Lo schianto sul muro e l'effetto cinema. Bellas Mariposas mi è piaciuto molto, ma devo rivederlo.

Ho visto Bellas Mariposas. Mi è piaciuto. Anzi mi è piaciuto molto. Ma non mi basta. Sento il bisogno di rivederlo. Vorrei rivedere e riascoltare molte scene nelle quali mi sono soffermato, per le ragioni che esporrò in seguito, su particolari dell'inquadratura, su voci, suoni e rumori, perdendo di vista la pellicola nel suo insieme.
C'è stato qualcosa che ha distolto la mia attenzione alla struttura narrativa, poiché è di questo che si tratta: dopo la proiezione ho sentito diverse persone (bambini e adulti) che commentavano l'evoluzione della storia, "che fine ha fatto il tizio", "che vicenda ha vissuto la tizia"... io invece mi sono accorto di aver perso di vista l'insieme. Perché? Ma perché sono stato distratto da particolari visibili e da altri aspetti invisibili, proprio quelli che prima dell'inizio della proiezione mi ero imposto di non considerare. I particolari visibili lungo tutto il film erano essenizalmente le parti della città di volta in volta inquadrate e nella parte finale della pellicola la mia attenzione è stata catturata dai particolari delle scene che avevo visto crude, sul set, durante la lavorazione, come la scena della Mercedes che si schianta sul muro. L'effetto del cinema è proprio questo: dare vita a oggetti e persone che, presi da soli, sarebbero solo oggetti e persone. Inoltre le scene provate e riprovate a seconda dei casi alcune volte o decine di volte, alla ricerca di una perfezione sempre difficile da trovare, si trasformano nel film in sequenze anche molto brevi.
I particolari invisibili erano invece le rievocazioni mentali della storia scritta da Sergio Atzeni. Pagine del libro che ritornano in mente a volte nitide, a volte confuse, facendomi cadere nella tentazione di confrontare le due opere.
Dato che la visione di un film richiede un'attenzione sensoriale elevata, proprio per non fermarsi a contemplare singoli aspetti cogliendo la visione d'insieme, alla fine ho perso di vista proprio quello che volevo vedere: il film di Mereu nella sua interezza. Credo che esista un solo modo per uscire da questo tunnel e godermi la storia: rivedere il film.
Comunque, nonostante il deficit di attenzione di cui ho fatto mea culpa, sento di sottolineare due aspetti. Il primo è che questo film è originale. Lo si nota dalla prima scena, durante la quale lo spettatore è portato immediatamente a stabilire un patto: se mi guardi non ti rifiuto. Perché il cosiddetto "tabù dello sguardo rivolto alla macchina da presa" in qualche modo è in ciascuno di noi, educati come siamo a vedere film a partire da due anni d'età. Siamo tutti in grado di riconoscere alcuni codici di comunicazione, anche complessi, e una delle prime cose che si imparano è proprio questa: lo sguardo diretto è riservato alle doppie soggettive (due personaggi che si guardano repiprocamente) e a rarissimi altri casi. Mereu è invece riuscito a far accettare questa, direi coraggiosa, operazione. E così la protagonista che racconta i suoi pensieri al pubblico viene immediatamente accolta come parte di un (oserei dire nuovo) codice comunicativo. Si gretolano le parole di Roland Barthes ("Un solo sguardo proveniente dallo schermo e posato su di me, tutto il film sarebbe perduto") e si manifesta in tutta la sua bellezza il potere incantatorio del cinema. Sicuramente mi piacerà sempre di più, ogni volta che lo rivdrò.
Il secondo aspetto è che la mia attesa per questo film era (anche e solo secondariamente ma lo era, non posso negarlo) legata alla curiosità di capire come avrei accolto il mio personaggio, per quanto microscopico rispetto all'intero film, il "Poliziotto numero 2". Cosa ho scoperto? Ho scoperto che un personaggio diventa parte del film e tu che lo hai impersonato non esisti più. Quel che impersoni sul set ti scappa via: non sei tu vestito da poliziotto, ma è un poliziotto di quel film. Non sei più tu: gli assomigli soltanto. Nutro il sospetto che rivedere il film mi allontanerà sempre di più dal "mio" personaggio. E il film mi piacerà sempre di più.
Andrea Mameli www.linguaggiomacchina.it 26 Ottobre 2012
P.S. Dicembre 2013 - Ho comprato il DVD e sono andato subito a rivedere la scena dell'inseguimento. Come immaginavo sono riuscito a notare particolari che non avevo proprio visto quella prima volta in sala. E sono riuscito a catturare uno scatto, che ripropongo qui sotto, in cui mi sono ritrovato, per un istante, al centro dell'azione: è il momento in cui ho improvvisato uno scambio di battute con Rosalba Piras (che interpreta la signora Sias). Non mi è dispiaciuto affatto rivedere quella scena.
Bellas Mariposas. Un film di Salvatore Mereu, 2012.
Rosalba Piras sul set di Bellas Mariposas, Sett. 2011 - www.movieplayer.it


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Commenti

Anonimo ha detto…
I miei sentiti complimenti a Salvatore Mereu che è riuscito a farmi provare le stesse emozioni che ho provato leggendo il libro e lo stesso senso di disagio allo stomaco andando via dalla sala che avevo provato alla fine della lettura del libro di Sergio Atzeni!

Bravi tutti gli attori; bravo a te, Andrea, che nei panni del poliziotto mi ha davvero stupito! Sei pieno di risorse, anche attore!
P.S.
L'unica cosa che mi sarei risparmiata è il gatto bagnato, Mereu poteva inventarsi qualcos'altro per ricollegarlo alla cova ed evitare alla povera bestiola, che non sceglie di essere attrice, l'evidente indesiderata scena… :)

MammaTigre
Linguaggio Macchina ha detto…
Grazie Mamma Tigre. Ti manderò una cartolina da Hollywood.
Linguaggio Macchina ha detto…
Quanto al gatto la situazione non era certo quella che è sembrata nella finzione filmica. So che hanno fatto in modo da non arrecargli alcun tipo di disagio. E avevano il veterinario vicino come si fa sempre in questi casi.

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