Lo scienziato che piantò un seme diventato arbusto (L'Unione Sarda 19 Aprile 2007)

Pilia Lo scienziato che piantò un seme diventato arbusto
Il genetista ogliastrino Giuseppe Pilia nel ricordo del suo vecchio gruppo di lavoro
Loro dicono di appartenere al "Gruppo Pilia". A significare l'esistenza di una squadra compatta anche se militano in campionati diversi e nonostante l'assenza del coach: il genetista Giuseppe Pilia, stroncato a 43 anni da una malattia giunta ormai a uno stadio inguaribile. A due anni dalla scomparsa, il ricordo dell'opera scientifica del ricercatore di Lanusei è ancora vivo. E con esso la determinazione di quel gruppo a continuare le sue ricerche. L'attività scientifica di Pilia, iniziata nell'87 con il genetista Antonio Cao, si rafforza con la permanenza di 5 anni negli Usa, dove Pilia scopre il gene GPC3, implicato nella sindrome da iperaccrescimento Simpson Golabi Behmel. Rientrato a Cagliari, Pilia fonda dal nulla un laboratorio per lo studio delle malattie monogeniche rare. Sotto la sua direzione il nuovo gruppo scopre l'origine della sindrome Blefarofimosi ptosi epicanto inverso, associata alla menopausa precoce: le mutazioni nel gene FOXL2. Molti di coloro che lavorarono accanto allo scienziato ogliastrino continuano a conseguire importanti risultati scientifici (come l'individuazione del gene alla base della sindrome di Crisponi e di quello implicato nell'asma allergico) a conferma della validità del progetto iniziale. Ne abbiamo parlato con due allieve di Pilia: Laura Crisponi e Manuela Uda, genetiste dell'INN-CNR di Cagliari (l'Istituto di Neurogenetica e Neurofarmacologia, diretto da Antonio Cao). E con Francesco Cucca, docente di Genetica Medica all'Università di Sassari, compagno di lavoro dello scienziato di Lanusei.
Laura Crisponi, cosa vi ha insegnato Giuseppe Pilia?
«Era preparatissimo, riusciva a semplificare anche i problemi più difficili e aveva un intuito che lo rendeva speciale. Era dotato di un forte carisma, ma ci ha insegnato anche l'umiltà nell'affrontare il lavoro e la necessità della massima collaborazione tra tutti. Per queste ragioni ci ha trasmesso una mentalità vincente: anche l'esperimento meno significativo può essere determinante per l'obiettivo finale».
Era un bravo allenatore?
«Una delle doti di Giuseppe era riuscire a interpretare gli animi delle persone. Per questo otteneva sempre il massimo dai suoi collaboratori. All'interno del gruppo di ricerca voleva persone con intelligenza indipendente, non suoi cloni. A tutti dava sempre l'opportunità di crescere in maniera responsabile e sentirsi un elemento essenziale del gruppo, in particolare rendendosi autonomo nella organizzazione del proprio progetto di ricerca, sia dal punto di vista scientifico che di gestione e inserimento di nuovi collaboratori. Si circondava sempre di persone leali e motivate, in virtù di una spiccata capacità di raccogliere la fiducia dei propri collaboratori».
Amava il suo lavoro?
«Il suo entusiasmo era trascinante: Giuseppe ci ha insegnato che la volontà e l'impegno sono i motori della ricerca e che non bisogna mai lasciarsi abbattere. Con lui si aveva sempre l'impressione che niente fosse impossibile. Ci ha insegnato a utilizzare sempre la testa ma anche a lavorare con il cuore. Durante la malattia non ha mai mostrato sconforto, motivando il gruppo con entusiasmo e passione».
Manuela Uda, tra le ricerche condotte da Giuseppe Pilia quali stanno continuando a dare frutti?
«Giuseppe riteneva lo studio delle malattie rare importante anche per acquisire informazioni utili nel trattamento di patologie molto comuni. Lo dimostra il fatto che la scoperta del gene FOXL2 ha permesso di comprendere i meccanismi generali alla base della formazione dell'ovaio con implicazioni importanti per la cura della sterilità femminile. Un altro successo legato all'intuito di Giuseppe è ascrivibile a uno studio sull'asma allergico in Sardegna: il lavoro che ha visto la collaborazione di diverse figure professionali e di vari centri pneumologici in tutta l'isola è durato quasi 11 anni e ha portato, poche settimane fa, alla scoperta del coinvolgimento del gene IRAK-M nell'asma».
Era molto impegnato anche nell'analisi del patrimonio genetico dei sardi?
«Tra le sue attività scientifiche riveste un'importanza predominante il progetto ProgeNIA: questo studio dei tratti genetici associati all'invecchiamento, sviluppato con l'Istituto di Sanità degli Stati Uniti (NIA-NIH), è iniziato nel 2001 e doveva concludersi nel 2005. Ma grazie alla generosa risposta della popolazione ogliastrina è stato rifinanziato fino al 2011. Giuseppe ha sempre creduto in questo progetto e ha fatto in modo che partisse da Lanusei, la sua città natale. Anche in questo caso le sue intuizioni stanno dando i primi frutti, con l'individuazione di geni associati a tratti legati all'invecchiamento. L'ultimo risultato riguarda la recente scoperta del gene CRLF1 coinvolto nella sindrome di Crisponi, malattia rara diffusa prevalentemente in Sardegna».
Francesco Cucca, cosa rimane di Pilia?
«Moltissimo. Quando si gettano molti semi alcuni di questi diventano alberi robusti. Penso alle ricerche in Ogliastra e agli studi condotti dai suoi collaboratori del CNR di Cagliari». Come si lavorava con lui? «Con Giuseppe abbiamo lavorato insieme una ventina d'anni fa. Eravamo carichi di speranze, pieni di curiosità. Tra di noi del gruppo di allora c'era stima e affiatamento. Si lavorava duramente, con una feroce volontà di superare gli ostacoli, e si rideva di gusto. Dagli Usa si era portato un'automobile rosso-fuoco, targata LANU6. Giuseppe era anche questo».
Andrea Mameli

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