Ecco il nostro antenato. Eccezionale scoperta in Sudafrica: i fossili di una nuova specie (11 Settembre 2015)
Altezza: un metro e mezzo. Peso: 45 chili. Abilità: svelto nella corsa, agile sugli alberi. Cervello: poco sviluppato. Una scimmia? No, un nuovo tipo di umano, con caratteristiche simili a noi Sapiens, come la quella di seppellire i morti della propria specie.
Questo sorprendente Homo naledi, scoperto in Sudafrica, da ricercatori dell'Università Witswaterstrand di Johannesburg, dalla National Geographic Society e del Dipartimento per la Scienza e la Tecnologia/National Research Foundation del Sudafrica, fu rinvenuto nella grotta Rising Star, a una cinquantina di chilometri dalla capitale Pretoria. Un evento scientifico straordinario, sia per la quantità dei reperti (con oltre 1.500 parti fossili è il più grande ritrovamento di ossa di ominini), sia per l'importanza della scoperta: 15 individui di questa nuova specie (altri verranno alla luce successivamente).
Per il paleontologo Lee Berger, coordinatore del progetto di recupero: «Abbiamo a disposizione esemplari multipli di quasi tutte le ossa del suo corpo, quindi la specie fossile Homo naledi è già diventata la meglio conosciuta nella linea evolutiva dell'uomo».
Studiando lo scheletro completo (e perfettamente conservato) di bambino ominide Lee Berger e i suoi collaboratori ritengono di doverlo collocare in un livello evolutivo intermedio tra l’australopiteco, circa 4 milioni di anni fa, e l’homo habilis, il primo ominide noto, circa 2,5 milioni di anni circa. C'è già chi ipotizza che potrebbe trattarsi dell'anello mancante tra Australopithecus e Homo habilis.
Il sistema di grotte di Sterkfontein nella Provincia di Gauteng in Sudafrica è un sito archeologico designato Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO (1999) e Patrimonio nazionale (2004) di eccezionale importanza perché vanta la maggiore concentrazione al mondo di fossili di primi ominidi scoperti. La zona del ritrovamento era quindi molto nota ai paleontologi e alcuni di loro vi avevano riconosciuto le qualità della "culla dell'umanità". Ma i fossili giacevano in una cavità accessibile solo tramite un pozzo strettissimo, per superare il quale sono stati scelti speleologi particolarmente magri. Basterebbe questo particolare a far cogliere l'eccezionalità della scoperta, che sarà presentata ampiamente, con testi e immagini, sul numero di Ottobre della rivista National Geographic Italia. I primi due studi su Homo naledi sono stati pubblicatisulla rivista scientifica eLife.
Per il paleontologo dell'università di Cagliari Gian Luigi Pillola «si tratta di uno di quei lavori solidi, che saranno di riferimento per l’accuratezza delle descrizioni, l’abbondanza di resti scheletrici finora recuperati e, in maniera generale, per il modo in cui è stato affrontato il lavoro. Anche l’ampia discussione e i confronti (diagnosi differenziali) con altri resti di ominidi conosciuti in letteratura sono rimarchevoli in quanto, in molti casi, sono stati visionati i tipi delle rispettive specie di Homo. L’abbondanza di dati morfometrici, disponibili anche con dati supplementari in files separati, e le ricostruzioni virtuali completano egregiamente l’insieme».
Si tratta quindi di una scoperta di enorme importanza?
«Sfortunatamente non sono stati forniti dati precisi sull’età dei resti descritti. Le possibili relazioni filogenetiche saranno certamente argomento di nuovi lavori: i caratteri morfologici riscontrati in Homo naledi sono in parte più simili a specie di Australopithecus, come ad esempio le dimensioni del cervello, mentre altri sono più simili a quelli mostrati da Homo. Anche se il tempo nel quale vissero specie ormai scomparse non sempre permette di ipotizzare eventuali rapporti antenato/discendente. E questo anche in virtù delle eterocronie di sviluppo e della pressione selettiva, si tratta comunque di un ritrovamento eccezionale che permette di situare H. nadeli fra i primi rappresentanti del genere Homo, fra i quali H. habilis, H. rudolfensis e H. erectus».
ANDREA MAMELI
Articolo pubblicato l'11 Settembre 2015 sul quotidiano L'Unione Sarda
Questo sorprendente Homo naledi, scoperto in Sudafrica, da ricercatori dell'Università Witswaterstrand di Johannesburg, dalla National Geographic Society e del Dipartimento per la Scienza e la Tecnologia/National Research Foundation del Sudafrica, fu rinvenuto nella grotta Rising Star, a una cinquantina di chilometri dalla capitale Pretoria. Un evento scientifico straordinario, sia per la quantità dei reperti (con oltre 1.500 parti fossili è il più grande ritrovamento di ossa di ominini), sia per l'importanza della scoperta: 15 individui di questa nuova specie (altri verranno alla luce successivamente).
Per il paleontologo Lee Berger, coordinatore del progetto di recupero: «Abbiamo a disposizione esemplari multipli di quasi tutte le ossa del suo corpo, quindi la specie fossile Homo naledi è già diventata la meglio conosciuta nella linea evolutiva dell'uomo».
Studiando lo scheletro completo (e perfettamente conservato) di bambino ominide Lee Berger e i suoi collaboratori ritengono di doverlo collocare in un livello evolutivo intermedio tra l’australopiteco, circa 4 milioni di anni fa, e l’homo habilis, il primo ominide noto, circa 2,5 milioni di anni circa. C'è già chi ipotizza che potrebbe trattarsi dell'anello mancante tra Australopithecus e Homo habilis.
Il sistema di grotte di Sterkfontein nella Provincia di Gauteng in Sudafrica è un sito archeologico designato Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO (1999) e Patrimonio nazionale (2004) di eccezionale importanza perché vanta la maggiore concentrazione al mondo di fossili di primi ominidi scoperti. La zona del ritrovamento era quindi molto nota ai paleontologi e alcuni di loro vi avevano riconosciuto le qualità della "culla dell'umanità". Ma i fossili giacevano in una cavità accessibile solo tramite un pozzo strettissimo, per superare il quale sono stati scelti speleologi particolarmente magri. Basterebbe questo particolare a far cogliere l'eccezionalità della scoperta, che sarà presentata ampiamente, con testi e immagini, sul numero di Ottobre della rivista National Geographic Italia. I primi due studi su Homo naledi sono stati pubblicatisulla rivista scientifica eLife.
Per il paleontologo dell'università di Cagliari Gian Luigi Pillola «si tratta di uno di quei lavori solidi, che saranno di riferimento per l’accuratezza delle descrizioni, l’abbondanza di resti scheletrici finora recuperati e, in maniera generale, per il modo in cui è stato affrontato il lavoro. Anche l’ampia discussione e i confronti (diagnosi differenziali) con altri resti di ominidi conosciuti in letteratura sono rimarchevoli in quanto, in molti casi, sono stati visionati i tipi delle rispettive specie di Homo. L’abbondanza di dati morfometrici, disponibili anche con dati supplementari in files separati, e le ricostruzioni virtuali completano egregiamente l’insieme».
Si tratta quindi di una scoperta di enorme importanza?
«Sfortunatamente non sono stati forniti dati precisi sull’età dei resti descritti. Le possibili relazioni filogenetiche saranno certamente argomento di nuovi lavori: i caratteri morfologici riscontrati in Homo naledi sono in parte più simili a specie di Australopithecus, come ad esempio le dimensioni del cervello, mentre altri sono più simili a quelli mostrati da Homo. Anche se il tempo nel quale vissero specie ormai scomparse non sempre permette di ipotizzare eventuali rapporti antenato/discendente. E questo anche in virtù delle eterocronie di sviluppo e della pressione selettiva, si tratta comunque di un ritrovamento eccezionale che permette di situare H. nadeli fra i primi rappresentanti del genere Homo, fra i quali H. habilis, H. rudolfensis e H. erectus».
ANDREA MAMELI
Articolo pubblicato l'11 Settembre 2015 sul quotidiano L'Unione Sarda
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