La democrazia delle api. Gli insetti ci insegnano cura, bellezza, ecologia (7 febbraio 2017)


Tra la frivola Ape Maia e la seria Apis Mellifera si aprono un bel po' di universi da conoscere. È la constatazione, solo in apparenza banale, con la quale Daniele Barbieri, firma storica di questo giornale, chiude la prefazione al libro di Barbara Bonomi Romagnoli “Bee Happy. Storie di alveari, mieli e apiculture”. E che non sia banale lo dice anche il Nobel per la Medicina conferito nel 1973 a Karl von Frisch, il biologo austriaco che decifrò le regole di comunicazione delle api. 
Barbara Bonomi Romagnoli, giornalista e apicultrice “con la passione per le api e i femminismi” (e lo di vede quando usa la parola insette), si è avvicinata alle api grazie all'esempio del padre che a sua volta aveva appreso l’arte da uno zio, prete benedettino e apicultore.  
Perché nel libro non si parla di apicultura ma di apiculture?
«Uso il plurale perché la comunità apistica umana è molto variegata: migliaia di donne e uomini molto differenti per storie, esperienze e età che, soprattutto negli ultimi anni, sono arrivati a occuparsi di api con alle spalle professioni diverse. La nostra generazione di quarantenni a un certo punto ha pensato a dei Piani B e questo arricchisce il mondo apistico anche di competenze e visioni nuove. Ad esempio, si è creata una rete nazionale che lavora su apicoltura e didattica, perché le api costituiscano un universo valoriale importante per le nuove generazioni: si parla di protezione dell'ambiente, di redistribuzione del lavoro di cura, di bellezza, senza le api e il loro lavoro di impollinazione non avremmo la varietà di fiori che abbiamo. E mi piace usare il plurale anche perché al di là di alcune tecniche apistiche comuni, questo mondo rispecchia, come in altre categorie umane, un po' tutto l'arco costituzionale. Ecco, in questo libro, racconto quella che considero la "società civile" apistica, attenta ai temi dell'ecologia, dell'inclusione, dello scambio di saperi.»  
Cosa resta ancora da studiare sulle api?
«Non si conosce ancora perfettamente il funzionamento della "mente collettiva", quel processo per cui nell'alveare le decisioni non le prendono le singole insette ma la comunità tutta, così come il loro complesso sistema di scambio di informazioni o quali emozioni o sentimenti esse provino. Sappiamo con certezza però che l'uso di molti pesticidi ha effetti pesanti sul loro sistema cognitivo e riproduttivo, per questo la comunità apistica è da anni impegnata anche a livello europeo per far sì che vengano vietati. Abbiamo capito che nell'avvicinarci a queste insette è importante non cercare ostinatamente di ritrovare nell'alveare le nostre dinamiche umane. Il luogo comune vuole un mondo di api dominato da una regina e fino alla scoperta del microscopio si parlava di re, non fosse mai una femmina come capa! Invece è davvero una comunità molto democratica e che vive di continui scambi, simbolici e materiali.»  
Il libro rende un doveroso omaggio a Cristina Caboni, autrice di un romanzo di successo "La custode del miele delle api" e dedica alcune pagine alla Sardegna. Cosa c’è di particolare nella nostra isola, per chi ama l’Apis Mellifera?
«Della Sardegna mi ha affascinato la storia delle donne che cantavano alle api: Cristina Caboni mi ha raccontato di questa tradizione delle donne sarde che si avvicinavano agli alveari cantando una melodia che in qualche modo "rassicurava" le insette, era una storia intrigante anche perché ho sperimentato su campo che le api sentono i nostri ormoni e quando lavoro con loro nei giorni del ciclo mestruale mi si avvicinano pacatamente quasi quell'ormone dicesse loro qualcosa. Aver avuto prova di questo canto dalla zia del collega Manias è stata una grande emozione, rafforzata dall'aver visto questa donna di circa 90 anni ancora desiderosa di mettersi al lavoro in laboratorio, quando l'ho conosciuta era tempo di smielatura e lei contenta dietro il banco da lavoro.»

ANDREA MAMELI
articolo pubblicato il 7 febbraio 2017 nella pagina della Cultura del quotidiano L'Unione Sarda

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