Il fisico Giorgio Parisi: «La ricerca non finirà». Confronto all'Università con Giuntini e Tagliagambe (L'Unione Sarda, 20 ottobre 2005)

 

«Anche a patto di riuscire a creare un modello del mondo completo ed esaustivo non si assisterebbe alla fine della fisica: nascerebbero sicuramente nuove domande e si aprirebbero nuovi scenari interpretativi». Ne è convinto Giorgio Parisi, 56 anni, ordinario di Teorie Quantistiche all'Università La Sapienza di Roma, ritenuto uno dei maggiori studiosi della fisica dei sistemi complessi e della meccanica statistica. Il fisico romano, che ha al suo attivo più di 500 pubblicazioni su riviste internazionali, libri e innumerevoli riconoscimenti, l'ultimo dei quali la Laurea Honoris Causa in Filosofia conferitagli dall'Università di Urbino, è intervenuto a Cagliari sul tema La visione del mondo dopo relatività e meccanica quantistica insieme a un logico (Roberto Giuntini, Università di Cagliari) e un filosofo della scienza (Silvano Tagliagambe, Università di Sassari).
L'incontro, organizzato dal Dipartimento di Scienze fisiche dell'Università di Cagliari, si inserisce nel ciclo di eventi dedicati all'anno internazionale della fisica «In un mondo sempre più tecnologico si assiste paradossalmente al disinteresse dei cittadini per la Scienza - spiega il direttore del dipartimento, Francesco Casula - per questo, oltre ad aprire al pubblico i nostri laboratori di ricerca, abbiamo voluto chiamare alcuni tra i più grandi scienziati di oggi con l'obiettivo di spiegare quali sono i problemi della Fisica contemporanea e perché la società dovrebbe essere interessata alle loro soluzioni». Un confronto come quello organizzato ieri a Cagliari fino a qualche anno fa era un evento raro, ma recentemente sono nate manifestazioni di successo come i festival della scienza di Genova e di Perugia, e il dibattito si sta facendo più vivace. 
Dobbiamo parlare ancora di due culture?
«Di fatto ci sono ma noi possiamo tentare di diminuire le distanze», risponde Parisi «La separazione è avvenuta quando i filosofi hanno smesso di occuparsi di scienza e gli scienziati di filosofia. D'altronde il volume del sapere è cresciuto tanto da contribuire esso stesso alla separazione. Inoltre credo che le materie scientifiche, in particolare matematica e fisica, andrebbero studiate meglio alle superiori, dando più spazio alle applicazioni al mondo che abbiamo intorno. Questo per evitare che la cultura scientifica rimanga patrimonio di pochi». 
Quale ricetta per contrastare problemi come la crisi vocazionale delle facoltà scientifiche, i risultati deludenti al test "pisa" dell'OSCE per gli argomenti scientifici e la fuga dei cervelli'
«In Italia si dovrebbero invertire due tendenze: lo stato e i privati che investono troppo poco in ricerca scientifica e l'abitudine di acquistare i brevetti all'estero impegnarsi nel crearne di nuovi. E i ricercatori dovrebbero sentire il dovere di spiegare cosa fanno, per almeno tre motivi: per convincere i governanti e chi li vota, dell'importanza del loro lavoro, per rendere tutti partecipi delle scoperte meravigliose che la scienza consegue e per garantire quell'interscambio fra discipline che spesso aiuta ad applicare modelli teorici in altri campi o a sviluppare nuove tecnologie». 
Negli ultimi anni Giorgio Parisi ha dedicato il suo tempo principalmente allo studio del comportamento della materia complessa. E per farlo si serve di equazioni e risultati sperimentali presi in prestito da altre branche della fisica. Un assaggio lo ha dato l'altra mattina ai fisici della cittadella universitaria di Monserrato che hanno seguito la sua lezione sulla complessità, quando ha illustrato quali equazioni e quali risultati sperimentali si stanno sfruttando per spiegare il comportamento di vetri, plastiche e liquidi soggetti all'invecchiamento. E come questi risultati saranno utili a formalizzare il comportamento collettivo della materia composta da tanti piccoli mattoncini che non è spiegabile attraverso lo studio dei singoli componenti. Come, per fare un esempio semplice, una molecola d'acqua quando è allo stato liquido non mostra che a una certa temperatura ghiaccia. O passando a un caso molto più complesso, il funzionamento del cervello di un mammifero, che può avere centinaia di miliardi di neuroni, non è spiegabile con la funzionalità di un singolo neurone. Questo genere di analisi, che si serve del contributo di numerose discipline, a sua volta può essere fonte di interesse per altri gruppi di ricerca per esempio di area biologica, medica, chimica, economica». E in definitiva è proprio dagli interrogativi che emergono nel corso di ricerche di punta come queste che si gioca l'impossibilità di completare la descrizione della natura. 
Al filosofo Silvano Tagliagambe, docente di epistemologia alla Facoltà di Architettura dell'Università di Sassari e condirettore della rivista Nuova civiltà delle macchine, abbiamo chiesto se, dopo la meccanica quantistica e la relatività, si fosse giunti a ritenere di aver completato l'opera. «Credo che la risposta più convincente a questa domanda sia ancora quella fornita, quarant'anni fa, dal premio Nobel per la fisica Richard Feynman il quale, concludendo nel 1965 il suo volume The Character of Physical Law, diceva di ritenersi molto fortunato per il fatto di vivere nell'età in cui si scrivevano le leggi fondamentali della fisica, in quanto questa avventura è molto emozionante, ma l'emozione è comunque destinata a passare. Ed è anche ammesso che si possa arrivare al termine di questa avventura, con la scoperta di tutte quelle leggi fondamentali, ciò non segnerà comunque la fine del libro della scienza, in quanto gli interessi, da quel momento in poi, si sposteranno su altri problemi, quelli riguardanti la connessione dei vari livelli in cui si articola la natura, per esempio dei problemi fisici con quelli biologici e di questi ultimi con quelli psicologici, sociologici, ecc. Man mano che saliamo in questa gerarchia di complessità arriviamo prima o poi a concetti come "uomo" e "storia", poi ad altri, ancora più astratti e complessi, come "male", "bellezza" e "speranza". Quello cui la scienza deve cominciare a guardare è proprio l'intera interconnessione strutturale di questi concetti: lo sforzo intellettuale dell'uomo deve orientarsi ad analizzare i nessi fra le gerarchie, cioè a connettere la storia della psicologia dell'uomo, questa a sua volta al funzionamento del cervello, il cervello all'impulso nervoso, l'impulso nervoso alla chimica e così via, in su e in giù in ambedue i senti. E in quest'ottica ha ragione Popper a dire che la ricerca non ha, e non può avere, mai fine». 
ANDREA MAMELI

L'Unione Sarda, 20 ottobre 2005

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