Quando la fatina diventa regina. Comunicare la scienza oggi, tra social e web.
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Anzi, forse l'avrei considerato un ottimo titolo: in grado di catturare l'attenzione, colpendo per l'assonanza con qualche titolo di libro o di film o di una qualsivoglia altra sequenza di parole profondamente radicata in noi (o almeno in alcuni di noi), sottolineando un aspetto particolare dell'argomento trattato nell'articolo (o nel servizio) e fornendo spunti evocativi (ovvero imponendo al cervello di chi legge di soffermarsi, per un brevissimo istante, nelle ricerca di allusioni e visioni). In particolare per me la parola fatina richiama alla memoria la fata dai capelli turchini di Collodi (più quella dello sceneggiato televisivo diretto da Luigi Comencini del 1972, interpretata da Gina Lollobrigida, che quella del Pinocchio di Disney del 1940, Blue Fairy): una persona generosa e altruista, in grado di aprire le porte senza le chiavi, per certi versi buona come metafora della scienziata.
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Questa storia mi porta poi a ripensare alcuni aspetti della comunicazione della scienza. Due in particolare: 1) per quanto si possa far bene il proprio lavoro basta una parola per vanificare tutto; 2) web e social come aiutano a diffondere le notizie altrettanto rapidamente possono portare a sottolineare alcuni aspetti facendo perdere di vista il sensoprofondo.
In fondo la potenza dei social networks è proprio questa: influenzano il mio modo di vedere le cose. E, specie in casi come questo, i social evidenziano il ruolo dei cosiddetti influencer: quelli che non guardano i testi e le immagini distrattamente, ma le osservano con attenzione, fornendo altre letture. E devo dire che anche la redazione non è stata immune da questo genere di ravvedimento: il giorno dopo la fatina delle cellule è diventata la regina delle cellule. Ma il web non perdona: la parola fatina è rimasta nell'url (http://video.corriere.it/fatina-cellule/...) e nei post di facebook associati al commento di Michela Murgia (che fino a poco fa era stato condiviso condiviso 64 volte, determinando ulteriori ramificazioni comunicative). Ma la fatina rimane anche nella cover del video e io, impietosamente - non me ne voglia Alessandra Arachi, alla quale rinnovo la mia stima - ripropongo qui sotto:
P.S. Il valore scientifico del lavoro di Ilaria Cacciotti resta intatto. Ma, nella mia costante ricerca di senso, trovo la cocente conferma di una cocente realtà (tipicamente italica): la ricerca precaria trasforma le storie di successo in tragedie professionali. L'ha spiegato la stessa ricercatrice il 10 Aprile 2013 a agoranews.it: «La borsa di studio di 15mla euro è finita un anno fa. Ora attendo un nuovo assegno. Ho anche integrato dando ripetizioni. Ma la precarietà non mi fa scappare all'estero: la qualità della ricerca da noi è alta e finché si può è giusto restare».
http://mobile.corriere.it/m/unamammaimperfetta/corrieretv/dettaglio/0/dd8f7404-ee01-11e2-98d0-98ca66d4264e
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