Pensieri sul set (6). Uniforme o divisa?

Ho scoperto che la divisa aiuta anche a rafforzare la consapevolezza nelle proprie forze, anche in virtù del contatto con gli altri. Direi una condizione a metà strada fra autostima e autorità.
La mia seconda constatazione è che l'uniforme aumenta il senso di appartenenza a un gruppo, in questo caso i poliziotti in divisa (e anche i due in borghese): ci cambiavamo insieme, mangiavamo assieme, aspettavamo di entrare in scena insieme.
La terza impressione è invece forse più legata all'immaginario. Mi trovavo spesso a posare la mano destra sulla fondina. E lo facevo volentieri. A volte mi accorgevo proprio di accarezzare la pistola. Mi son chiesto il perché. Dopo qualche giorno ho scovato una spiegazione: non può che essere l'immaginario cementato dai film western e polizieschi. Ricordo che giocavo a fare il cowboy. Ho anche una foto di una festa di carnevale nella quale avevo la pistola in mano. Sarà questa la spiegazione?
La capacità della divisa di innalzare il senso di appartenenza a un gruppo mi ha anche fatto ricordare il celebre "Esperimento carcerario di Stanford": lo studio sui ruoli di guardie e prigionieri in un carcere simulato condotto nel 1971 da un gruppo di ricercatori della Stanford University. Il coordinatore della ricerca, Philip Zimbardo, si rifaceva alla teoria della deindividuazione di Gustave Le Bon: gli individui di un gruppo coeso tendono a perdere l'identità personale e il senso di responsabilità fino alla comparsa di impulsi antisociali.
Andrea Mameli - www.linguaggiomacchina.it - 8 ottobre 2011
Puntate precedenti:Pensieri sul set (5). Dolly, Dolly, manualmente Dolly.
Pensieri sul set (4). Batterie, pellicole e senso del limite.
Pensieri sul set (3). Il senso del ciak.
Pensieri sul set (2). Stuntman, tra azione e finzione.
Pensieri sul set (1). Il "Video assist" modifica il lavoro del regista
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