La febbre spaziale contagia l’Europa (L'Unione Sarda, 27 maggio 2008)


Tra il 1961 e il 1972 la missione Apollo regalò al mondo un sogno: varcare i confini del pianeta. Nei prossimi anni si ritornerà sulla Luna, ma l'ambizione principale resta raggiungere il pianeta rosso. E se a mettere piede sul nostro satellite furono solo gli astronauti della Nasa, per Marte è in lizza anche l'ESA: da dieci giorni l'agenzia spaziale europea ha iniziato a selezionare 8 nuovi astronauti. Ma perché ci si impegna in progetti di tale complessità e con quali obiettivi? Intanto le missioni spaziali fanno registrare un fortissimo "effetto di trascinamento tecnologico": dalle più piccole alle più importanti applicazioni si hanno, dopo pochi anni, ricadute per le tecnologie di larga diffusione. In secondo luogo tutte le discipline scientifiche, durante la preparazione e la realizzazione delle imprese astronautiche, trovano numerose occasioni di crescita: attraverso il confronto con condizioni difficilmente ricreabili sulla Terra si possono attuare esperimenti, mettere alla prova tecnologie, verificare predizioni teoriche. Inoltre l'importanza di una missione spaziale, come banco di prova per le conoscenze scientifiche, cresce con la distanza dalla Terra: basti pensare alla raccolta di informazioni come la composizione chimica di suoli e atmosfere, le reazioni dell'organismo umano, la risposta dei materiali, l'affidabilità delle comunicazioni. E se per raggiungere Marte con un equipaggio umano è indispensabile una conoscenza approfondita del pianeta, le missioni come quella del Phoenix, che ha anche il compito di individuare una possibile zona "abitabile" sul pianeta rosso, sono indispensabili.
Ma questa missione è anche alla ricerca di batteri marziani?
«Phoenix non è attrezzata per identificare direttamente vita passata o presente – spiega Stefano Sandrelli, giornalista scientifico e coordinatore nazionale del servizio di didattica e divulgazione dell'Istituto Nazionale di Astrofisica – però cercherà di determinare in modo specifico se ci sono le condizioni per la vita. In altri termini segue l’acqua. È chiaro che Marte, miliardi di anni fa, deve essere stato ricco di acqua e che tracce di questa acqua ancora rimangono. Per esempio come ghiaccio mescolato al terreno in prossimità dei poli. Oppure, come ha messo in evidenza la Mars Express dell’ESA, in bacini sotto la crosta del pianeta.»
Di quali strumenti dispone il robot? «Una trivella per prelevare campioni di suolo e un "laboratorio di chimica" per compiere semplici analisi. Uno strumento cercherà composti di acqua e carbonio, riscaldando in piccoli forni minuscoli frammenti di suolo e "annusandone" i vapori. Un altro scioglierà i campioni raccolti in acqua e poi studierà i prodotti della soluzione. A tutto questo si aggiungono le macchine fotografiche a alta risoluzione e i microscopi.»
Con Phoenix si rinsaldano anche i rapporti di collaborazione tra ESA e NASA?
«Certamente. Durante la fase di avvicinamento a Marte le stazioni ESA hanno utilizzato le proprie antenne paraboliche dedicate allo spazio profondo per misurare con elevata precisione la posizione della Phoenix, attraverso tecniche interferometriche.»
La superficie del pianeta rosso, a differenza di quanto accadde sulla Luna, ospiterà dunque altre bandiere, oltre quella a stelle e strisce. E in un futuro, non molto lontano, anche la Sardegna potrà dare il proprio contributo: «Quando sarà completato SRT, il Sardinia Radio Telescope, in costruzione a San Basilio – spiega Ignazio Porceddu, responsabile dello sviluppo del radiotelescopio – i dati provenienti dalle sonde interplanetarie saranno acquisiti per conto delll’Agenzia Spaziale Italiana, partner dell’impresa.»
ANDREA MAMELI
L'UNIONE SARDA, 27 maggio 2008

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