Sess'antanni fa i sardi alla guerra della malaria (L'Unione Sarda, 14 maggio 2006)

Sessant'anni fa i sardi alla guerra della malaria

Il 14 maggio 1946 nacque a Cagliari il piano antianofele.

Fu una "Die de sa Sardigna" all'aroma di Ddt

In una stanza del monumentale edificio che ancora oggi è sede delle Scuole Elementari Riva, in Piazza Garibaldi, pochi uomini stanno per decidere il futuro della Sardegna appena uscita dalla guerra. Hanno in mente un'isola libera da una malattia che miete molte vite ogni anno, soprattutto per la facilità di trasmissione: la malaria. Il protozoo responsabile dell'infezione (Plasmodium falciparum) che distrugge i globuli rossi dell'ospite è trasportato da una zanzara (Anopheles labranchiae). 

Una malattia micidiale, in grado di intervenire nella selezione naturale: i talassemici portatori sani offrono un ambiente meno accogliente al plasmodio, così la malaria ha favorito gli individui affetti da talassemia minor. 

Un flagello secolare, responsabile di sofferenza e sottosviluppo: con la malaria il turismo, l'agricoltura e la stessa vita nei centri costieri non si sarebbero mai potuti sviluppare. 

Attorno a un tavolo siedono Giuseppe Brotzu (direttore dell'Istituto d'igiene dell'università di Cagliari), Alberto Missiroli (designato dall'alto commissario per l'igiene e la salute pubblica), Guido Casini (esperto nell'utilizzo del dicloro-difenil-tricloroetano, il famigerato Ddt) e una squadra fatta arrivare dagli Stati Uniti che comprende un entomologo (T.H.G. Aitken) e un esperto in tecniche di eradicazione (D.B.Wilson). Ci sono poi medici, agronomi, tecnici forestali, amministratori locali. È il quartier generale dell'Ente regionale per la lotta antianofelica in Sardegna (ERLAAS), i generali di un esercito di trentamila uomini, che combatterà fino a sconfiggere la malaria nel 1950. In questa guerra, nome in codice "Sardinia Project" furono determinanti il supporto scientifico e tecnico della Fondazione Rockefeller e i fondi dello Stato e dell'UNRRA (il fondo delle nazioni unite nato nel 1943 per sostenere la ricostruzione post bellica). 

Ne abbiamo parlato con Eugenia Tognotti, docente di Storia della Medicina e Scienze umane alla Facoltà di Medicina dell'Università di Sassari, autrice della più accurata ricostruzione storica di questa vicenda con Americani, comunisti e zanzare (Editrice Democratica Sarda, 1995) e La malaria in Sardegna (Franco Angeli, 1996). 

È corretto dividere la storia della Sardegna in prima e dopo la malaria? 

«Non c'è dubbio: l'eradicazione della malaria ha aperto un capitolo nuovo nella storia della Sardegna contemporanea: per la prima volta grandi pianure, prima abbandonate a causa della malattia, sono state recuperate all'agricoltura e all'insediamento umano. Circondata fin dai tempi più remoti dalla triste fama di "isola pestilente", luogo di esilio e di pena, la Sardegna è diventata vivibile». 

Fino a poco tempo fa sui muri di molte case erano ancora visibili i segni lasciati dalle squadre che irrorarono tutti gli edifici: il DDT è stato scagionato o resta pericoloso? 

«Proibito ovunque negli anni Settanta, il Ddt, a quanto ho potuto vedere in alcune recentissime pubblicazioni scientifiche, sta subendo un processo di riabilitazione. Che presentasse problemi per la salute, gli americani lo sapevano dal 1946, quando l'esperimento di eradicazione era già avviato. Ho avuto modo di leggere due lettere riservate in cui si sosteneva che veterinari e agronomi avevano segnalato il pericolo di quell'insetticida. Successivamente, nel 1948, una lunga relazione confidential commissionata a un ricercatore della John Hopkins University, segnalava che il fiume di Ddt riversato su acque e campagne minacciava nel tempo una vasta contaminazione ambientale e l'accumulo nei tessuti di molti animali, compreso l'uomo. Ma la determinazione della Fondazione Rockefeller era tale che niente avrebbe potuto fermarli. Il principale problema del Ddt, come segnalava il rapporto, sta nella facilità con cui l'insetticida veniva trasmesso da un organismo all'altro attraverso le reti alimentari, raggiungendo una diffusione estremamente più vasta dell'originario ambiente di applicazione». 

Le ultime due generazioni non conservano alcun ricordo del flagello: nulla è rimasto nell'immaginario collettivo? 

«Per i più giovani la malaria è poco più di un nome. Non è così, invece, per le generazioni che hanno conosciuto l'epopea della grande battaglia della fine degli anni Quaranta. L'interesse è sempre vivissimo, come posso constatare in tutte le occasioni in cui mi capita di parlare della malaria. Va anche ricordato che decine di migliaia di uomini trovarono un lavoro stabile e ben remunerato nell'ERLAAS in un periodo di gravissima crisi dell'occupazione». 

Un raro esempio di sardi uniti

«Esatto, vorrei sottolineare che per la prima volta nella storia della Sardegna, una storia segnata dall'individualismo e dalla disunione, tanti uomini, di paesi e dialetti diversi, si trovarono a lavorare insieme per un obiettivo comune. Se mai c'è stata nella storia dei sardi una Die de sa Sardigna, è stata la guerra alla malaria che ha impegnato disboscatori, spruzzatori, studenti, tecnici, igienisti, agronomi. La facoltà di agraria appena nata a Sassari fu subito coinvolta, e così l'intera comunità regionale».

Andrea Mameli

L'Unione Sarda, 14 maggio 2006

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