Tra l'infinito di Giordano Bruno e il ricettacolo di barbarie: è La mia maledizione, di Alessandro De Roma


Una storia ambientata a Nuoro, con qualche incursione a Cagliari e Oristano. Ma non è una storia "sarda": l'ultimo romanzo di Alessandro De Roma "La mia maledizione" (Einaudi, 2014) racconta un'amicizia impossibile che si potrebbe  ambientare in qualsiasi città del mondo. Però la Sardegna c'è, con le sue contraddizioni e i suoi miti, la sua bellezza e i suoi orrori. Ma è una Sardegna universale, che fa da sfondo a una vicenda complessa e avvincente. Il romanzo segue in prima persona la vita di Emilio Corona, perennemente a disagio («creatura di un mondo diverso gettata per palese ingiustizia in un ricettacolo di barbarie»), e il suo rapporto conflittuale con Pasquale Cosseddu: uno che per i compagni di classe è «la Fogna» ma è l'unico con cui Emilio riesce in qualche modo a instaurare un dialogo. Ma quando il protagonista riflette sulla condizione di entrambi emerge l'insanabile discordanza: "quello che per lui era il riscatto, ossia essere come tutti gli altri, si rivelava per me la sua più piena decadenza". Una storia fatta di particolari, a tratti geniali, e di una robusta intelaiatura narrativa. La sintesi estrema di questo libro è racchiusa in un pensiero di Emilio: "accade che certi momenti di per sé insignificanti diventino un groviglio che raccoglie, quando meno te l'aspetti, mille altre cose, se non l'esistenza intera".
Ma per capire meglio cosa c'è dietro questo libro ho interpellato direttamente l'autore.
Alessandro, come hai costruito la storia di Emilio Corona e di Pasquale Cosseddu? Un pezzo alla volta, in anni di meditazioni, oppure una fulminante intuizione alla quale hai agganciato dettagli su dettagli?
«È stata più un'intuizione, sulla quale ho lavorato poi soprattutto per eliminare certe questioni inutili: nella prima versione del libro ci si dilungava assai anche sulla famiglia della moglie di Emilio, mentre il nucleo originario dei Corona è nato più o meno così come lo si legge adesso.»
Avevi in mente qualche significato particolare per quel "senza confini" pronunciato nel romanzo da Cosseddu ?
«Diciamo che ho cercato di immaginare un argomento che tra tutti quelli studiati a scuola potesse "infiammarlo" e l'infinito di Bruno mi pareva l'ideale, se questa è la storia di due ragazzi che hanno il sogno impossibile di essere belli e forti come alberi allora bisogna poter sognare di fondersi con tutto e trovare nella natura l'antidoto ai piccoli interessi privati che in questo libro costruiscono una gabbia: i rapporti sociali, gli sguardi degli altri, le parole, perfino gli odori percepiti. Senza confini, per Cosseddu, vuol dire libero di amare, libero di fondermi con il mondo, accettato, anzi amato.»
C'è un passaggio del libro - "sarebbe la vera svolta per l'umanità se ogni uomo riuscisse a creare qualcosa di suo dal di dentro, come fanno gli alberi e non a consumare e consumare e basta?" - che ai miei occhi appare come la sintesi estrema della condizione umana: costruisce mettendo insieme materiali di origine vegetale, animale e minerale e di proprio mette solo due cose: il pensiero e il lavoro muscolare. Cosa racchiude questo auspicio?
«Il sogno di poter stare al mondo senza consumarlo, lasciarlo più ricco di come lo abbiamo trovato. è la nuova sfida per il genere umano: o si trova un modo per vincerla o non si può stare al mondo. è forse la fase cruciale della nostra evoluzione, lo stadio morale: o impariamo a diventare "migliori" o non potremo più stare al mondo.»
A volte il sardo si lascia travolgere dalla "retorica della nostalgia della Sardegna autentica". Secondo te è una malattia inguaribile o esiste qualche rimedio?
«Il rimedio forse è viaggiare con curiosità, non con l'astio di chi cerca altrove sempre una sfida da vincere, quasi in un concorso di bellezza etnico-turistico. Viaggiare per vedere altre cose e poi tornare per vedere meglio se stessi, con occhi puliti. Si può viaggiare anche stando in casa: chiedere ai forestieri, ascoltare chi è stato in altri luoghi, farsi raccontare altre soluzioni e altri problemi, senza il preconcetto di considerarsi sempre migliori (o anche peggiori) prima di aver davvero ascoltato.»
Che tipo di riscontri hai avuto dai tuoi ex alunni di Nuoro?
«Che io sappia non molti. Ho ricevuto qualche messaggio di ex-alunni che lo hanno acquistato e presumo anche letto. A Nuoro ho fatto una sola presetazione, ma c'era pochissima gente e una mia ex-alunna tra gli altri. Credo per la verità che la gran parte dei miei ex-alunni siano in giro per il mondo a studiare o lavorare o cercare lavoro. Ho comunque un bellissimo ricordo di loro.»

Andrea Mameli
blog Linguaggio Macchina
12 Agosto 2014

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