«Ecco il nostro wormhole, cunicolo spazio-temporale» (26 marzo 2017)

Giorni fa si è diffusa una notizia di quelle che sembrano confermare la previsione più affascinante dell’intera fantascienza, se si eccettua l’incontro con gli alieni: la possibilità di viaggiare nel tempo. Ma seguendo il primo comandamento del giornalismo e quindi andando a leggere la pubblicazione scientifica da cui tutta questa bolgia mediatica ha avuto origine si scopre altro. E parlandone con il coordinatore della ricerca in questione i nostri sospetti trovano conferma: non di macchina del tempo si tratta. Detto questo la scoperta è comunque di quelle che possono avere ripercussioni tecnologiche significative nella nostra vita. A conferma del fatto, a nostro avviso inoppugnabile, che la ricerca scientifica non è mai esercizio vano.
Partiamo dai fatti. Un gruppo internazionale di ricercatori ha dimostrato che è possibile ricreare in laboratorio una struttura analoga a quella prevista nel 1935 da Albert Einstein e Nathan Rosen, il cosiddetto wormhole o cunicolo spazio-temporale. Per capire di cosa stiamo parlando dobbiamo fare un piccolo sforzo e immaginare l’universo come una mela: un verme che la attraversa percorre un tragitto inferiore rispetto a quello che farebbe strisciandoci sopra. Quel tunnel scavato dal verme è proprio il nostro wormhole.
Ora, i ricercatori coordinati dal fisico Salvatore Capozziello, docente all’Università Federico II di Napoli e ricercatore dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) nonché presidente delle Società italiana di relatività generale e fisica della gravitazione (Sigrav), hanno studiato un fenomeno analogo alla scorciatoia da un punto all’altro dell’universo. Lo studio, descritto su ArXiv e in via di pubblicazione sulla rivista scientifica International Journal of Modern Physics D, dimostra la possibilità di trasmettere segnali elettrici in maniera estremamente precisa da una parte all’altra di una struttura microscopica, che è un modello analogo di wormhole.
Professor Capozziello, allora non è vero che siamo arrivati alla macchina del tempo?
«L’unica certezza è che questo è un wormhole per una struttura di grafene, che permette il passaggio di corrente elettrica con estrema precisione. Non è una macchina del tempo. Da qui a costruirne una potrebbero passare 100 anni.»
Cosa avete ottenuto?
«Il problema da cui siamo partiti è spiegare l’esistenza di strutture analoghe ai wormhole che rispettino il principio di conservazione dell’energia. Naturalmente è impossibile riprodurre in laboratorio strutture gravitazionali estremamente energetiche e massicce, quindi ci siamo posti la domanda se esistono strutture simili, ma alle dimensioni e alle energie di laboratorio. Einstein e Rosen hanno ipotizzato l’esistenza di questi tunnel spazio temporali proprio per non violare le leggi di conservazione ma la topologia dello spazio tempo. Il nostro dimostratore consiste nel collegare due sottilissimi fogli di grafene, materiale estremamente sottile, malleabile e molto simmetrico, grazie alle sue strutture a sei legami, con un nanotubo. Insieme ai ricercatori guidati a Napoli dal professor Francesco Tafuri, abbiamo osservato che quando il grafene è puro il sistema non permette il passaggio di corrente: nulla entra e nulla esce, proprio come in un buco nero. Se però introduciamo delle imperfezioni nella struttura cristallina, allora il sistema si attiva e il nanotubo viene percorso da correnti superconduttrici. Questi difetti trasformano i 6 legami di cui è fatta la struttura a nido d’ape del grafene, in una struttura a 5 legami o a 7 legami. Nel caso di un legame in meno rispetto al grafene standard otteniamo una corrente elettrica negativa. Con un legame in più la corrente è positiva. Se proiettiamo questo risultato alle scale astrofisiche, allora abbiamo trovato il modo per far passare informazione attraverso il wormhole. In altre parole, controllando i difetti del grafene possiamo controllare il segno dell’informazione: possiamo cioè comunicare con un osservatore che si trova dall’altra parte.»
Quali applicazioni si possono immaginare?
«Il fatto che abbiamo a che fare con correnti autoindotte, quindi generate dalla geometria del sistema, potrebbe dar luogo a molteplici sviluppi. Intanto possiamo ottenere un sistema superconduttore con trasmissione di corrente a resistenza zero, contrariamente a quanto accade nei sistemi elettronici attuali. Secondo vantaggio: stiamo usando carbonio: un elemento reperibilissimo in natura.»
Andrea Mameli
Articolo pubblicato il2 6 marzo 2017 nella pagina della cultura del quotidiano L'Unione Sarda

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