Controcultura, new economy, innovazione: Roberto Bonzio a Cagliari regala saggezza

Se How the Hippies Saved Physics di David Kaiser (libro dell'anno per Physics World nel 2012) è stata la sorpresa più inattesa, la bravura di Roberto Bonzio quella me l'aspettavo, ma anche se me l'aspettavo è stata comunque una bella sorpresa. Due scoperte in un colpo solo: complici gli amici di Open Campus, ideatori dell'iniziativa “Dalla controcultura alla New Economy: aperitivo con Roberto Bonzio” il 30 Giugno 2014.
Per chi non lo conosce Roberto Bonzio si autodefinisce un giornalista curioso. E io aggiungerei coraggioso: nel 2011 ha abbandonato il posto fisso, all’agenzia internazionale Reuters di Milano, per inventare il progetto Italiani di Frontiera.
Qualcuno mi ha detto "è una cosa tipo il tuo Scienziati di ventura". Ma no (a parte che non è solo mio ma mio e di Mauro Scanu) il nostro era solo un libro costruito con le storie di 12 sardi che hanno girato il mondo inseguento la scienza. Italiani di frontiera è molto ma molto di più: il progetto di Roberto Bonzio oltre al libro, è una serie di videointerviste, un viaggio, una ricerca approfondita e, in fondo, anche una scelta di vita. Lo si capisce dagli incontri che fa, in giro per l'Italia, e dal materiale che si trova in rete.
Roberto Bonzio durante l'incontro a Tiscali ha raccontato la sua esperienza e un bel mucchio di storie interessanti: di italiani all'estero, di far west, di hippie, di metodo scientifico e di determinazione nel perseguire i propri obiettivi. Storie raccontate molto bene, pochi particolari, niente gazzosa, slide essenziali, tono di voce adeguato alla circostanza (a tratti mi ha ricordato Carlo Lucarelli) e capacità di coinvolgere il pubblico. Storie come quella della famiglia Jacuzzi e dell'invenzione della vasca idromassaggio legata alla condizione di disabilità di uno dei figli dell'inventore. O curiose fusioni tra cultura e tecnologia come quella dell'Index Thomisticus di Padre Roberto Busa.
E alcune pillole di saggezza: «La vera chiave del successo è saper rimodellare», «Paraculo è l'acronimo di Paralyzing Asset Risk Avoiding Competence Undefined Low Objection», «I giovani devono partire per scoprire il mondo sé stessi», «Senza modelli positivi non si cambia nulla», «Chi fa innovazione ha il dovere di andare avanti e raccontare», «La scuola uccide la creatività», «Se non si rischia non si cambia: l'errore, il fallimento, non sono una sconfitta ma una palestra per il successo». Su quest'ultimo punto il libro consigliato è Elogio dell'errore. Perché i grandi successi iniziano sempre da un fallimento di Tim Harford
La Sindrome del Palio di Siena (non vince il migliore ma il più fortunato) e la Sindrome della pastasciutta (la straordinaria tradizione di cultura e civiltà italiana è per molti un freno, una conservazione che porta all'immobilismo) le ha descritte lui stesso quattro mesi fa: Il palio, la pastasciutta e l'innovazione bloccata. Roberto Bonzio mi piace perché non sopporta le ipocrisie e le evidenzia opportunamente. Così, per cercare di inquadrare meglio il tema, gli ho posto tre domande.
Ecco l'intervista:
Roberto, perché chi fa innovazione ha il dovere di raccontarla?
«Innanzitutto perché la condivisione è un aspetto cruciale, che a lungo è stato sottovalutato. Oggi vediamo che se le aziende, anche le più eccellenti, non raccontano quello che fanno perdono la sfida con chi su uno scenario globale sa far uso della narrazione, sull'azienda ed i propri prodotti. Raccontare, creare una certa suggestione intorno al prodotto e a chi lo realizza, non è un fronzolo ma è un aspetto fondamentale. Come dice Lorenzo Thione, passato da Bing a un musical a Broadway, l'imprenditore deve essere un narratore, uno storyteller: saper conquistare chi deve investire su di lui, chi lavora con lui e degli stessi clienti. Ma chi fa innovazione deve essere orgoglioso di raccontare i propri valori, la propria storia, ma anche l'eticità della sua canta produttiva e lo stesso sapersi destreggiare in uno scenario globale, perché trasparenza, rischio, eticità, velocità sono i valori di cui ha bisogno non solo l'economia ma pure la società italiana.»
Istinto o preparazione?
«Farsi guidare, come diceva Steve Jobs, da cuore e istinto spesso funziona. Ma occorre anche ragionarci. Ho fatto oltre cose d'istinto, scoprendo poi che era la strada giusta. Prima cosa: la personalizzazione. Chi investe in una startup ad esempio non investe tanto sull'idea quando sulle persone, e a volte bellissime idee naufragano per l'incapacità di saperle adattare strada facendo, mentre altre che sono solo buone, sostenute da persone capaci di recepir e adattarsi hanno successo, magari con un prodotto molto diverso dall'idea iniziale. Personalizzare nel mio caso ha significato diventar parte delle storie che racconto. E dunque, secondo: metterci la faccia. I social media ti consentono di godere di un'ampia reputazione, ma devi gestire un'interazione con chi ti segue, accettare le critiche, non pensare di poter parlare da un piedistallo. Devi metterti in gioco, devi essere sicuro ma senza strafare. E questo riguarda anche la comunicazione aziendale bisogna capire che non si può controllare tutto. Oggi se commetti gravi errori non li puoi nascondere: in qualche modo escono fuori e non si possono assolutamente nascondere. Ammettere gli errori, muoversi con umiltà è indispensabile»
Hai sottolineato che l'errore e il fallimento non devono opprimere l'innovazione, in che senso?
«Questo è particolarmente grave in Italia: qui si tende a cercare una condizione di tranquillità, invece non c'è innnovazione, non c'è vero cambiamento se non prevedi che si possa fallire e ricostruire sulla base di quell'errore. Come dice Tim Harford, autore del bellissimo Elogio dell'Errore l'unica strada è quella che ci mostra la ricerca scientifica con il continuo affinare e correggere il tiro sulla base degli errori precedenti. E questa è una delle questioni chiave della Silicon Valley: se tentare una strada nuova e fallire viene considerato un titolo di merito (a Stanford ci sono corsi nei quali i docenti devono essere incappati almeno in un fallimento con una startup), in Italia il fallimento è visto come un pericolo da evitare, compiacendosi magari del fallimento altrui, che viene accolto magari con un sospiro di sollievo: ho fatto bene a non rischiare e restarmene sul divano... la propensione al rischio è frenata dal paraculismo. Ci vuole una Rivoluzione Culturale per cambiare tutto questo. Con le storie che racconto spero d'ispirare e dare il mio piccolo contributo».

Roberto Bonzio a Tiscali insieme a Monica Mameli (ciuffo "out of the box")



Andrea Mameli
blog Linguaggio Macchina 
19 Luglio 2014

Fare il cantastorie mi ha cambiato la vita (Italiani di Frontiera su Economyup")


Ecco come Roberto Bonzio spiega il suo progetto:

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