non è spiegabile con la funzionalità di un singolo neurone. Questo genere di analisi, che si serve del contributo di numerose discipline, a sua volta può essere fonte di interesse per altri gruppi di ricerca per esempio di area biologica, medica, chimica, economica». E in definitiva è proprio dagli interrogativi che emergono nel corso di ricerche di punta come queste che si gioca l'impossibilità di completare la descrizione della natura. 
Al filosofo Silvano Tagliagambe, docente di epistemologia alla Facoltà di Architettura dell'Università di Sassari e condirettore della rivista Nuova civiltà delle macchine, abbiamo chiesto se, dopo la meccanica quantistica e la relatività, si fosse giunti a ritenere di aver completato l'opera. «Credo che la risposta più convincente a questa domanda sia ancora quella fornita, quarant'anni fa, dal premio Nobel per la fisica Richard Feynman il quale, concludendo nel 1965 il suo volume The Character of Physical Law, diceva di ritenersi molto fortunato per il fatto di vivere nell'età in cui si scrivevano le leggi fondamentali della fisica, in quanto questa avventura è molto emozionante, ma l'emozione è comunque destinata a passare. Ed è anche ammesso che si possa arrivare al termine di questa avventura, con la scoperta di tutte quelle leggi fondamentali, ciò non segnerà comunque la fine del libro della scienza, in quanto gli interessi, da quel momento in poi, si sposteranno su altri problemi, quelli riguardanti la connessione dei vari livelli in cui si articola la natura, per esempio dei problemi fisici con quelli biologici e di questi ultimi con quelli psicologici, sociologici, ecc. Man mano che saliamo in questa gerarchia di complessità arriviamo prima o poi a concetti come "uomo" e "storia", poi ad altri, ancora più astratti e complessi, come "male", "bellezza" e "speranza". Quello cui la scienza deve cominciare a guardare è proprio l'intera interconnessione strutturale di questi concetti: lo sforzo intellettuale dell'uomo deve orientarsi ad analizzare i nessi fra le gerarchie, cioè a connettere la storia della psicologia dell'uomo, questa a sua volta al funzionamento del cervello, il cervello all'impulso nervoso, l'impulso nervoso alla chimica e così via, in su e in giù in ambedue i senti. E in quest'ottica ha ragione Popper a dire che la ricerca non ha, e non può avere, mai fine». 
ANDREA MAMELI

L'Unione Sarda, 20 ottobre 2005

12 ottobre 2005

Balzani, più scienza significa più pace (L'Unione Sarda, 12 ottobre 2005)

Balzani, più scienza significa più pace Una società disattenta agli sviluppi della scienza non può essere una società attenta alle problematiche del mondo. Ne sono convinti gli organizzatori di "Scienza di guerra, scienza per la pace", un fitto calendario di conferenze e dibattiti, spettacoli e animazioni fino al 26 novembre. La manifestazione, organizzata dal comitato "Scienza società scienza", ha lo scopo di avvicinare la scienza ai cittadini, partendo dai più giovani. «Le associazioni dei docenti di fisica, matematica, chimica e scienze naturali - ha sottolineato Carla Romagnino, presidente del comitato - hanno fornito un contribuito rilevante all’organizzazione di questa manifestazione insieme a molte scuole cittadine e alle istituzioni coinvolte». L’iniziativa nasce anche con il desiderio di aiutare a scegliere i futuri studi. «Servono condizioni fertili per attrarre ragazzi desiderosi di dedicare la loro vita alla scienza», ha ricordato il preside della facoltà di Scienze, Roberto Crnjar. 
Ieri il primo incontro dedicato al tema "Scienza e pace", nell’aula magna di Architettura. Vincenzo Balzani, docente di chimica all’università di Bologna, è subito entrato nel vivo: «La pace è un valore, assoluto, che riguarda la vita di tutti, proprio come la scienza».
Ma come definire esattamente scienza e pace?
«La scienza è un’attività umana che usa la ricerca per produrre conoscenza su com’è fatta la realtà, come funziona il mondo, ma anche come si può inventare qualcosa che in natura non esiste. Il tutto in modo rigoroso, oggettivo e non dogmatico. Per pace invece io intendo una condizione che si espande in cerchi concentrici, dalla condizione del singolo, alla famiglia, alle comunità locali, fino ai rapporti fra le nazioni. Ecco perché, comunque la si pensi, c’è molto bisogno di pace e di scienza. Un bisogno inestinguibile, perché la consapevolezza delle situazioni di disagio e di sofferenza cresce e parallelamente le domande sulla natura diventano sempre più impegnative e difficili. Tuttavia bisogna tenere presente che la conoscenza profonda della natura introduce modifiche nella realtà, dalla meccanica quantistica alla medicina, alle indagini antropologiche su civiltà viventi».
Altra cosa è l’applicazione del sapere scientifico, ha spiegato Balzani: «Scopo della tecnologia è realizzare sistemi, macchine, prodotti, in grado di mettere a frutto la conoscenza. Tutte le innovazioni possono avere risvolti negativi, secondo come vengono dirette. Pensiamo alle macchine per seminare il grano, a un certo punto alcune fabbriche le hanno modificate per seminare mine antiuomo. E pensiamo agli sviluppi futuri: sensori interni al nostro corpo pronti a diagnosticare qualsiasi malattia, cervelli in perenne contatto con i computer, nanotecnologie in campo medico, eccetera».
Dov’è allora il limite?
«Mentre nel caso della tecnologia appare evidente la necessità di indirizzare, non sembra logico porre dei limiti alla scienza, che per definizione ha diritto di esplorare per conoscere. Ma per sapere occorre agire, e questo agire porta inevitabilmente alla responsabilità di assumere determinate conseguenze, in campo morale, materiale, culturale, allora anche la ricerca pura in fondo non è completamente libera. Anche in tema finanziamenti: se viene deciso di assegnare milioni di euro o di dollari a un progetto, significa che ad altri progetti potranno essere destinati meno fondi. Le scelte operate dal potere politico sono scelte determinanti. Inoltre è difficile imporre scale di priorità o regole cui attenersi vista la velocità impressionante alla quale tutto cambia attualmente».
Come comportarsi allora?
«Innanzitutto - ha concluso Balzani - io sostengo che più si sviluppa la scienza, più si sviluppa la pace, esorto quindi i ragazzi a interessarsi alla scienza. Poi incoraggerei gli insegnanti a esporre gli sviluppi più avanzati e a raccontare la storia della scienza in maniera non neutrale, facendo così emergere che un laser o una sostanza radioattiva possono essere usate bene, in campo sanitario, o male, come armi».
Andrea Mameli
L’Unione Sarda, Pagina 42 – Cultura, 12 ottobre 2005



 

04 ottobre 2005

Ottobre 1965: nasce il primo Personal Computer. E' italiano. Non avrà seguito.

il modello programma 101 olivetti Quarant'anni fa, nelle sale dell'esposizione Bema Show (Business Manufacturers Association, New York) veniva presentato il modello Programma 101. I visitatori dello stand Olivetti, attirati dalle famose calcolatrici meccaniche, come la Logos 27, scoprivano quel piccolo apparecchio chiamato Perottina - dal nome del suo inventore Piergiorgio Perotto (1930-2002) - e ne rimanevano colpiti.

Così Perotto descrive quei giorni dell'ottobre 1965 in L’invenzione del personal computer: una storia appassionante mai raccontata: "Non appena il pubblico si accorse della Programma 101 e si rese conto delle sue prestazioni, cominciò ad affollarsi nella saletta, desideroso di mettere le mani sulla tastiera, di avere informazioni su quando il prodotto sarebbe stato disponibile, sul suo prezzo. In un primo tempo le reazioni furono quasi di diffidenza: alcuni chiesero se per caso la macchina non fosse azionata da qualche grosso calcolatore nascosto dietro la parete! Poi la diffidenza si mutò in stupore, infine in entusiasmo. I dipendenti americani dell'Olivetti che presidiavano lo stand vennero distolti dalla presentazione di tutte le altre macchine esposte in prima fila e furono monopolizzati dal nuovo prodotto elettronico. Trascinati dal pubblico, di buon grado si dedicarono alle dimostrazioni, a fornire informazioni, a far giocare la gente con la macchina. Io stesso venni pregato di prestarmi a far parte dell'esibizione, giocando ad una specie di partita ai dadi, nel quale l'uomo e il computer si sfidavano a raggiungere un numero predeterminato, senza superarlo; e dato che venivo frequentemente battuto, questo dava al presentatore la opportunità di proclamare: la Programma 101 riesce a battere il suo creatore!"

La stampa Usa non esita a presentare la perottina come il primo computer programmabile da tavolo.
Alcuni titoli di quei giorni. Daily News Record (15 ottobre 1965): "Olivetti launches new dimensions in computers". New York Journal American (23 ottobre 1965): "A desktop computer". Business Week (23 ottobre 1965): "Desk-top" computer is typewriter size". Engineering News-record (11 novembre 1965): "Keyboard computer sits on desk".

Piergiorgio Perotto nel 1991 ha ottenuto il premio Leonardo da Vinci per la creazione del modello P101, da alcuni ritenuto il primo esempio di Personal Computer, da altri la prima macchina programmabile da scrivania.

Lo stile della perottina era così innovativo e funzionale che la perottina e altre opere del design del giovane architetto Mario Bellini furono esposte al Museum of Modern Arts di New York. Più recentemente allo Stedelijk Museum di Amsterdam.

Il successo di pubblico e di critica della Olivetti P101 alla presentazione neworkese e i lusinghieri risultati commerciali (circa 40 mila modelli venduti in dieci anni di produzione) lasciano immaginare cosa sarebbe potuto succedere se la casa di Ivrea avesse deciso di proseguire su questa strada. Ma non fu così.
Ora la perottina è un pezzo ricercato da musei e collezionisti di tutto il mondo.

Andrea Mameli, 5 Ottobre 2005

28 luglio 2005

Los Alamos, quell'alba estiva vide sorgere un secondo sole (L'Unione Sarda, 28 luglio 2005)

 

"Appuntamento a Hiroshima": diario della più terribile invenzione della storia

Los Alamos, quell’alba estiva vide sorgere un secondo sole 

Dal Trinity Test ai due lanci sul Giappone, la bomba atomica 

La notte tra il 15 e il 16 luglio del 1945 quasi nessuno riuscì a prendere sonno. Tra scienziati, tecnici e militari impegnati a Los Alamos nella creazione della bomba atomica si era diffusa una formidabile eccitazione. Tutti erano vittime dell’emozione di assistere al Trinity Test e vedere alla prova la nuova arma ma anche del timore che l’esperimento conclusivo del Progetto Manhattan potesse fallire. Così la gigantesca esplosione del primo ordigno al plutonio, all’alba del 16 luglio, giunse come una liberazione. Ma fu l’inizio dell’incubo atomico.
In Appuntamento a Hiroshima (Longanesi, 365 pagine, 18 Euro) Stephen Walker descrive così l’esperienza provata dagli uomini riuniti nel deserto del New Mexico: "Sorse dal deserto come un secondo sole, una palla di fuoco brillante e ardente in continua espansione, e terrorizzò tutti quelli che la guardarono. Nel primo millesimo di secondo parve qualcosa di orrendamente alieno, una forma gigantesca, carnosa, simile a un cervello con punte infuocate che schizzavano da tutte le parti mentre il cielo gli si apriva davanti. In quello stesso millisecondo, l’istante esatto della sua nascita, la temperatura del suo nucleo aveva raggiunto diversi milioni di gradi centigradi, diecimila volte più calda della superficie del sole, e il lampo accecante era assai più luminoso. Avvolse le montagne e il deserto con un’intensità e una chiarezza che nessuno degli astanti avrebbe mai dimenticato. L’impatto fu mostruoso e primordiale".
Il progetto Manhattan
Walker, studi storici a Oxford e a Harvard e ora regista di documentari, ripercorre le vicende umane, politiche e scientifiche che accompagnarono l’evento più drammatico della seconda guerra mondiale. Lo fa in maniera avvincente, documentando ogni notizia, dalla nascita del progetto al test Trinity, dalle esercitazioni del 509° gruppo dell’aviazione Usa alla distruzione di Hiroshima e Nagasaki. Così descrive il clima di quei tempi: "Le due bombe accorciarono indubbiamente la guerra. È tuttora fonte di infiniti dibattiti quanto a lungo i giapponesi avrebbero ancora potuto resistere se non fossero state sganciate le due atomiche. Senza dubbio i combattimenti avrebbero fatto altre vittime, anche se non è possibile sapere se sarebbero state più o meno numerose di quelle che effettivamente perirono nelle due città giapponesi. Il fatto assodato è che la percezione di una minaccia da parte dell’Unione Sovietica ebbe un ruolo importante nella decisione di utilizzare la bomba atomica". Oggi i luoghi in cui si svolse il test Trinity fanno parte di un poligono missilistico di ventimila ettari e le grandi macchie verde smeraldo visibili nelle foto satellitari (accessibili via Internet con Google Map) mostrano ancora la sabbia vetrificata, effetto delle altissime temperature sprigionate nel corso delle esplosioni. Per la creazione dell’atomica gli Usa investirono circa 2 miliardi di dollari impiegando in totale 125 mila persone tra cui centinaia di scienziati, molti dei quali provenienti dall’Europa, compresi Enrico Fermi e altri italiani. Alla base di tutto i progressi fatti registrare in quegli anni nella fisica teorica e sperimentale. In particolare la scoperta che la fissione nucleare, la rottura del nucleo di un atomo con liberazione di enormi quantità di energia, poteva essere controllata. Utilizzando pochi kg di Plutonio (Trinity Test e Nagasaki) o di Uranio (Hiroshima) si otteneva l’effetto di migliaia di tonnellate di tritolo (kilotoni). La mattina del 16 luglio l’energia emessa fu pari a 20 kilotoni.
Misteri della Germania nazista
Si ritiene che la Germania nazista sarebbe riuscita a raggiungere i risultati del progetto Manhattan con oltre un anno di ritardo. Ma in un libro di Reiner Karlsch Hitler’s Bombe (DVA, 2005) riemerge la testimonianza di Luigi Romersa, uomo di fiducia di Mussolini, che nell’ottobre del 1944 si recò in Germania, su incarico del Duce, per assistere alla presentazione di una nuova straordinaria arma. Secondo l’autore si sarebbe trattato di una bomba al plutonio. Citando un rapporto dello spionaggio sovietico Karlsch racconta che nel marzo del 1945, in Turingia, furono fatte esplodere due bombe all’Uranio 235 che causarono la morte di centinaia di cavie umane, prigionieri di un vicino campo di concentramento. Recentemente il settimanale tedesco Der Spiegel ha ricordato che il 14 maggio 1945 un grande sommergibile tedesco, nome in codice U 234 XB, si arrese negli Usa, consegnando oltre a due aerei a reazione Messerschmidt 262, anche mezza tonnellata di ossido di uranio. Come contropartita di questo prezioso carico gli Usa avrebbero concesso la libertà a due ospiti dell’U-boat: Heinrich Mueller, comandante della Gestapo e Martin Bormann, capo del partito nazista e segretario di Hitler. Carter Hydrick nel suo Critical Mass: la vera storia della nascita della bomba atomica (1998) sostiene apertamente questa tesi e aggiunge che senza l’apporto tedesco il progetto Manhattan avrebbe accumulato mesi di ritardo.
La sabbia del Poetto
Il volume del Comitato di controllo degli effetti delle radiazioni atomiche delle Nazioni Unite che raccoglie tutte le informazioni relative ai materiali radioattivi derivanti da attività umane indica piccoli aumenti in concomitanza con ciascuno degli oltre duemila test eseguiti in atmosfera e nel sottosuolo. «In Sardegna - spiega Paolo Randaccio, docente di Fisica applicata all’Università di Cagliari e membro della sezione cagliaritana dell’INFN (Istituto nazionale di fisica nucleare) - analizzando campioni di terreno stratificati si nota che i livelli del Cesio 137 si innalzarono in corrispondenza dei test francesi nel deserto algerino (1960 e 1961) e dell’incidente di Cernobyl (1986). Altro dato eloquente è la sabbia del Poetto. Quella del ripascimento, essendo stata schermata fino a pochissimi anni fa, non presenta tracce di inquinamento radioattivo dovuto a esplosioni e incidenti nucleari, mentre siamo in grado di misurarle nella sabbia che è rimasta esposta in precedenza. Questi valori, molto significativi dal punto di vista scientifico, per fortuna non lo sono dal punto di vista sanitario. La radioattività, come il fuoco o la gravità, è un fenomeno naturale e bisogna conoscerla per evitarla quando supera livelli di guardia». Il laboratorio di Monserrato fornisce l’opportunità di approfondire questi studi distribuendo gratuitamente un semplice kit per allestire una piccola stazione di monitoraggio della radioattività, a disposizione di tutte le scuole che ne faranno richiesta: http://randaccio.ca.infn.it/laborad/ 

Andrea Mameli

16 maggio 2005

Da Voltaire al Web, è la nuova Enciclopedia. Wikipedia, ovvero un fenomeno in continua crescita grazie alla partecipazione libera e volontaria (L'Unione Sarda, 16 maggio 2005)

Da Voltaire al Web, è la nuova Enciclopedia

Wikipedia, ovvero un fenomeno in continua crescita grazie alla partecipazione libera e volontaria

L'edizione curata da D'Alembert, Diderot, Montesquieu, Rousseau e Voltaire richiese trent’anni di lavoro, dal 1751 al 1780. Nei due secoli seguenti sono state pubblicate svariate edizioni di Enciclopedie nelle principali lingue del mondo. E negli ultimi anni alcune si sono affacciate anche in Internet. Ma, a partire dal 2001, la storia di questi preziosi contenitori del sapere ha iniziato a subire un autentico scossone, grazie a una tecnologia figlia del “World Wide Web” e alla partecipazione gratuita di migliaia di persone. Come insegna la storia della scienza, le innovazioni di successo traggono spesso origine dalla convergenza di più elementi, come la disponibilità di risorse tecnologiche adatte a risolvere un problema, o all’adozione di metodi e strategie in ambiti del tutto diversi da quelli originali. Ma anche dalla riconversione determinata da precedenti fallimenti.
La nostra storia inizia proprio con un fallimento, quello dell’enciclopedia telematica Nupedia, voluta da Jimmy Wales, un fortunato operatore finanziario nato in Alabama nel 1966.
L’esperimento durò solo due anni, dal 2000 al 2001, perché non riuscì a far presa tra i frequentatori della rete Internet. Ma Wales fece tesoro dell’esperienza e nel 2001 con l’aiuto di un programmatore, Ben Kovitz, e di un filosofo, Larry Sanger, concepì un nuovo sistema. Basato sulla contribuzione volontaria, sul software libero e su un miglioramento dello stesso World Wide Web.
Dal 1989, quando nacque al Cern di Ginevra, il Web deve la sua fortuna alla semplicità d’uso, sia in fase di fruizione che di sviluppo, e alla struttura ipertestuale, che permette di condividere documenti multimediali attraverso i browser. Ma un sito Web può essere modificato solo da chi lo ha creato (o da altri solo se autorizzati) e questa condizione pone un limite alle attività che coinvolgono più autori.

BASATA SUL WIKI WIKI WEB.
Fu nel 1995 che un programmatore, Ward Cunningham, con l’intento di creare una piattaforma per lo sviluppo di software frutto di libera collaborazione, inventò il Wiki Wiki Web. Con questo sistema è possibile intervenire liberamente, in maniera diretta e rapida (wiki in lingua hawaiana significa veloce)
sui contenuti di un sito. I siti Wiki si differenziano anche dai Blog, che permettono ai lettori di inserire i propri commenti ad un articolo come se si trattasse di un forum elettronico, ma non consentono di intervenire sull’originale.
Il progetto di Jimmy Wales, dunque, riparte dalla tecnologia Wiki per consentire a chiunque di scrivere articoli o di migliorare quelli scritti da altri. Ecco che nasce Wikipedia, l’enciclopedia telematica libera, attualmente in più di 100 lingue. La sezione inglese contiene oltre 555 mila articoli, 228 mila quella tedesca, 116 mila la giapponese, 105 mila quella francese e 43 mila quella italiana.
Le regole di comportamento impongono che il testo deve essere redatto rigorosamente da un punto di vista neutrale e con la massima chiarezza.
Ma cosa accade se qualcuno inserisce un testo politicamente scorretto o pieno di errori o poco comprensibile? «Gli utenti più attivi e gli amministratori del sistema leggono tutto
ciò che viene pubblicato – spiega la coordinatrice italiana, Frieda Brioschi – e provvedono se necessario a fare pulizia». La caratteristica principale di questo strumento, quella totale libertà di partecipazione alla redazione dei contributi che ne ha determinato uno sviluppo tanto imponente (è di fatto l’enciclopedia più grande del mondo), costituisce anche il suo punto debole in quanto non offre nessuna garanzia formale di validità e accuratezza dei propri contenuti. Scelta la lingua, i contenuti dell'enciclopedia sono accessibili tramite ricerca per argomento o per parola dal sito: www.wikipedia.org

LA WIKIMEDIA FOUNDATION.
La Wikimedia Foundation che ora gestisce Wikipedia cura anche altri progetti: Wikibooks (manuali e libri di testo), Wikiquote (raccolte di citazioni), Wikizionario (dizionario e vocabolario), Wikinotizie (giornalismo aperto), Wikispecies (tassonomia delle specie viventi), Commons (risorse multimediali condivise) e Wikisource (documenti di pubblico dominio). Se tutto ciò fosse in mano a una normale impresa ci sarebbe da aspettarsi bilanci da capogiro. Invece i 500 mila dollari investiti nel 2004 da Wales sono serviti interamente per l’acquisto dei computer, indispensabili a conservare i dati.
Wikipedia non è soggetta al Copyright in quanto l'intero contenuto dell'enciclopedia può essere copiato nel rispetto della GFDL, acronimo di “Gnu Free Documentation License” ovvero la licenza di copyleft, creata dalla Free Software Foundation per la distribuzione libera di materiale didattico e documentazione di software (Gnu).
Quanto al software: tutti i programmi che governano il database del portale sono rilasciati con licenza di libero utilizzo e anche in questo caso i contributi migliorativi fioccano da ogni parte del mondo. «Stiamo pensando di raccogliere tutti i contenuti delle Wikipedia esistenti a fine 2005 – spiega Frieda Brioschi – su carta e su formato digitale, ma ci sono già problemi dovuti alle sue dimensioni». 
Il primo raduno internazionale – annuncia ancora Frieda Brioschi, che di mestiere fa la programmatrice – è previsto in Germania il prossimo agosto: «Si tratta di un evento importante dal quale sicuramente nasceranno idee nuove e sarà curioso osservare i volti dei collaboratori, spesso anonimi».

DAL 2004 ANCHE IN SARDO.
La Wikipedia italiana dedica ampio spazio al Sardo - http://it.wikipedia.org/wiki/Sardo - e da poco più di un anno esiste una sezione apposita - http://sc.wikipedia.org - nella quale però sono presenti ancora pochi contributi.
Ma la Sardegna potrebbe avvalersi anche del progetto Wikibooks: proprio in queste pagine è stata presentata l’idea di riscrivere l’opera di Vittorio Angius, dando vita ad una nuova classificazione dei luoghi dell’isola (in base all’ambiente, la società, l’economia, eccetera). I nuovi mezzi, con regole e controlli adeguati, potrebbero aiutare a realizzare questo e altri sogni.
Se il Blog può essere considerato uno sfogo collettivo, a cavallo tra il diario privato e il giornalismo di massa, il fenomeno nato da Wikipedia si dimostra adatto a rivestire il ruolo di nuovo strumento di diffusione culturale.

ANDREA MAMELI




L'articolo è stato inserito nella rassegna stampa di Wikipedia