Social media, una trappola? (La Collina, Luglio 2016)

Social media, una trappola? Parla Renato Curcio
Andrea Mameli (La Collina, Luglio 2016)

Ci sono libri che non dicono niente di nuovo. Ce ne sono altri che raccontano qualcosa ma non aggiungono granché. E poi ci sono quelli che aprono squarci di senso sul mondo. “L'impero virtuale”, presentato il 30 Marzo 2016 a La Collina, è un libro del terzo tipo, perché scava in un fenomeno di cui apprezziamo, se va bene, solo la superficie.
Il volume, come ha spiegato l'autore, Renato Curcio, da un percorso di ricerca centrato sul mondo del lavoro: «Osserviamo che è in atto un profondissimo cambiamento generato dalle tecnologie digitali, che muta rapidamente e non consente ai lavoratori di adeguarsi. Così abbiamo raccolto storie dall'interno del mondo del lavoro, riflettendo sulle mutazioni cui è soggetto il nostro immaginario.»
Il sottotitolo “Colonizzazione dell'immaginario e controllo sociale” a cosa allude?
«L'immaginario in questo tipo di analisi è l'entrata in campo di una nuova modalità di pensare il mondo. Nel Novecento abbiamo visto molti processi di colonizzazione del mondo, che consistevano nel prendere un pezzo di territorio e trasformarlo per estrarne materiali e per imporre un immaginario. Quale è stato il limite di questo percorso? Se colonizzi un territorio e la gente non è d'accordo allora diventa un territorio di guerra. Più di recente si è passati a catturare le mappe concettuali delle persone, senza armi. Oggi la colonizzazione passa attraverso la disseminazione del territorio di oggetti digitali, i quali per funzionare richiedono un adattamento delle tue mappe concettuali alle loro. E diventi uno strumento: se perdiamo la capacità di immaginare o la consegnamo a uno strumento, allora entriamo in un progressivo processo di colonizzazione. Poi potrai andare avanti nel mondo solo attraverso questo circuito perverso di tipo ricorsivo: più lo usi e più le tue libertà sono limitate. E più lo usi più produci qualcosa di cui un giorno potrai seriamente pentirti. È il funzionamento di aziende che offrono servizi che non paghiamo ma che sono diventate potentissime.»
Comunicare è essenziale. Ma con quali conseguenze?
«Prendiamo i social: in un mondo sempre più privo di dimensioni comunitarie e in cui tutto è a pagamento, Facebook, ad esempio, ti offre la possibilità di comunicare e di socializzare gratuitamente. Ma l'offerta di connetterti con il mondo non è quella di accrescere le tue relazioni ma le tue connessioni. Un'ideologia forte di Facebook è “pubblicate tutto, tanto non avete niente da nascondere”, così si sviluppa un gigantesco parco fotografico di miliardi di immagini che consente di costruire enormi banche dati sulle persone.»
Come funziona la microfisica del potere?
«Per capire un dispositivo dobbiamo capire la sua microfisica. Ad esempio quando fai una ricerca con Google produci un documento. E Google ne produce un secondo in cui sono riportati i dettagli della tua ricerca, lo conserva e lo collega al primo. La microfisica del potere è sia la produzione dei documenti che la possibilità di risalire all'autore della domanda.»
C'è poi il dilemma di Vint Cerf: è meglio uno stato senza privacy che così sarebbe in grado di garantire il massimo della sicurezza oppure il contrario?
«Questa è una domanda cruciale. La sicurezza è un mito: se esiste una tecnologia che chiude una porta ne esiste sempre una che la apre. È questione di tempo. E di soldi. Allora cosa è la privacy? Intanto perché siamo costretti a rappresentare un problema con un inglesismo. Perché non parliamo di protezione dei dati personali? Questo problema è diventato molto serio perché la strategia di controllo, grazie alla possibilità di reperire informazioni su qualunque cittadino, ha cambiato segno ed è diventata una strategia preventiva. Come viene detto in quel dilemma: è ovvio che se un insieme di stati ha dati su tutti allora la sicurezza è massima. Però sicurezza massima significa anche controllo massimo: una democrazia autoritaria di tipo tecnologico.»
Quanto conta l'esperienza del carcere in queste riflessioni su sicurezza e libertà?
«Il carcere può aver contato molto perché in quelle condizioni vivi sotto il controllo assoluto. L'idea è che sai di essere controllato e allora ti autocontrollerai. Su Internet il gioco è a carte coperte. Facebook e gli altri social ti invitano a donare il più possibile le tue informazioni. È un controllo sociale. E mi sembra molto più grave.»


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