L'albero di Foghesu, le foto e la memoria sbiadita

Cosa sarebbe la nostra memoria senza le fotografie?
Sarebbe forse più debole, perché non potrebbe avvalersi di immagini di rinforzo?
Oppure sarebbe più forte, in quanto più allenata a farne a meno?
Non ho elementi per analizzare la seconda ipotesi e quindi mi fermo alla prima.
Senza le immagini fotografiche alcuni dei nostri ricordi si deformano, sfumano, scompaiono. A volte un ricordo persiste esclusivamente (o quasi) perché viene rigenerato dalle fotografie. Altre volte al ricordo dell’evento si sovrappone al ricordo dalla fotografia dell’evento e l'immagine, stampata o digitale, assume un ruolo cruciale.
A me è successo qualcosa di simile con questo autoscatto del 27 Ottobre 1988 (fotocamera reflex: Petri MF-101, obiettivo: 50 mm, pellicola: Kodachrome).
Una foto che ha al centro una piccola catasta di legname, a destra, vicino al portone di casa c'è mio padre, Tito, e a sinistra, vicino alla finestra ci sono io.
Qualche giorno fa ho ritrovato la foto in un cassetto e ho ricordato di colpo tutta la storia: ci regalarono un albero abbattuto da un fulmine, che fu scaricato di fronte alla casa di mio nonno (anzi, di mio bisnonno) a Foghesu (Perdasdefogu) nella quale ci eravamo recati appositamente da Cagliari, io e babbo.
Lavorammo quei tronchi con l'accetta e il segaccio fino a ridurre il tutto alle dimensioni adatte all'uso: scaldare l'ambiente della casa per i pochi giorni della nostra permanenza.
Rispetto a questa storia la mia memoria era sinceramente abbastanza sbiadita, poi riguardando la foto mi sono tornate in mente un sacco di cose, in particolare due sensazioni tattili: il maglione di lana e la corteccia dell'albero.
Chi mi sa spiegare tutto questo?

P.S. Oggi è morto mio padre. Lo ringrazio infinitamente per avermi fatto vivere esperienze come questa e per avermi fatto apprezzare le cose semplici (o presunte tali). E in generale lo ringrazio per tutto quello che mi ha trasmesso: curiosità, onestà, ironia, amore per la Sardegna, passione per la lettura, voglia di non accontentarsi della superficie delle cose. E altro ancora.
Tito ha esercitato per 40 anni con passione e competenza il mestiere che fu già di suo padre (Nonno Felice): il Maestro Elementare. A mio avviso il suo contributo alla società lo ha fornito abbondantemente. Lo testimoniano anche le lettere di auguri che ha continuato a ricevere da alcuni dei suoi ex alunni per quasi vent'anni.
Che la terra gli sia finalmente lieve.
Andrea Mameli 16 Novembre 2012
Che la terra ti sia finalmente lieve Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti, di parole,
di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti.
Ho bisogno di poesia, questa magia che brucia la pesantezza delle parole.
Che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.
(Alda Merini, Terra d’Amore, 2003)

P.S. Due episodi successivi meritano di essere inseriti in questo post:

Una foto ricevuta: Quando in classe gli scolari erano più di 40 (Linguaggio Macchina, 15 ottobre 2013)

Un ricordo bellissimo:

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